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Economia

Arata (Consorzio Agri Piacenza Latte): «Momento difficile per il mercato»

Latte spot e per il canale Horeca, la situazione è delicata. Il direttore del Consorzio: «C’è bisogno di un nuovo piano strategico per i prodotti Dop»

«Il momento è complicato, soprattutto per il latte spot (latte crudo sfuso in cisterna) e per i conferimenti del Bianco d’Italia al canale Ho.re.ca. Se nel primo caso si tratta di un mercato quasi sempre caratterizzato da dinamici cambiamenti, il secondo risente della chiusura di ristoranti, ristorazione collettiva, feste con catering ecc., dovuti alle chiusure per il Covid. Non rimane altro da fare che attendere al più presto la ripartenza; nel contempo per i prodotti Dop, in particolare il grana padano, è improcrastinabile predisporre un nuovo piano strategico con tutta la filiera». Delinea così l’attuale situazione di mercato il direttore di Agri Piacenza Latte Roberto Arata che guida (ovviamente di concerto con il Consiglio di amministrazione) uno dei più importanti Consorzi italiani del settore lattiero-caseario, attivo da più di vent’anni e con oltre 150 soci allevatori presenti nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Piemonte e Friuli Venezia Giulia.

Un Consorzio che quotidianamente gestisce e commercializza circa 700 tonnellate di latte, con un proprio caseificio di trasformazione per il Grana padano a Cortemaggiore e ne utilizza uno per la produzione del Bianco d’Italia poi stagionato sempre nel paese della Bassa padana in un nuovo grande capannone edificato a tal fine.

«Dopo la fine del regime di applicazione delle quote-latte (introdotto dall'UE negli anni '90 e definitivamente abolito il 01 aprile 2015) lo scenario- ricorda Arata- è cambiato ed a livello nazionale riscontriamo un consistente aumento delle quantità di latte bovino prodotto, anche in assenza di significativi aumenti di capi allevati, ma grazie all'ottimizzazione della produzione per capo. Siamo infatti passati da una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte (nel 2015) ad una produzione di circa 128 milioni di quintali nel 2020. Addirittura quest’anno- soggiunge Arata- la previsione è di 130 milioni di quintali, oltre il 20%, il 25% in più nelle aree più produttive come Lombardia ed Emilia-Romagna.

«In pratica - ricorda il direttore - i Psr elaborati dalle Regioni hanno stimolato ed agevolato il miglioramento delle stalle, quindi incentivato il discorso produttivo: ma se poi vengono posti limiti alla produzione Dop del grana inevitabilmente si verifica, per ovvi motivi commerciali, un travaso verso i similari che poi di fatto creano una forte concorrenza al grana padano stesso. Non va certamente meglio per il latte spot oggi venduto attorno a 32 cent. compreso trasporto e qualità; quindi alla stalla è sotto i 30. E’ comunque- va osservato- un comparto molto volatile la cui situazione può cambiare rapidamente».

La crescita della produzione ha prodotto un cambiamento nel panorama del comparto: «anzitutto lo spopolamento di alcune aree interne perché non più economiche per i costi produttivi; nel contempo la concentrazione di capi ha prodotto un aumento dei nitrati in altre aree più vocate. Infine il prezzo del latte italiano che fino a pochi anni fa era il più elevato in Europa oggi è stato invece sopravanzato da diversi Paesi».

«Tutto questo richiede - ribadisce con convinzione Arata - un forte rilancio del settore zootecnico da latte che dovrà basarsi su alcuni principi fondamentali: un piano strategico condiviso per l'export dei nostri prodotti. Una intensa campagna diroberto arata-4 comunicazione sulla qualità dei prodotti italiani e la valorizzazione del Made in ltaly attraverso l'ICE (istituto per il commercio estero) e le Ambasciate.

All'interno di questo progetto complessivo, un ruolo di primo piano dovrà essere rivestito dai Consorzi di Tutela e dalle organizzazioni dei produttori agricoli. Se tale piano fosse realizzato porterebbe sicuramente ad un mantenimento della presenza umana anche nei territori svantaggiati e valorizzerebbe le produzioni tipiche tradizionali».

Arata rivolge anche un preciso messaggio al Consorzio del Grana padano. «Un ruolo strategico per questi obiettivi lo riveste sicuramente il Grana Padano, sia per la sua estensione territoriale che coinvolge diverse regioni, sia perché il prezzo di questo prodotto ha sicuramente un impatto su quello del latte prodotto nelle regioni del Nord Italia e non destinato a Grana Padano. In passato - ricorda il direttore di Agri Piacenza latte - la strategia consortile ha permesso di ottenere anche risultati positivi, ma oggi, con la fine delle quote-latte, occorrono scelte non corporative e non conservative, anche perché- precisa- questa strategia consortile, sta portando il mercato (italiano e non) a proporre una quantità di formaggi similari genericamente indicati come "formaggi duri da tavola" che ha raggiunto circa il 30% della produzione del Grana Padano. Oggi il Grana Padano di fatto "concede" di produrre circa 5 milioni di forme ed i similari sono ormai vicini a 1,5 milioni di forme».

Pertanto a parere di Arata per limitare l'ulteriore espansione di questo fenomeno (collegato, come puntualizzato, agli aumenti di produzione del latte) sarebbe necessario rivedere il Piano produttivo del Grana Padano in moderata espansione. Questo "calmierebbe" il costo delle quote-forme ormai arrivato a 400 euro/forma (un prezzo speculativo!) e permetterebbe inoltre l'ingresso graduale di nuovi produttori. Bisognerebbe prevedere un aumento delle forme assegnate a quei trasformatori in grado di espandersi su nuovi mercati conquistando spazi che sarebbero comunque occupati dai formaggi similari.

«Ci vogliono poi – ribadisce - scelte molto coraggiose e forti (dopo la fase pandemica) per permettere il rilancio dell'economia, coinvolgendo soprattutto gli allevatori nelle decisioni che riguardano il loro futuro perché- come precisato tanti produttori che hanno aderito ai Piani Di Sviluppo Rurale, usufruendo di contributi a fondo perduto per migliorare le produzioni lattiere con aumenti produttivi, oggi si trovano in grossa difficoltà per il collocamento del latte che non viene ritirato da chi produce formaggi D.O.P soggetti a contingentamenti produttivi».

Infine c’è la necessità di riprogrammare i Piani produttivi dei Consorzi di Tutela prevedendo nuove modalità di attuazione che permettano di evitare di “ingessare” e penalizzare eccessivamente le migliori aziende zootecniche che non possono essere costrette a ridurre le produzioni per non finire fuori mercato. «Per questo auspico una forte convergenza per evitare che le nostre produzioni casearie D.O.P. vengano surclassate da prodotti similari che stanno progressivamente occupando gli spazi di crescita non presidiati dalle D.O.P».

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