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Cultura

La globalizzazione contiene un virus micidiale: il rischio che il mondo si uniformi

Dalla conferenza “Viaggi nel tempo” di Carmelo Sciascia alla Biblioteca comunale

Parte quarta – conclusione

«Viandante non esiste il sentiero,

il sentiero si fa camminando…»

Siamo di solito portati ad immaginarci il viaggio come necessità, come percorso indispensabile per la sopravvivenza, in ultima analisi come libertà dal bisogno. Ma è esistito, esiste e credo continuerà ad esistere, un altro viaggio, un viaggio che anziché dal bisogno, parte dal benessere, in qualche modo un viaggio a ritroso, alla ricerca di arcani e reconditi significati da dare all’esistenza stessa.

Un paradosso può aiutarci a capire questo particolare percorso che da un certo benessere condiviso ci porta a rincorrere miraggi: il paradosso del tetto. Solitamente una casa si inizia a costruire dalle fondamenta, poi i muri ed infine i tetti. I tetti lo sanno tutti, non bisogna essere esperti, sono la parte più difficile da realizzare: ne hanno saputo qualcosa il Michelangelo (la cupola di San Pietro) come il Brunelleschi (la cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze). Il paradosso del tetto ci dice che la costruzione di una casa può iniziare dal tetto e poi a scendere all’ingiù fino alle fondamenta.

Così, una migrazione che rappresenta un viaggio alla ricerca dalla libertà dal bisogno materiale, viaggio indispensabile per la sopravvivenza fisica, come per i migranti, può diventare per chi, le libertà dai bisogni li ha avuti dalla nascita, un viaggio a ritroso nel tempo o nell’altrove, un andare alla ricerca che solo un qualcos’altro può darci. Un viaggio liberatorio che come meta ha spesso la ricerca di un presunto paradiso perduto. Sono i viaggi di tutti coloro che abbandonano la sicurezza e la certezza di una casa costruita dalle fondamenta, di coloro i quali non hanno programmi politici preconfezionati, coloro che intendono sottrarsi al controllo della famiglia e della società. Le mete allora diventano le Indie, le popolazioni tribali, mete spirituali in alture isolate o spiagge deserte dove abbandonarsi ad interminabili feste alla luce lunare.

Il viaggio allora diventa ricerca spasmodica di avventura, ricerca di illusioni, più semplicemente e spesso si riduce ad un autoinganno.

Un individuo o una società, per raggiunto benessere, possono trovarsi nell’incapacità di affrontare qualsiasi spostamento. L’essere stanziale ci pone in un’altra condizione, una condizione passiva, di attesa.

La globalizzazione contiene un virus micidiale il rischio consiste nel fatto che il mondo si uniformi, così come l’uomo occidentale ha fatto con se stesso. Il pensiero dell’uomo contemporaneo è lo stesso per ogni singolo individuo, è un non pensiero. Come i non luoghi.

Tutti sappiamo che le moderne architetture hanno uniformato il paesaggio. Ce lo ha spiegato molto bene l’antropologo Marc Augè, descrivendoci tutti quei luoghi che indifferenti a qualsiasi territorio dove sorgono, sono identici in qualsiasi parte del mondo, al nord come al sud, ad est come ad ovest: gli aeroporti, le autostrade, i centri commerciali. Negano queste costruzioni qualsiasi carattere peculiare, qualsiasi dialogo con il paesaggio, qualsiasi soggettività. Sono oggettivamente utili e funzionali, rispondono solo a canoni di economicità e praticità. Così l’uomo di quest’epoca digitale. Era stato Herbert Marcuse a parlarne per primo, in tempi non sospetti, con il suo “L’uomo ad una dimensione”.

