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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cultura

La riforma sanitaria del 1978 con il suo slogan ci illudeva di una inverosimile onnipotenza

Gli abstract dal “Periti day 2016. Il dottor Flavio Della Croce: il Nuovo Umanesimo, cioè il mettere di nuovo l’uomo al centro del sistema – salute, facendo dell’organizzazione uno strumento importante ma non prevaricante

Dal “Periti day 2016” organizzato da Carlo Mistraletti a Palazzo Galli della Banca di Piacenza, simposio - che ha  unito il ricordo del medico piacentino Pier Francesco Periti, scomparso il 26 dicembre  1998, alla trattazione di  temi multidisciplinari che caratterizzano la complessità della nostra società - proponiamo,grazie alla cortese collaborazione del relatore ,l’abstract  del contributo  del dottor Flavio Della Croce sul tema “Salute, economia, etica”.

Nel settore della salute, come è noto, le risorse sono limitate, o, come si dice, ingenerando talvolta il malinteso di risorse tutte consumate e non più disponibili, sono finite. La risorse sono finite in quanto non infinite, come per certi versi era sottinteso con la riforma sanitaria del 1978, la quale con lo slogan “prevenzione, cura e riabilitazione per tutti” ci illudeva di una inverosimile onnipotenza. Le risorse per la sanità sono finite, in quanto le esigenze dello Stato sono naturalmente più ampie: pensiamo al bisogno di sicurezza e di difesa, di istruzione, di previdenza, di viabilità, solo per citare alcuni servizi per i cittadini.

La prima voce di spesa in Italia sono le pensioni che assorbono il 27,3% della spesa pubblica (la media Ue è 21,4%). Al secondo posto c’è la spesa per la sanità che ammonta al 14% di tutta la nostra spesa statale. Un numero però inferiore a quello della media Ue dove la spesa per la salute è al 15% (Area Euro 14,8%). Dei circa 800 miliardi di euro della spesa totale, 112 vanno a coprire la spesa per la salute. Da tenere in evidenza che la spesa per la salute ha anche una componente privata, sottratta la quale l’Italia alloca meno risorse rispetto alla media UE.

L’Italia spende il 7,2% del PIL per la Salute. Siamo nella media europea.  Spendono più dell’Italia: Danimarca (8,7%) - Finlandia (8,3%) -Francia (8,2%) - Belgio e Olanda (8.1). Da questi numeri si evince che forse c’è un piccolissimo margine di ampliamento della spesa, ma che il problema si pone prevalentemente in termini di razionalizzazione.

Ma dove è possibile introdurre elementi di spending review?

Possiamo riflettere su alcuni fattori: la pletora amministrativa, l’organizzazione ospedaliera, un’impropria domanda sanitaria.

1) Dati recenti riguardanti i dipendenti di Asl ed Ao: medici 106.779, infermieri 264.378, tecnici 115.379, personale in ruolo professionale 1.551. Gli amministrativi risultano all’11,3% dei dipendenti della sanità pubblica; in pratica, per 3 medici quasi 7,5 infermieri, poco più di 3 tecnici e 2 amministrativi, di cui: direttori (2.580), coordinatori (19.319), assistenti (28.356), coadiutori (20.593) e commessi (1.993).  Molto differente la distribuzione degli amministrativi tra le varie regioni. In Sicilia, Puglia, Campania, Molise e Calabria 1 amministrativo su 1000 abitanti (compresi i neonati) , mentre in Lombardia solo uno su circa 8.500! Va poi detto che al Sud ci sono più ospedali privati convenzionati che pubblici; quindi queste cifre sono ancora più impressionanti.

2) Controversa la questione dell’utilità dell’accentramento delle cure ospedaliere in grossi poli, al posto di una distribuzione più particolare sul territorio. Ogni situazione è diversa dalle altre e non è possibile generalizzare. Sottodimensionamento e sovradimensionamento possono essere entrambi fattori sfavorevoli: non c’è una regola generale. Ineludibili sono poi i temi dei costi standard e della qualità dei servizi ospedalieri, da portare su livelli accettabili su tutto il territorio nazionale.

