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Cultura Farini

La storia della montagna piacentina raccontata attraverso il dialetto dell’alta val Nure

La presentazione del film documentario dal titolo "Õn tòc ad lègn sùta u bràs" (Un pezzo di legno sotto al braccio) di Claudio Gallini

Con il prezioso contributo della Banca di Piacenza, sempre sensibile nei confronti di queste tematiche, e della società piacentina Spazio Tempo, leader nella distribuzione di servizi internet, l’editore LIR (Libreria Internazionale Romagnosi di Piacenza) ha portato a pubblicazione un considerevole lavoro cinematografico firmato da Claudio Gallini, lo studioso piacentino con le radici in alta val Nure, più precisamente nel comprensorio groppallino. Con lo scopo di implementare un progetto di salvaguardia del dialetto parlato nella nostra alta val Nure, il regista e autore già del primo dizionario del dialetto dell’alta val Nure intitolato, “Maràssa e Curiàtta” in prima edizione nel 2015 e in seconda pubblicazione nel 2016, ha voluto condividere in un docu - film della durata di novanta minuti, alcuni tratti delle video interviste eseguite sul campo proprio per la stesura del dizionario. Un dizionario che ha ottenuto in poco tempo brillanti riscontri anche al di fuori di Piacenza, aggiudicandosi con orgoglio dell’autore, addirittura un posto sugli scaffali della Biblioteca dell’Accademia della Crusca di Firenze che ha richiesto all’editore una copia del tomo. Il volume ha portato oltretutto la nostra provincia a vantarsi oggi di ben cinque dizionari dialettali, cui spicca in assoluto l’eccelso volume di mons. Tammi edito sempre dalla Banca di Piacenza, o quello dell’alta val d’Arda, per citarne solo alcuni, realizzato dal prof. Andrea Bergonzi che ha tra l'altro scritto la prefazione di “Maràssa e Curiàtta”. Ora, con dedizione e serietà, Gallini ha voluto raccogliere e montare, in un lungometraggio la vita dei tempi passati in montagna seguendo un preciso filo logico, fissando per sempre, attraverso l’uso del dialetto, storie di vita d’altri tempi, sfiorando tante tematiche quali: la giovinezza, il rapporto con la Chiesa, il lavoro nei campi, la scuola, etc. Questo progetto, intitolato, “Õn tòc ad lègn sùta u bràs”, ovvero “Un pezzo di legno sotto al braccio” in ricordo del pezzo di legno che i bambini d’un tempo dovevano portare a scuola in inverno per scaldare le fredde aule pluriclasse delle nostre montagne, ha quindi la pretesa di sostenere una forte poliedricità sia culturale, sia folkloristica oltre che etnografica. Come già indicato, il video è interamente parlato in dialetto dell’alta val Nure, con sottotitoli e didascalie che aiutano la comprensione dei dialoghi, soprattutto a chi non ha mai ascoltato questo patuà così differente dal dialetto di Piacenza, seppur parlato soltanto a cinquanta chilometri da Piazza de’ Cavalli. I protagonisti scelti per questo film-documentario sono chiaramente gli anziani del circondario groppallino, gli unici soggetti ancora in grado di utilizzare la purezza di questa lingua senza “sporcizie” o evoluzioni moderne sia nelle terminologie, sia nelle espressioni. La vera missione di questo lavoro è pertanto fissare per sempre le esperienze di vita di queste figure nella montagna piacentina dagli esordi del secolo scorso fino ai primi anni della seconda metà del Novecento. Come sosteneva la compianta prof.ssa Artocchini, una volta che questi anziani non saranno più tra noi, sarà come perdere intere biblioteche.

Descrizione della pubblicazione

La pubblicazione consiste di un libretto di 24 pagine in formato A5 che introduce e completa il DVD della durata di 90’. Prezzo:12€ La distribuzione sarà per cura della Libreria Internazionale Romagnosi di Piacenza, la Libreria Postumia di Piacenza, la Parrocchia di Groppallo, e altri esercizi commerciali dall’alta val Nure. La pubblicazione di questo film - reportage, nasce molto spontaneamente come un dovere nei confronti delle mie radici, alle quali sto dedicando, da ormai diverso tempo, un intenso lavoro per rafforzarne l’identità, sia storica, sia culturale. E’ diventata per il sottoscritto una missione stimolare i più giovani, e non solo, a coltivare quel monumento così importante che è il dialetto delle nostre montagne, una lingua oramai in via d’estinzione. Questo dialetto, come ho già largamente dimostrato nello studio denominato: Maràssa e Curiàtta, edito da L.I.R. - Piacenza nel 2015, è in grado di dare il giusto carburante al motore di quell’identità prima citata.

