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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cultura

Una riflessione sull’estetica nella conferenza del professor Carmelo Sciascia

Dall'età classica a Benedetto Croce, con riferimenti a Piacenza C.Ar.D

Estetica ieri e oggi. E’ questo il titolo della conferenza svolta alla Biblioteca comunale a cura del Comitato piacentino della Dante Alighieri. Relatore il prof.  Carmelo Sciascia, impegnato in settori dell’arte, la cui dotta ma scorrevole esposizione è riuscita interessare a un argomento piuttosto difficile, l’affollata eterogenea platea presente nel Salone monumentale della Passerini Landi. L’estetica - ha spiegato Sciascia - è stata tradizionalmente definita come lo studio del bello. Noi siamo stati educati secondo un senso comune che considerava intrinsecamente bella soltanto la natura e le sue manifestazioni, il prodotto artistico diventa bello unicamente in quanto ne partecipa. È la visione che troviamo in Dante Alighieri; in tutta la sua opera è magnificamente espressa nel canto I del Paradiso, declamato in parte nel corso della conferenza dal presidente della Dante Roberto Laurenzano e poi commentato nelle prime due terzine da Sciascia prima di spiegare la concezione filosofica ed estetica di tutta la cultura classica greco latina attraverso l’opera pittorica del nostro Rinascimento “La scuola di Atene” di Raffaello.

Alcune frasi tratte dall’approfondita esposizione del professore: “Chi compie il grande salto, chi toglie qualsiasi steccato alla libera interpretazione artistica sarà Hegel”; e ancora: “E’ lo stesso Shakespeare nell’opera Macbeth che fa dire alle streghe: “Il bello è brutto, il brutto è bello”. 

A proposito dell’arte contemporanea, dove qualsiasi considerazione estetica cede il passo a un consumismo spregiudicato, il prof. Sciascia ha poi citato la Biennale di Venezia dove abbiamo di tutto:  voci che ci inseguono, video ammiccanti, intestini di animali, forme falliche, corpi indefiniti ed indefinibili. A Piacenza con il C.Ar.D.  Contemporary Art e Design, abbiamo avuto scatti fotografici, reti metalliche, pezzi di vetro di scarto (i soffi), gigantesca installazione lignea, marmo (il materiale è sicuramente nobile, l’allegoria che rappresenta non so…), e poi quadri che quadri non sono ma plexiglas, stoffe, feltri ecc… manufatti vari, cemento, acciaio e luci, installazioni con l’impiego di tecnologie avanzate... insieme di oggetti appesi alle pareti, vesciche illuminate…

Riprendendo il tema principale: storicamente, nella civiltà contadina soprattutto, il concetto di bello era abbinato al concetto di buono e di utile. L’aratro per il contadino era bello perché utile, quindi buono. Questo pensiero ha una nobile teorizzazione nel filosofo Benedetto  Croce, per il quale l’Associazione Dante Alighieri di Piacenza ha promosso la conferenza per celebrarne l’anniversario dei 150 anni della nascita.  

Nella sua filosofia infatti bello, vero, utile, buono non si negano, né si superano l’un l’altro: sono semplicemente dei “distinti”, nei quali si articola l’attività dello spirito.  Dice Croce: “Una piccola poesia è esteticamente pari a un poema; un minuscolo quadretto o uno schizzo, a un quadro di altare o ad un affresco; una lettera può essere cosa d’arte non meno di un romanzo; perfino una bella traduzione è originale quanto un’opera originale!”

Croce non vede di buon occhio le discipline fisico-matematiche, perché semplici strumenti adatti alla catalogazione “concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente a che vedere con la meditazione del vero”.

Croce ed Einstein, diversi e distanti nelle relative ricerche epistemologiche, furono accomunati da un impegno politico comune. Scrissero entrambi su un volume sulla libertà pubblicato nel 1940 a New York. Quattro anni dopo, Einstein gli scrisse ancora sottolineando l’impegno che il filosofo italiano aveva  profuso nella ricostruzione. E di impegno ne profuse, sia nella ricostruzione del dopoguerra,  come in una costante ventennale opposizione al fascismo.

L’elemento  base della filosofia di Croce per Sciascia è da ricercarsi  nel Concetto Circolare bene espresso dal simbolo dell’Uroboro, simbolo molto antico, presente in tutti i popoli e in tutte le epoche. Rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Simboleggia quindi l'unità androgina primordiale, la totalità del tutto, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico, l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.

L’opera di Croce fu avversata dal fascismo ed inserita nell’indice dei libri proibiti dalla Chiesa (in buona compagnia con Giordano Bruno e Galileo Galilei. Caratterizzò, il Croce, un cinquantennio di vita culturale in Italia e nel mondo, fu una indubbia personalità “eccezionale”, come la definì lo stesso Gramsci.

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