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Economia

Andrea Zanfi narra 40 anni del vino italiano intervistando 43 protagonisti

Un libro-viaggio tra colline, cantine e vigneti

Un viaggio lungo colline, vigneti e cantine, intrecciato di microstorie è narrato con piacevole leggerezza nel libro “Essenze, leggende e storie – L’anno zero del vino italiano”. E’ scritto dall’autore-editore Andrea Zanfi, stampatore anche “Bubble’s Italia Magazine”, il quadrimestrale nazionale, che racconta le bellezze italiane, panorami e architetture, grandi fotografi, artigiani del gusto e il patrimonio del comparto vino made in Italy. Le opere di Zanfi vengono acquistate per essere lette, per arricchire biblioteca private e pubbliche in posizione di pronta consultazione. Questo nuovo libro si compone di 422 pagine che coinvolgono direttamente i consumatori "consapevoli", gli appassionati del buon gusto e dei prodotti di qualità.  Ne parliamo in modo esteso perché con i viandanti del calibro di Antinori, Folonari, Frescobaldi, Felluga, Gancia, Lunelli, Maculan, Bucci, Forte, ci sono anche gli emiliani Chiarli e Giacobazzi e con loro il piacentino Giampietro Comolli, la cui carriera professionale è costellata di posizione di vertice in griffe vitivinicole e del cibo tra le quali Franciacorta, Bolgheri, Ferrari, Segnana, Surgiva, Salaparuta, Prosecco, Altamarca. All’origine c’è l’esperienza piacentina nei primi anni 9788899929145_0_0_0_75-2’80 lanciando cucina, cibo, piatti tipici con il marchio agrituristico piacentino di Terranostra diventato nazionale.  “Personaggio difficile, dalla personalità forte, dalla capacità di saper prendere posizione anche controcorrente evitando però il doppio rischio del banale e del profetismo - così lo presenta ai lettori l’intervistatore Zanfi - Comolli è sempre stato un accanito sostenitore del valore economico e sociale dell’associazionismo in agricoltura in generale, dei consorzi di tutela del vino in particolare; per molti colleghi è un maestro e uno dei più completi direttori di enti collettivi in Italia”. Dalle pagine di Zanfi emerge il suo carattere secco, stakanovista, verticale: “Tutte le volte che con Giampietro parlo del mondo del vino c’è sempre da rapportarsi con la sua visione dei fatti e con le sue verità assolute. Per lui il dubbio è poco accettabile e le esperienze passate sono certezze universali e granitiche, in ogni caso difficili da rimuovere. Ci sono due tonalità di pensieri, quella bianca o quella nera, e lui ha l’assoluta sicurezza che, comunque le si guardi, una delle due è la sua ed è l’unica che conta.  È uno che va di traverso a molti; è come una spina di pesce che ti rimane in gola e dà fastidio, ma è anche uno che sa cucinare bene quel pesce che hai deciso di condividere con lui”.  “Cominciai a interessarmi al vino nel 1973, sotto l’ala di mio nonno - racconta Comolli nell’azienda agricola di mia madre. Producevamo un vino rosso e uno bianco frizzante; uno spumantino fermentato in bottiglia piacevolissimo, che tuttavia – come il rosso del resto – si presentava con un “fondo” in bottiglia, che di fatto lo rendeva difficilmente commercializzabile, un “vino del contadino”.