La nostra lingua è indispensabile anche per unire tra loro le generazioni di ieri con quelle di domani; il groppallino è un propulsore con la potenzialità di farci varcare anche i passi più difficili, nei momenti critici, che possono affliggere questi luoghi e i cuori di questa popolazione. Con “On tòc ad lègn sùta u bràs”, ovvero il pezzo di legno che i nostri nonni si portavano a scuola per scaldare le fredde aule pluriclasse in inverno, vorrei consegnare alla mia gente, un monumento alla memoria della nostra terra, per comprendere le fatiche fatte un tempo; fatiche necessarie per vivere sulle montagne dell’alta val Nure, le montagne dell’Appennino piacentino. Questo documentario ha così la pretesa di far comprendere, a chi non le ha mai vissute o mai sentite raccontare, storie di saggezza e maestria dei nostri antenati con testimonianze anche di miseria e povertà che hanno accomunato tutte le famiglie del territorio di Groppallo, dall’antichità fino a pochi decenni addietro, prima che quell’esplosione di modernità cancellasse gesti e abitudini resistiti per secoli e secoli. L’intero lungometraggio è parlato in dialetto groppallino e, attraverso interviste mirate a individui provenienti da zone diverse del territorio di Groppallo, un’area che supera i trenta chilometri quadrati, lo spettatore dall’orecchio più fine, potrà scovare anche le lievi differenze “musicali” che questa parlata assume nelle varie frazioni.

Claudio Gallini

Õn tòc ad lègn sùta u bràs

(Un pezzo di legno sotto al braccio)

Il video, dopo la breve presentazione, si apre con una precisa domanda: “Barsi o Groppallo?”, questo perché da qualche tempo l’antica borgata di Barsi, che si sviluppa ad una cinquantina di metri d’altitudine al di sotto della cima del monte Castellaro, è chiamata scorrettamente, secondo gli abitanti del posto, Groppallo. I protagonisti di “Õn tòc ad lègn sùta u bràs” spiegano manifestamente nel video quali sono le differenze tra i due toponimi, che entrambi, in antico, hanno tra l’altro generato due importanti cognomi ancora esistenti quali, i Barso, oggi Barsi, e la nobile famiglia Gropallo (proprio con una sola “p”) che fece fortuna prima a Piacenza e poi nel genovesato, quando si trasferirono in Liguria attorno al sec. XIV. La sezione successiva è una raccolta di testimonianze di come una volta si viveva la scuola nelle varie strutture scolastiche disseminate in tutto il distretto groppallino.

Un tempo le scuole, e scör, di montagna erano pluriclasse e la differenza di età tra gli scolari non era discriminante; gli alunni erano già piccoli lavoratori, pastorelli che ogni mattina si recavano a piedi a scuola con cartelle, a bërsàcca, molto leggere perché contenevano solo un sussidiario, un quaderno a righe e uno a quadretti, cannuccia e pennino, senza tutta la cancelleria che occupa i pesanti zaini moderni. In inverno gli scolari compartecipavano anche al riscaldamento della classe portando da casa un pezzo di legno. E’ proprio da questa parte del reportage che nasce il titolo di questo lavoro, scelto da Stefania Calleris che ha ampiamente collaborato alle riprese e all’arrangiamento di questo lungometraggio. Il primo giorno di scuola era aspettato dai bambini con trepidazione perché segnava il passaggio al mondo dei grandi, al mondo della conoscenza.

Oltre alla scuola di Barsi si vogliono citare, tra le tante scuole elementari un tempo presenti nell’area di Groppallo: Banzolo - Pratogiardino, Cantoniera, Comineto, Costiolo, Groppazzolo, Pianelle, Poggio, Pometo e Tornara. Il film prosegue permanendo sulla narrazione della vita dei montanari nel periodo infantile; spesso essi erano costretti, in età così giovane, a lavorare come famèi, servitori, in aiuto al proprietario di un’azienda agricola solitamente grande con tanti capi di bestiame. Il pastorello viveva con la nuova famiglia circa una stagione e normalmente era addetto alla conduzione e cura del bestiame, anà dré e béstar, dalla mattina, dopo la prima mungitura, sino alla sera dopo il tramonto quando le vacche rientravano nella stalla per la mungitura serale.

