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Redazione

Nella moda della "fotografia dell'abbandono", il bello è la scoperta

La mia prima foto l'ho scattata diversi anni fa. Fin da piccola avevo la mia compatta analogica con il suo bel rullino (solitamente iso 400) e il mio terrore era doverlo riavvolgere quando terminava. Ho capito che alla fine la foto può essere bella anche se non riproduce la bellezza. Ciò che importa è che la foto racconti qualcosa, la foto deve essere studiata, elaborata e deve lasciarti un ricordo.

La mia prima foto l’ho scattata diversi anni fa. Fin da piccola avevo la mia compatta analogica con il suo bel  rullino (solitamente iso 400)  e il mio terrore era doverlo riavvolgere quando terminava. In seconda media avevo perso tutte le foto della gita in montagna perché qualcosa era andato storto durante il riavvolgimento,  un disastro!  Con il digitale la paura del rullino è passata. Ora ci sono le schede di memoria: in un attimo e con estrema facilità possiamo visualizzare ed editare le nostre immagini al computer.

Ho sempre amato le foto naturalistiche, i paesaggi, le macro. Osservavo e ammiravo quei fotografi che riuscivano a riprodurre scorci naturalistici con una tale nitidezza d’immagine da sembrare reali. Però un anno fa, per il mio compleanno, mi è stato regalato un libro, il regalo era inaspettato, quindi ancora più gradito. Era un libro di fotografia, un genere totalmente diverso da quello che ho sempre cercato di studiare. Un genere che conoscevo bene, perché molto di moda, ma non avevo mai avuto interesse ad affrontarlo. Beh, quel libro mi ha spronata a cercare nuove idee, nuove passioni. Ho capito che alla fine la foto può essere bella anche se non riproduce la bellezza. Ciò che importa è che la foto racconti qualcosa, la foto deve essere studiata, elaborata e deve lasciarti un ricordo.

Durante la prima lezione di Storia del cinema contemporaneo, il prof ci disse che cinema e fotografia nascono nell’ Antica Grecia, quando la figlia di un vasaio, per ricordare l’amato, che l’indomani l’avrebbe lasciata, ne disegnò il profilo sul muro, seguendone l’ombra. Grazie a quel disegno il padre poté realizzarle una scultura. L’ombra impressa sul muro, la fotografia e il cinema impressi sulla pellicola.

A questo punto uno si domanderà:  cosa era rappresentato in quel libro? Ed eccovi accontentati! Il libro era un susseguirsi di foto legate all’ abbandono: case disabitate, castelli dimenticati,  cimiteri abbandonati. Tutti luoghi estremamente affascinanti che non dovevano essere cancellati dalla memoria. Così mi sono lanciata alla ricerca di questi posti. Nella nostra provincia e in quelle limitrofe ce ne sono davvero tanti. E proprio questi edifici sono stati il soggetto  della mia prima mostra “Lovelorn” realizzata insieme alla giornalista Emanuela Gatti.

La fotografia dell’abbandono è ormai una moda, quindi il bello è la scoperta. Non sono molto attratta dai luoghi famosi, come le industrie in disuso e altri posti simili (anche se sicuramente andrò). La mia preferenza cade sempre sulle case, luoghi dove puoi ancora trovare oggetti che un tempo appartenevano a qualcuno, le cui pareti possono raccontare semplici storie di amore e di vita.

Foto1_Corte S Andrea_2012-3

In questo scatto ho cercato di evidenziare il tempo che passa. La dominante verde caratterizza la foto, il verde rende l’atmosfera quasi surreale, ma ne evidenzia le ragnatele che arredano tutto il soffitto, un dettaglio fondamentale!  Anche la sporcizia, le macerie, le crepe, gli oggetti accatastati  senza logica acquistano valore e bellezza. Tantissimi oggetti che affollano il pavimento: damigiane in vetro, un baule, batterie esaurite, copertoni e sporcizia in ogni dove.

Foto2_Alzanese 2013-2

Questa foto è stata scattata nella nostra provincia. Il luogo non è segnalato su nessuna cartina, si tratta di una villa padronale che fa parte di un piccolissimo agglomerato di case, utilizzato dai partigiani durante la seconda guerra mondiale. La casa è stata sicuramente abitata fino agli anni 70, perché nella stanza a fianco c’era ancora un frigorifero. Al piano superiore è ancora presente un letto matrimoniale con tanto di materasso. Questa, a giudicare dall’arredamento, doveva essere la cucina (anche se al centro domina un materasso). Il camino, la credenza e la stufa fanno pensare ad un luogo familiare. Un tempo quegli oggetti appartenevano a qualcuno, erano utilizzati quotidianamente, hanno una storia e poi quel qualcuno se ne è dimenticato o li ha dovuti abbandonare.

Per concludere questo primo “episodio” qualcuno mi ha giustamente ricordato di spiegare perché “esercizi di osservazione”. I titoli sono la cosa peggiore, ho trascorso  giorni e giorni a fare brainstorming alla ricerca di qualcosa che fosse originale, ma niente da fare. Fino a quando non ho letto questa frase “La macchina fotografica può rivelare i segreti che l’occhio nudo o la mente non colgono, sparisce tutto tranne quello che viene messo a fuoco con l’obiettivo. La fotografia è un esercizio d’osservazione” .  Isabel Allende fa pronunciare queste parole alla protagonista del suo libro “Ritratto in seppia” che trova proprio nella fotografia la sua ragione di vita. Ed è proprio così, fotografare vuole dire esercitarsi ad osservare, perché con l’obiettivo possiamo cogliere particolari che altrimenti non noteremmo, possiamo avvicinare i soggetti, possiamo trasformarli e farli diventate un bellissimo ricordo.

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