Nell’intervista Zanfi ripercorre tutta la carriera di Comolli, da Piacenza fin in Sicilia, dalla Lombardia fino al Veneto, con tappe in Cava, Champagne, Alsazia, Stiria partendo prima dalla dirigenza Anga in Unione Agricoltori, dal segretariato di zona in alta val Nure, dove si trovò sul tavolo della note e tanto discusse quote latte. Già allora, confida, con alcuni dubbi sulla gestione e sulle motivazioni pubbliche di tale imposizione UE. Dopo aver creato il marchio Terranostra, Comolli racconta il suo contributo alla stesura sia della prima legge italiana sull’Agriturismo, sia di quella sulle Strade del Vino: “Il sistema agricolo stava cambiando così rapidamente che sentivo la necessità di stargli al passo. Contemporaneamente la passione del vino mi spinse a seguire e superare i corsi da sommelier e degustatore iscrivendomi alla prima Arci Gola e ai seminari di Gino Veronelli, di cui divenni allievo e amico”.  Seguono i primi otto anni passati a creare e a dirigere il Consorzio tutela Doc Colli Piacentini, riscrivendo il disciplinare da 3 a 18 Doc, allargando i territori Doc di Gutturnio frizzante consentendo a molte terre piacentine di qualificarsi e incrementare il valore e Trebbianino Val Trebbia, inserendo le tipologie Classico, Superiore e Riserva per sdoganare la voglia di vini rossi fermi internazionali. Piacenza crebbe enormemente con i Doc: il Gutturnio divenne il vino più consumato a Milano.    Nel 1991 è al fianco del prof Mario Fregoni nella stesura degli articoli dei vini spumanti e frizzanti nella legge 164/92 che riorganizzò tutte le Docg-Doc, ma nell’andare in stampa, vennero tolti perché all’epoca il vino spumante italiano doveva essere solo Asti e industriale!   Da qui la scelta rischiosa di dimostrare e provare di aver ragione andando per 8 anni a dirigere il Consorzio e lanciare il Franciacorta come alternativa dello Champagne. “Fu un tempo di grande crescita professionale e di conoscenza delle bollicine”.  Accettò quindi l’offerta della famiglia Lunelli, diventando direttore strategico del gruppo Lunelli-Ferrari, poi una nuova fase di vita professionale dedicata a conoscere più territori, distretti, per una visione più completa sul panorama del sistema vitivinicolo italiano. Zanfi è molto abile a estrapolare le riflessioni di Comolli: “…all’inizio anni ‘80 la produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata non arrivava al 10% degli ettolitri prodotti; il vino veniva venduto sfuso, a 400-600 lire litro e il mercato era regolamentato dai commercianti, che dettavano regole e prezzi. Il cambiamento radicale avvenne però poco dopo, quando il mercato riconobbe il valore del vino prodotto da quei vignaioli che pensarono di governare autonomamente l’intera filiera produttiva.  Dalla legge nazionale del 1963, che dette vita alle Denominazioni di Origine in Italia, dovemmo attendere la legge 164 del 1992, dopo l’evento delittuoso del metanolo, per mettere mano a un sistema che aveva pochissimi elementi di garanzia e nessun controllo reale del vino per il consumatore.  “Ho assistito alla fioritura di molti territori viticoli prima di allora sconosciuti, ma ci sarebbe ancora tanto da fare. Pensa che sette bottiglie su dieci vengono vendute ancora con il nome del vitigno e non con il nome del territorio. Nel settore ci sono potenzialità enormi, inespresse. Siamo ancora ai primi vagiti di un sistema vino che deve ancora incominciare a camminare. Potrebbe essere il tempo di grandi cambiamenti organizzativi, culturali, sociali, economici che dovrebbero implementare l’impresa vitivinicola.  Nell’intervista si mescolano quaranta e oltre anni dedicati al vino italiano in tutte le sue sfaccettature anche come visione nazionale ed europea di un comparto che conta molto per l’Italia; si sottolinea il grande numero di imprese premiate, l’alta qualità raggiunta sia nell’uva che nel vino, ma anche la delusione per il basso valore dell’uva italiana, e piacentina in particolare. “Dobbiamo cambiare passo, smetterla di pigiare il piede sull’acceleratore e correre tanto per correre. Dobbiamo riflettere su dove andare pensando a come mai oggi si vende un litro di vino sfuso a 0,60 centesimi e sessant’anni fa lo vendevamo a 120-140 lire...”.

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