3) La domanda di salute può essere impropria nei contenuti o nelle modalità in cui si esprime. La medicina potenziativa, definita anche come insieme di pratiche di enhancement, non cura malattie ma fa sì che un soggetto aumenti artificialmente le proprie prestazioni: da quelle sportive a quelle estetiche o a quelle mentali. Di qui l’uso di farmaci quali gli anabolizzanti, trattamenti medici e chirurgici di “aggiustamento” delle forme, terapie volte ad eludere il bisogno di sonno e così via.

Molteplici sono gli esempi di impropria modalità di espressione del bisogno di salute.

Il sovraccarico di lavoro dei Pronto Soccorso, oltre a determinare difficoltà di gestione dei casi davvero bisognosi di cure non differibili, comporta un malfunzionamento generale del sistema, con la reiterazione di percorsi diagnostico-terapeutici. Soggetti patofobici o ipocondriaci trasferiscono un disagio psicologico/esistenziale sull’attenzione ad ipotetiche patologie fisiche. Accertamenti in sequenza apparentemente senza fine, “pellegrinaggi” da un sanitario ad un altro, da un istituto a quello suggerito in un servizio in televisione o da parte di un caro amico; il tutto senza arrivare davvero ad un processo di guarigione.

Molte visite specialistiche inutili allungano le liste di attesa a dismisura e appesantiscono i costi di quadri clinici relativamente semplici. Molti sono gli ambulatori dedicati che non hanno ragione di essere. Il rapporto fiduciario paziente – medico è purtroppo messo in crisi anche dai fattori organizzativi, e vi sono avvisaglie di una volontà politica di premere ancor più in tale direzione. Vi è poi il problema enorme della cosiddetta medicina difensiva, cioè curare il paziente dando la priorità a non avere conseguenze negative nella propria professione. Si calcola che la medicina difensiva pesi per circa 10 miliardi di euro all’anno sul bilancio della Sanità, suddivisi in: 14% farmaci, 25% esami strumentali, 23% esami ematochimici, 11% visite specialistiche. Sono fioriti tanti protocolli, PDTA (piani diagnostico-terapeutici), dietro cui mettersi al riparo. Tutto questo senza un reale beneficio per la persona ammalata.

Qual è il rapporto tra le esigenze economiche e l’etica?

Possiamo affermare che in alcuni ambiti si tratta di un rapporto conflittuale. Ad esempio nella cura dei soggetti fragili (anziani, invalidi, terminali) non è eticamente accettabile un disimpegno sulla base dei costi. Ciò vale anche a proposito dell’aborto per motivi economici, che bypassa interventi di sussidiarietà e di solidarietà. Né è accettabile dal punto di vista etico la soppressione di presidi socialmente importanti per mere considerazioni di risparmio. Ma l’etica è in grado di supportare scelte di appropriatezza nell’allocazione delle risorse quando si prendono in considerazione tecniche procreative manipolatorie, quando si pongono dubbi e limiti alle pratiche potenziative a cui si è accennato, o a proposito del rifiuto dell’accanimento terapeutico. Scelta etica è anche rinunciare a strutture e sovrastrutture quando beneficiario non è il malato ma qualcun altro. La ricerca e la definizione di senso rispetto alla salute possono condurre ad una visione più reale delle cose; quello che è stato definito il nuovo umanesimo, cioè il mettere di nuovo l’uomo al centro del sistema – salute, facendo dell’organizzazione uno strumento importante ma non prevaricante. La valutazione morale porta ad escludere ogni forma di dissipazione conseguente a clientelismo, corruzione, negligenza operativa e di controllo, in quanto causa di sottrazione di risorse per i reali bisogni, sanitari e generali. In quest’ottica, si rende necessario recuperare e calare nella realtà attuale il senso del servizio e della dedizione alla persona bisognosa di cure, quali priorità e strade maestre nelle scelte per la salute.

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