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Storia piacentina

La macellazione e conservazione del maiale, una pratica antica. Così inizia la storia dei salumi piacentini

Il Consorzio salumi Dop piacentini celebra 50 anni dalla sua costituzione ed i 25 della Dop per coppa, salame e pancetta con il libro “Una fetta di storia” del giornalista Giuseppe Romagnoli

«Questo libro vuole essere la testimonianza di ciò che siamo stati, ma soprattutto di ciò che desideriamo essere per il prossimo futuro». Così il presidente del Consorzio salumi Dop piacentini Antonio Grossetti chiude la sua prefazione al libro del giornalista Giuseppe Romagnoli pubblicato per l’importante anniversario per i 50 anni della costituzione del Consorzio e per i 25 dell’attribuzione del marchio Dop (unici in Europa) per ben tre salumi: coppa, pancetta, salame (in basso, la copertina del libro). Un riconoscimento ottenuto grazie all’impegno delle istituzioni locali, in primis la Camera di Commercio, ma soprattutto da parte dei soci produttori che sono riusciti nel tempo a migliorare sempre la qualità sia grazie all’innovazione tecnologica che conservando la tradizione produttiva.

IlPiacenza.it, grazie al Consorzio salumi Dop piacentini, pubblicherà a puntate, alcune delle parti più significative del libro.

Ogni salume DOP o “tipico” piacentino, è una bella “fetta di storia” Oggi è un gesto consueto. Prendiamo un bel panino fresco, magari un croccante “soffiato”, lo tagliamo a metà e dentro disponiamo qualche fetta di gustoso salame, oppure di profumata coppa o di voluttuosa pancetta; il tutto naturalmente delle tre DOP piacentine. Perché di questo prestigioso simbolo per la salumeria, difficile e complesso da ottenere, solo Piacenza ne può vantare tre in Europa! Oppure se ci rechiamo in trattoria, quelle un po’ rustiche di campagna, magari con la “topia” (pergolato) fuori ed i tavoli con le tovaglie a riquadri attendiamo un po’ impazienti che l’oste ci porti un grande vassoio di salumi, accompagnati dalla torta fritta e dalla giardiniera. Gesti di festa, di convivialità, di allegria, da consumarsi tutti insieme o, come nel caso del panino in beata solitudine. Ma in ogni caso i protagonisti sono sempre loro: Coppa, Pancetta e Salame DOP piacentini, quelli che solo il Consorzio può certificare. Altri similari sono un falso, magari “d’autore”, ma sempre un falso sono. Questo Consorzio, con tenacia, un passo dopo l’altro, ha compiuto 50 anni, quelli della piena maturità, mentre l’attribuzione delle DOP ne conta 25. Per questo assaporando i nostri salumi e godendo dell’effimero, ma saporito presente, in cui si compendia tutto il sapore della tradizione artigianale del passato, lasciamo anche spaziare la fantasia, cercando di ritornare ad un lontano passato, tanti e tanti secoli fa, fin da quando c’era il maiale, il porco, anzi, come si concettualizzava in dialetto “al nümal”, ovvero l’animale per eccellenza, quello più generoso ed altruista perché ti dà tutto, dove non si butta via nulla, dopo la macellazione. Qualcuno, forse un po’ irriverente, ha affermato che è come la musica di Verdi, il cigno di Busseto, perché anche nelle sue note tutto è perfetta - mente armonico ed utilizzabile. Non a caso il Maestro i salumi li apprezzava davvero. Basta leggere le numerose annotazioni su Verdi in cucina e Verdi agricoltore.