Il viaggio è stato storicamente concepito come spostamento fra due punti, oggi considerata la velocità con cui viaggiano le notizie e con cui si possono effettuare gli spostamenti, si potrebbe considerare non veritiera questa definizione. Ci muoviamo praticamente all’unisono con lo stesso movimento rotatorio del globo terrestre. Riempiamo spazi, occupiamo il tempo. Il viaggio diventa un non viaggio. Come non esiste più un pensiero personale, ma prevale un pensiero unico, così non esiste il viaggio personale, ma un viaggio universale, di tutti gli uomini, un viaggio all’unisono dell’umanità. Quindi un non viaggio! L’uomo che è sempre alla ricerca della verità, rimane spesso imbrigliato in una ragnatela di menzogne artefatte che non gli permettono di realizzarsi compiutamente, se non nella menzogna stessa …. Così con il viaggio. L’uomo è sempre in cammino, ma rimane imbrigliato in un dedalo di strade, in un labirinto talmente intricato da non essere capace di uscirne più, il suo viaggio diventa effimero, è il percorso che non ha una via d’uscita. E se una via d’uscita deve proprio averla, allora è il ritorno al punto di partenza, un cammino circolare.  Non ci sono strade che conducano ad una meta certa e sicura. Solo nelle religioni ci sono strade e vie predefinite, “Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua verità io cammini” (Salmo 85) o, ancora, il capitolo Giovanni 14: “Io sono la via, la verità e la vita”.

Questo è il viaggio che ha una meta ben precisa, è il viaggio dei credenti. Sono rivelazioni che fanno parte della religione, quindi del mito, siamo in un campo minato, nel terreno teologico della metafisica.

A noi esseri umani, qui ed ora, ci interessa il mondo finito, il mondo fisico, dove siamo stati abituati e siamo costretti a vivere ed a muoverci. Il viaggio che forse ci affascina di più oggi è il viaggio che ognuno si costruisce da sé giorno per giorno, come la vita. Da stanziale o da emigrante. Quel mondo che ci dice che non ci sono strade segnate ma che il cammino si fa camminando. "No hay caminos, hay que caminar", non ci sono cammini, solo il camminare. Ce lo ricorda il poeta Antonio Machado: “Viandante, le tue orme sono -il cammino e niente più; -viandante, non esiste il cammino,- Il cammino si crea camminando”.

La vita si affronta vivendola, il viaggio camminando, unica condizione: essere nato per affrontare la vita, per camminare basta aprire la porta. Come con il primo vagito iniziamo il nostro percorso di vita così aprendo la porta iniziamo, ognuno il proprio viaggio. Così semplicemente: Niente di più, niente di meno.

Nel contesto unitario della conferenza l’attrice Tiziana Mezzadri ha letto la  significativa lirica del poeta spagnolo Antonio Machado  “Caminante”:

Tutto passa e tutto resta,

però il nostro è passare,

passare facendo sentieri,

sentieri sul mare.

Mai cercai la gloria,

né di lasciare alla memoria

degli uomini il mio canto,

io amo i mondi delicati,

lievi e gentili,

come bolle di sapone.

Mi piace vederle dipingersi

di sole e scarlatto, volare

sotto il cielo azzurro, tremare

improvvisamente e disintegrarsi…

Mai cercai la gloria.

Viandante, sono le tue orme

il sentiero e niente più;

viandante, non esiste il sentiero,

il sentiero si fa camminando.

Camminando si fa il sentiero

e girando indietro lo sguardo

si vede il sentiero che mai più

si tornerà a calpestare.

Viandante non esiste il sentiero,

ma solamente scie nel mare…

Un tempo in questo luogo dove

ora i boschi si vestono di spine,

si udì la voce di un poeta gridare

«Viandante non esiste il sentiero,

il sentiero si fa camminando…»

Colpo dopo colpo, verso dopo verso…

Il poeta morì lontano dal focolare.

Lo copre la polvere di un paese vicino.

Allontanandosi lo viderono piangere.

«Viandante non esiste il sentiero,

il sentiero si fa camminando…»

Colpo dopo colpo, verso dopo verso…

Quando il cardellino non può cantare.

Quando il poeta è un pellegrino,

quando non serve a nulla pregare.

«Viandante non esiste il sentiero,

il sentiero si fa camminando…»

Colpo dopo colpo, verso dopo verso.

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