Al pranzo provvedeva la padrona di casa con pane e formaggio da tenere nella bisaccia e da consumare nei boschi o nei campi, mentre alla sera si cenava con minestrone o polenta per poi dormire nel fienile. I bambini, come premio per il loro operato come famèi, ricevevano dai loro genitori, il giorno di San Giovanni, un cappello di paglia, un tomino di formaggio ed un pugno di ciliegie; allo stesso modo, a fine stagione, riscuotevano anche una piccola mancia dalla famiglia ospitante. Il caposaldo della vita in montagna è sempre stato il lavoro, e tra i vari racconti che i nostri intervistati ci illustrano nel film, spicca sicuramente, oltre al faticoso lavoro nei campi e ai tanti altri come quello dell’uccisione del maiale, masà u gugnèn, quello delle “giornate delle strade”, e iurnè de strè. Era un’antica iniziativa portata avanti dall’allora Comune di Farini d’Olmo, oggi non più in uso, consistente nell’assegnazione a ciascuna famiglia di un determinato numero di giorni all’anno che questa doveva dedicare alla pulizia delle strade agro - silvo - pastorali comunali.

Il numero dei giorni assegnati dipendeva da diversi fattori ma il più importante era il possesso di buoi e la possibilità di aggiogarli ad una treggia, a léṡa, per trasportare sassi, legna, e così via. In quegli anni le strade che attraversavano campi e boschi erano perfettamente in ordine e alcune, oggi purtroppo coperte dalla boscaglia, potevano vantare un acciottolato, l’estrigà, eseguito ad arte e lungo anche diversi chilometri. Il contadino, grazie all’esperienza maturata negli anni, conosceva tantissime cose senza aver studiato la chimica o la meteorologia; egli sapeva se un campo era adatto ad una determinata coltura o se stava sopraggiungendo un temporale soltanto osservando le nuvole in cielo, osservando il volo degli uccelli. Il lavoro dell’uomo era ingentilito anche dall’importante contributo della donna, che ogni settimana sfornava del delizioso pane fatto in casa, prodotto con il proprio grano macinato presso uno dei tantissimi mulini, i mirèn, un tempo funzionanti in alta val Nure e nel video meticolosamente citati. La mansione della donna, nell’impresa agricola a conduzione famigliare, aveva dei precisi compiti che andavano oltre alla figura di mamma e di casalinga; ad essa spettava, ad esempio, la cura dell’orto, del pollaio, la tosatura delle pecore, la raccolta del fogliame, la mungitura delle vacche, operazioni che si svolgevano tutti i giorni senza dimenticare che spesso alle donne toccava anche il duro lavoro nei campi, armate di forca e rastrello, per alleviare un po’ di sudore al marito. Come la definì lo scrittore piemontese Nuto Revelli, la donna di quei tempi era l’anello forte della famiglia; a tutti gli effetti essa era un anello inossidabile che reggeva qualsiasi fatica, dolore e umiliazione. Coloro i quali hanno sempre abitato a Barsi, sono considerati privilegiati rispetto a chi doveva percorrere anche più di un’ora di strada a piedi per raggiungere Groppallo dalle frazioni più lontane, per andare a messa la domenica, per la dottrina di preparazione alla Comunione o alla Cresima o per sbrigare una qualsiasi commissione presso i tanti esercizi che già un tempo si trovavano a Barsi. Le numerose testimonianze presenti nel video faranno comprendere quanto sia vitale per tutte le frazioni del territorio groppallino la chiesa, a céṡa, dell’Assunta posta a 1000 m in cima al monte Castellaro, u Castlà, il faro di tutta la comunità. In questa sezione saranno tra l’altro ricordate le antiche usanze religiose oggi andate in disuso come, per citarne alcune, il digiuno assoluto dalla mezzanotte precedente la Comunione o il divieto di toccare l’ostia, o masticarla. A Groppallo ci si andava anche per il giorno più bello di tutta la vita, il matrimonio; non saranno dimenticati, dai nostri narranti, i ricordi più vivi che ruotavano attorno a questa festa, come la richiesta del consenso, u cõnsẽns, la cerimonia, la festa e gli scherzi degli amici.

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