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Economia

«Col piano produttivo Grana Padano ignorate le necessità dei produttori»

Gasparini (Confagricoltura Piacenza): «No al Piano Produttivo senza consenso degli allevatori. Non è un attacco al Consorzio, ma una difesa delle norme Ue»

«Il consorzio del Grana Padano lavora alla messa a punto dell’ennesimo piano produttivo triennale che, se approvato, vedrà la luce entro fine anno. Ancora una volta ribadiamo che ha fatto diventare il piano produttivo, approvandolo continuativamente ogni tre anni dal 2007, uno strumento ordinario di gestione delle produzioni di formaggio, quando doveva essere uno strumento di intervento straordinario come prevede la normativa europea. E lo ha fatto senza tenere in alcuna considerazione l’andamento dei quantitativi di latte prodotti e le necessità dei produttori». 
Così Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza, in una nota stampa.

«Sottoscrivere il piano produttivo così come ci è stato presentato per il prossimo triennio - dice Gasparini - significa accettare ancora una volta di produrre latte senza avere alcun potere negoziale nella sua collocazione. Gli allevatori devono esserne consapevoli e assumere le decisioni conseguenti. Questo non è un attacco al consorzio – rimarca Gasparini – ma una difesa delle norme Ue e dei diritti dei produttori latte». 

«Il consorzio di tutela in quanto posto a tutela di una Dop – gli fa eco Alfredo Lucchini, presidente della sezione di prodotto Lattiero-Casearia di Confagricoltura Piacenza - ha l’obbligo di promuovere e tutelare un asset pubblico, di proprietà di un territorio e non si può comportare come una spa che agisce nell’interesse solo dei propri associati, che di fatto non sono gli allevatori. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella nota “Modalità di definizione dei Piani di Regolazione dell’offerta dei formaggi dop” del 29 maggio 2017 ha espresso una serie di raccomandazioni a parere di Confagricoltura Piacenza continuamente disattese. L’Agcm, rimarcando la straordinarietà dei Piani produttivi, ha precisato che “tutte le deroghe previste dalla specifica normativa settoriale all’applicazione della disciplina della concorrenza, anche laddove rivolte ai settori della prima trasformazione industriale, risultano specificatamente destinate a tutelare il settore primario della produzione agricola, maggiormente esposto alla volatilità dei mercati e ad un conseguente rischio di instabilità dei redditi. Ciò pone, quindi, un’esigenza di monitorare costantemente il rispetto della rappresentatività della componente agricola nell’ambito delle decisioni assunte dal Consorzio, con riferimento sia agli obiettivi produttivi individuati sia alle concrete modalità con cui i Piani di Regolazione vengono attuati ed applicati”». 

Su questo aspetto Confagricoltura Piacenza ha evidenziato «un’ulteriore mancanza del Consorzio in quanto la definizione e l’approvazione dei Piani Produttivi è votata solamente dai trasformatori. La richiesta di approvazione presentata ai produttori non viene posta come una scelta, mentre la normativa di riferimento rimarca il ruolo fondamentale della parte agricola e annovera, tra l’altro, la necessità della stipula di un accordo preventivo tra le parti. Il Consorzio invece si fa carico di chiedere l’adesione al Piano da parte dei produttori attraverso i trasformatori contando su un rapporto di forza squilibrato dall’eccesso di offerta dato che la base di conferenti è molto più ampia di quella necessaria. Tale situazione implica che l’adesione venga data, pur di evitare il rischio di mancato ritiro del proprio latte, senza avere piena conoscenza di quanto esplicitato nel Piano Produttivo e soprassedendo sulla necessaria analisi per una consapevole condivisione. Nel caso delle Cooperative, il fatto che “il caseificio cooperativo rappresenta automaticamente le stalle dei soci” rende ancor più difficile verificare l’effettiva adesione dei singoli che per regolamento deve essere manifesta. Tale modalità confligge con la norma che indica espressamente come l’accordo preventivo di adesione al Piano di Regolazione dell’offerta debba essere sottoscritto dai 2/3 dei produttori di latte che rappresentino almeno i 2/3 del latte crudo utilizzato per la produzione del formaggio ribadendo come la parte agricola sia fondamentale nella definizione dei Piani Produttivi. Altrettanto chiaramente produttori e trasformatori sono soggetti ben distinti ed è desumibile che in tale contesto, al posto dei produttori, per delega, possano votare i consorzi di produttori latte. Per contro, le cooperative di trasformazione rappresentano la parte della produzione del formaggio. Le ragioni esposte hanno valenza tale che, alla vigilia dell’approvazione del Piano Produttivo 2019-2021 il Mipaaf è intervenuto, per evitare che il piano venisse impugnato, con il d.l. 15/02/2019 n.1813». 

«È chiaro - rimarca Lucchini - che questo modo di operare, a fronte di un trend di crescita dell’offerta di latte, lascia adito ad azioni potenzialmente ricattatorie. I trasformatori, avendo in carico le quote formaggio, in situazione di eccesso di offerta, si trovano in una condizione di favore, avendo una leva che gli consente di operare politiche di riduzione dei prezzi, implementando la loro marginalità e impoverendo proprio quegli agricoltori che dovrebbero essere i primi destinatari dei vantaggi derivanti dalle produzioni DOP ed IGP». 

«Nel nuovo piano è proposto un aumento di quote produttive dell’1%, ma non sembra corretto, e a che titolo poi, che il Consorzio si faccia pagare per la nuova emissione di quota. Inoltre il Consiglio del Consorzio ha bocciato anche la proposta che prevedeva di assegnare una parte della quota dell’aumento di forme a vantaggio dei piccoli caseifici che sarebbero invece svantaggiati da un’assegnazione attribuita solo in percentuale sullo storico delle forme prodotte. Con quali criteri e con che costi, a carico di chi, a beneficio di chi andranno dunque le nuove quote? Fa specie – sottolinea Gasparini - che il costo delle quote-forme oggi sia speculativo e che si sia generato un mercato degli affitti di quote che produce posizioni di rendita, favorendo chi ha disponibilità di denaro e risultando discriminatorio per i produttori di latte che, in caso di trasferimento della trasformazione da una provincia all’altra, sono svantaggiati anche nel ricollocamento della propria materia prima. La grande crescita dei similari (2.5 milioni di forme all’anno) è un altro indicatore di come i piani produttivi non siano stati adeguati neppure a governare il mercato. Questa gamma di prodotti – spiega Gasparini – non ha fatto che occupare uno spazio che la Dop non ha saputo presidiare trarghettizzando le produzioni e conquistando i diversi mercati». 

«I produttori di latte hanno ora la possibilità di cambiare le cose con una presa di coscienza – conclude Lucchini – serve che tornino ad essere protagonisti delle loro scelte perché sono loro che producono la materia prima, sono loro l’essenza della dop e il vero legame con il territorio. Urge una ristrutturazione della filiera e una nuova organizzazione della parte produttiva che colga le vere potenzialità di tutto il comprensorio”. “Si parta dal rifiuto dello status quo – conclude Gasparini - decidendo di non sottoscrivere il Piano Produttivo ancora una volta rigido e restrittivo rispetto alle necessità e che in modo strutturale ha dimostrato di non valorizzare il latte destinato alla dop rispetto alle altre destinazioni. L’alternativa è la bieca rassegnazione ai conti in rosso e alla progressiva chiusura delle imprese con vantaggi solo per un numero sempre più esiguo privilegiati. Il nostro monito e il nostro appello sono chiari e perentori».

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