Dai Romani al Medioevo… e anche prima - L’allevamento del suino sembra risalire già al 4000 a.c, epoca in cui i cinesi, per primi, iniziarono ad addomesticare questa specie animale, secondo sistemi razionali. Anche in Europa, l’alimentazione dei popoli con la carne di suino ha radici molto lontane nella storia, ma non quanto quelle dei cinesi, grazie al fatto che era un animale facilmente allevabile dall’uomo in ambiente domestico, ricco di grasso e carni gustose. Nella metà del 1800, alcuni ritrovamenti archeologici di ossa di suini entro l’area dell’insediamento palafitticolo parmense di Castione Marchesi di “terramare”, nel piacentino di Montana dell’Orto, Caorso e Castelnuovo Fogliani, avvalorarono l’ipotesi che gli abitanti della pianura padana dovessero conoscere il maiale già in età del bronzo, circa un millennio prima dell’era cristiana. La necessità di conservare la carne, abbondante in certi periodi dell’anno, per poterla utilizzare nei momenti di scarsità, portò l’uomo a sperimentare varie tecniche di conservazione, tra cui la salatura. La carne di maiale si prestò molto bene alla sua conservazione con questa procedura; da questo deriva appunto il termine “Salume”. La tecnica di salare queste carni è molto antica e si perde certo nella notte dei tempi; la sua importanza era tale che molti sono stati gli storici e gli scrittori che di questa arte si sono occupati e l’hanno tramandata. Di questo fa fede Omero che ci illustra fin dal IX secolo a.c. “come fare” a mettere la carne sotto sale. Nelle case rurali della pianura padana vennero messe a punto queste tecniche, in seguito radicatesi in tutta l’Italia e fino in Francia. Da allora in poi la delicata pratica della salagione delle carni suine divenne una vera e propria arte. Non a caso la prima via importante dei romani fu la Salaria che collegava Roma con Porto d’Ascoli sul mare Adriatico. Tracciata dagli antichi Sabini nel II millennio a.C., principalmente per il trasporto del sale, fu poi acquisita e migliorata dai Romani. Da molti secoli però, forse dal 1600-2000 a.c., e soprattutto dopo l’arrivo, tra il 700 e il 500 a.c. degli Etruschi, le popolazioni padane, e tra queste anche quelle piacentine, cacciavano, mangiavano e conservavano con il sale le carni del maiale. Gli stessi Etruschi insediatisi nella Padania già nel 500 a.c. salavano le cosce di quest’animale e, probabilmente, attraverso il porto di Spina, le esportavano verso la Grecia. Il maiale in Europa esisteva già 20.000 anni fa e lo testimoniano i graffiti delle grotte di Altamira in Spagna. Nella Pianura Padana, i maiali sono sempre stati presenti in un grande numero, anche perché si estendevano grandi boschi di querce e le ghiande erano il loro cibo preferito. I primi ritrovamenti di suppellettili preistoriche, realizzate utilizzando ossa di maiali, ci riportano addirittura al tempo degli insediamenti palafitticoli nelle aree del piacentino. Nella valle padana gli antichi maiali selvatici, o cinghiali, anche dopo una parziale addomesticazione, si nutrivano delle ghiande e delle castagne dei boschi rispettivamente di pianura e di alta collina e montagna, tanto che il valore di un bosco di querce era stimato in base ai maiali che poteva sostenere ed ingrassare. Nel 1.000 a.c. la carne di questo mammifero ricopriva un ruolo principale nell’alimentazione degli abitanti di queste zone. Si narra che successivamente, in epoca romana, quando Annibale affrontò e sconfisse l’esercito romano sul fiume Trebbia nel 218 a.c., per festeggiare la vittoria banchettò con le carni salate che la popolazione dei Galli Boi producevano cacciando i suini selvatici. Annibale fu solo uno dei tanti, né il primo né l’ultimo, che apprezzò le carni dei maiali dell’attuale provincia di Piacenza e i salumi preparati con il sale prodotto nelle saline sulla costa adriatica o che affiorava in diversi punti delle pendici appenniniche, ad esempio dove sarebbe poi sorta Salsomaggiore, confinante con il territorio di Piacenza. Questa quasi eccezionale coesistenza di maiali e di sale giustifica la nascita e la persistenza di una produzione salumiera di eccellenza fino ai nostri giorni. Tanti sono gli esempi sul grande uso del maiale presso i romani. Della salatura della carne suina parlano Plinio e Columella che apprezzava apertamente i salumi che dalla pianura padana venivano a Roma. È stato ritrovato in territorio piacentino un ciondolo - amuleto raffigurante un piccolo maiale, sempre appartenente alla civiltà romana e tutt’ora conservato al Museo Civico di Palazzo Farnese a Piacenza. Anche questo ritrovamento conferma il ruolo importante che aveva il maiale nel sistema economico e sociale di quei tempi. Un sottile, ma tenace ed ininterrotto filo culturale, che si perde nella notte dei tempi, collega la presenza dell’allevamento e domesticazione del maiale, nella Pianura Padana, in particolare la zona centro-occidentale, di cui fa parte l’odierna Regione Emilia-Romagna ed in particolare la parte occidentale, dove troviamo Piacenza con i suoi prodotti di salumeria. Si tratta di una vera e propria cultura alimentare di derivazione longobarda, che si riallacciava a quella celtica che l’aveva preceduta negli stessi territori e per la quale il maiale era un animale quasi “totemico”, carico di significati religiosi, che non impedivano, anzi ne giustificavano e ne valorizzavano il ruolo economico, sociale ed alimentare. Il territorio dell’attuale Emilia -Romagna, fin dalla più lontana antichità, è stato diviso in due aree: una “longobarda” nella quale dominava l’allevamento del maiale e l’altra “romana” dove era preminente, ma non esclusivo, il pascolo delle pecore. L’approssimativo confine tra le due aree e quindi tra le attuali Emilia e Romagna, passava ad oriente di Bologna. Ovviamente, Piacenza rientrava nell’area culturale longobarda. Uno stretto e antico legame congiungeva infine le culture longobarda e celtica all’ancora misterioso popolo villanoviano e delle terramare che, anche nelle terre piacentine, lasciandoci cospicui reperti ossei suini, ancor oggi ci testimonia di una significativa presenza del maiale, il “Sus verrucosus”, nelle terre da lui abitate.

