Accordo commerciale UE e UK nel post Brexit: serve sinergia di competenze per il futuro
Un'intesa analizzata con uno specifico webinar proposto dalla facoltà di Economia e Giurisprudenza, in collaborazione con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e con Confindustria Piacenza
Milletrecentonovanta. A tanto ammontano le pagine che caratterizzano l’accordo commerciale siglato, dopo lunghe e complesse trattative concluse proprio sul filo di lana, sugli scambi e la cooperazione tra l'UE e il Regno Unito per il dopo-Brexit. Un'intesa analizzata con uno specifico webinar proposto dalla facoltà di Economia e Giurisprudenza, in collaborazione con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e con Confindustria Piacenza. Un incontro di cui sono stati relatori Bruno Ferroni, docente di International Business Law all’Università Cattolica di Piacenza e referente per il tema della fiscalità internazionale e delle dogane in Assonime, l’Associazione nazionale delle imprese e Giuseppe Condina, Capo Sezione Tributi, Antifrode e Controlli dell’Ufficio delle Dogane di Piacenza, una delle più importanti dogane del nostro Paese. Presenti il preside della facoltà di Economia e Giurisprudenza, Anna Maria Fellegara, del direttore Interregionale delle Dogane Franco Retrali e del presidente di Confindustria Piacenza Francesco Rolleri. A coordinare l’evento Andrea Renai vicepresidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Piacenza ed il professore Marco Allena docente di Diritto tributario dell’Università Cattolica. «In pratica - è stato sottolineato - dal primo gennaio 2021 il Regno Unito ha assunto lo status di “paese terzo” rispetto all’Unione Europea». «Una nuova condizione - ha sottolineato Ferroni - che va affrontata con sinergie di competenze per il futuro a favore delle imprese che affrontano per la prima volta queste problematiche, considerato che Piacenza si colloca in un contesto molto attivo negli scambi commerciali con l'UK e che sul nostro territorio c’è un importante polo logistico fornitore di servizi».
Il Tca (accordo commercio e cooperazione) prevede che nessuna delle due parti debba allinearsi dinamicamente alle regole dell’altra in materia di aiuti di Stato, protezione ambientale, lotta ai cambiamenti climatici, diritti sociali e dei lavoratori e trasparenza fiscale, ma entrambe si sono impegnate a rispettare standard elevati e a non regredire rispetto a quelli già raggiunti in questi settori. Tuttavia, nel caso in cui si verifichino significative divergenze in questi settori, che vadano a impattare sul commercio o sugli investimenti, le parti sono autorizzate a adottare contromisure di riequilibrio. Questo vuol dire, per esempio, che se il Recovery Fund da 750 miliardi di euro si andasse a configurare come aiuto di Stato a livello europeo, il Regno Unito potrebbe a sua volta fornire sussidi alla propria economia per una proporzione equivalente. Un accordo dunque al rialzo, così come accaduto per le regole di origine.
L’accordo non prevede tariffe o quote per i beni di origine europea o britannica, laddove per “origine” si intende la località in cui viene realizzata una certa proporzione dei componenti di un prodotto e dove vengono assemblati. E consente la cumulazione bilaterale sia per i materiali che per la lavorazione, mentre non l’autorizza per le provenienze terze. In altre parole, i materiali Ue incorporati in un prodotto inglese concorrono a determinarne l’origine britannica e viceversa, mentre semilavorati extra-Ue (o extra-Uk) per lo stesso prodotto potranno spingersi fino a un massimo del 40% del suo valore. In caso contrario vedranno l’applicazione dei dazi. Non ci sarà invece il riconoscimento incrociato degli standard di conformità sui prodotti, che dovranno essere sottoposti a due processi separati di valutazione per essere immessi sui rispettivi mercati. I prodotti sanitari e fitosanitari, sia gli animali e i prodotti di origine animale (dalla carne ai derivati del latte) sono stati autorizzati all’importazione dall’Unione Europea, in virtù del “Third Country status”.
Gli accordi sono probabilmente il miglior risultato possibile nelle circostanze in cui sono stati negoziati e conclusi. Scongiurano una separazione netta, immediata e “disordinata” in mercati distinti per due grandi economie finora fortemente interdipendenti, senza un quadro di regole concordate e meccanismi di cooperazione. Uno scenario che avrebbe bloccato in gran parte gli scambi e penalizzato fortemente le imprese e i cittadini, con notevoli dazi alle frontiere che sarebbero stati imposti di default sugli scambi di merci secondo le norme dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto): 50% e più per la maggior parte dei prodotti agroalimentari, 25% per il pesce trasformato, 10% per le auto, 12% per i prodotti tessili e 17% per le calzature. L’accordo commerciale e di cooperazione, in particolare, è riuscito ad assicurare l’obiettivo principale per lo scambio di merci, il principio zero dazi e zero quote doganali. E sebbene in alcuni altri settori sia previsto comunque un taglio netto, una vera e propria separazione dei mercati, riguardo alle merci il Regno Unito resterà in sostanza integrato in quello che un tempo, prima dell’instaurazione del Mercato Unico nel 1993, era il Mercato Comune europeo, ma senza l’Unione doganale. Condina ha invece trattato dell’applicazione delle procedure doganali e ha ricordato che a Piacenza nel 2020 ci sono state ben 160mila dichiarazioni nell’ambito degli scambi.