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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia

Aumentano gli acquisti di carne suina, ma «gli allevatori non ne beneficiano»

La piacentina Giovanna Parmigiani spiega i motivi anche sulle colonne de “Il Sole24 ore”

Il prestigioso giornale economico Sole24ore – Food ha dedicato alcuni giorni fa un articolo al mercato della carne suina in cui l’allevatrice piacentina Giovanna Parmigiani, membro di giunta di Confagricoltura nazionale, ha esposto le ragioni del perché l’incremento delle vendite non si traduce in un maggior ricavo per gli allevatori.

In base ai dati Istat - le famiglie privilegiano i prodotti con prezzi più contenuti. Crescono gli acquisti dei tagli freschi di maiale avvantaggiati dalla maggior convenienza rispetto ad altre tipologie di carne. A ottobre la quantità di prodotti alimentari acquistati dagli italiani è diminuita del 7,9% ma, secondo l’Istat, gli euro spesi sono stati il 4,7% in più. I consumi di carne suina, sia i tagli freschi che i salumi, si prestano bene a descrivere gli effetti della crisi sulle scelte delle famiglie.

«Le dinamiche di fondo - sono simili a quelle che si riscontrano in molti altri settori dell’alimentare (e non) – sottolinea Parmigiani - i costi produttivi in forte aumento e la conseguente inflazione condiziona i consumi, “spostandoli” su prodotti più economici per compensare i rincari. Non è un caso quindi che i tagli freschi di maiale siano l’unico tipo di carne che registra un incremento delle quantità acquistate, perché più economico rispetto alla carne bovina e al pollame». Secondo l’ultimo rapporto Ismea, le vendite in volume sono cresciute del 4,6% da gennaio a settembre, per un aumento della spesa in valore (cioè in sostanza degli euro pagati complessivamente) del 10,3 per cento. La carne bovina ha visto aumentare invece la spesa del 4% in valore ma in quantità è diminuita del 4,5%; la spesa per la carne bianca è aumentata del 15%, ma ha perso quasi il 2% in quantità. Il motivo? I prezzi della carne suina sono più bassi e sono cresciuti meno delle carni bianche (dal 18 al 25%) e delle rosse (7-8%).

«Purtroppo i vantaggi per gli allevatori e la filiera italiana sono limitati. Da un lato perché i costi di produzione elevati – rileva Ismea – sono «solo in parte compensati dai maggiori ricavi». Un trend che potrebbe «continuare a incidere nei prossimi mesi sulle scelte di riduzione del patrimonio zootecnico da parte degli allevatori nazionali», dopo che già nei primi 10 mesi dell’anno è stato registrato un calo produttivo di oltre il 5% rispetto al 2021 sia in Italia che a livello internazionale. Dall’altro perché la ricerca del minor prezzo è coperta soprattutto da carne importata (in aumento del 17,6% in valore contro il +2% dell’export). La suinicoltura italiana è infatti ormai destinata soprattutto ai salumi e «il 75% della carne macellata entra nel circuito Dop».

Le quotazioni di questi tagli sono cresciute molto nell’ultimo anno, ma rischiano di non essere più “un’assicurazione” per gli allevatori: nei salumi infatti gli acquisti sono pressoché stabili (+0,4% in quantità per una spesa cresciuta del +3,9%) e offrono un’ampia gamma di prodotti, con la possibilità di scegliere quello più conveniente, infatti la mortadella è cresciuta del 4,3% e il Prosciutto di Parma Dop ha invece perso quasi l’11%.

«Se è vero che la situazione è leggermente migliorata rispetto a un anno fa, quando l’abbondanza di offerta a livello mondiale abbatteva i prezzi, – sottolinea Giovanna Parmigiani nel suo intervento - la stessa Ismea afferma che l’aumento dei listini non ripaga quello dei costi d’allevamento, che sono cresciuti di oltre il 30 per cento. Il fatto che la produzione nazionale sia scesa è la chiara dimostrazione delle difficoltà soprattutto dei piccoli allevatori, che non hanno le capacità finanziare per resistere ai periodi più difficili e vengono spesso inglobati dalle realtà più grandi. Inoltre si va verso regole sempre più stringenti sulle emissioni inquinanti nonostante tanto sia stato già fatto fino a oggi. E questo ovviamente vuol dire necessità di più investimenti e ulteriori costi dovuti alla burocrazia. Per non parlare poi della grande incertezza legata al rischio Psa: ormai è passato un anno dal primo allarme e non è stato fatto ancora abbastanza ad esempio per il contenimento dei cinghiali, che sono il veicolo che potrebbe portare il contagio dentro gli allevamenti, con conseguenze devastanti».

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