Una cultura suinicola che non è stata sostanzialmente intaccata, anzi sviluppata e valorizzata dai contatti che la cultura celtica ebbe con quella del popolo etrusco prima e romano poi e che, attraverso quest’ultimo, si è diffuso all’area mediterranea cristianizzata, arrivando via via fino ai nostri tempi. Il poeta Tassoni, nella Secchia Rapita, denomina Modena “lombarda”, riferendosi alla cultura longobarda che, per secoli, dominò su gran parte della pianura padana valorizzando il maiale, con il quale otteneva un’efficiente utilizzazione dei territori boschivi ed al tempo stesso ricavava una sana alimentazione. I primi documenti riguardanti le carni conservate risalgono al quattordicesimo secolo e attestano l’esistenza del paratico (associazione) dei “Lardaroli” con la sede in Piazza Duomo a Piacenza. Nella Chiesa di San Savino a Piacenza e in quella della famosa abbazia benedettina di San Colombano a Bobbio sono presenti preziosi mosaici che comprovano l’allevamento e l’utilizzo delle loro carni nel nostro territorio. Si tratta di mosaici tematici risalenti al XII° sec. Entrambe le opere raffigurano il calendario zodiacale del quale, per ciascuna stagione, sono indicati i relativi lavori della campagna. In particolare, le pratiche riconducibili alla macellazione del maiale, sono raffigurate nel mese di dicembre, adatto alla lavorazione delle carni grazie alle basse temperature che lo caratterizzano, come attestano anche tutti i calendari medievali. Nell’antica Roma durante le feste saturnali che a metà dicembre celebravano la fine dei lavori agricoli, si sacrificava un grosso porco al dio Saturno. Era un rito sacrificale ed una festa per tutta la comunità che vedeva assicurata la razione alimentare fino ai raccolti primaverili. Le tecniche erano poche ed elementari: la macellazione era una festa ed una consuetudine collettiva alla quale partecipava tutta la famiglia e la comunità contadina. Le parti erano consumate in piccola parte fresche; il resto veniva conservato tramite salatura o l’affumicamento, una fondamentale dispensa carnea per lunghi mesi per saziare la fame atavica di carne e grassi.
(Prosegue)

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