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Economia

Finisce un’epoca: 2016 senza barbabietola da zucchero nel Piacentino

Tutto è scaturito dalla decisione di Eridania-Sadam di sospendere l'attività produttiva per l’attuale campagna bieticola nel bacino dello zuccherificio di San Quirico ritenendo che le condizioni del mercato dello zucchero e le superfici attualmente contrattualizzate non avrebbero consentito la prosecuzione delle attività in termini economicamente sostenibili

Un 2016 amaro per la barbabietola da zucchero nel piacentino: dopo decenni non si osserva a lato dei campi nessun cumulo di barbabietole da zucchero in attesa di essere caricato sui rimorchi per essere conferite allo zuccherificio per la trasformazione. E’ la fine di un’epoca, di un sistema, si perde una professionalità agricola che aveva contrassegnato il nostro territorio come una delle zone più vocate per questa coltivazione. E’ quasi come se, nel giro di pochi anni, si smettesse di coltivare pomodoro. Certo è inutile recriminare: le leggi di mercato sono impietose, “e così - ci spiega Alessandro Tassi “storico” rappresentante (con Gianluca Dini) del comparto, quest’anno niente campagna e probabilmente non ne vedremo più sul nostro territorio”.

Tutto è scaturito dalla decisione di Eridania-Sadam di sospendere l'attività produttiva per l’attuale campagna bieticola nel bacino dello zuccherificio di San Quirico ritenendo che le condizioni del mercato dello zucchero e le superfici attualmente contrattualizzate non avrebbero consentito la prosecuzione delle attività per il 2016 in termini economicamente sostenibili. E’ stato il colpo definitivo ad un comparto che oltre ad un importante reddito per la locale agricoltura, rappresentava un indotto per molte categorie economiche.  La fine dello zucchero tricolore è stata lenta, ma implacabile ed è cominciata nel 2006 con la grande riforma comunitaria per razionalizzare il settore e creare pochi grandi produttori in grado di competere senza sussidi sui mercati mondiali. 

Gli Stati membri (allora nel Governo Berlusconi c’era il Ministro Gianni Alemanno) avevano accettato di ridurre gli stabilimenti da 192 a 109 con la perdita di 20 mila posti. E Roma nel 2006 si era deciso di sforbiciare da 19 a sei gli impianti (tra cui quello storico di Sarmato che risaliva ai primi del ‘900), incassando da Bruxelles un assegno di 700 milioni di euro per avviarne la conversione in centrali elettriche a biomasse. La scelta, in parte- si commentò- aveva una sua logica perché si specificò che la barbabietola italiana aveva allora rese medie molto inferiori a quelle delle zone continentali come il Nord della Francia, dove si arrivava a produzione per ettaro superiore persino del 60%". I produttori italiani si sono trovati però dieci anni fa davanti a un bivio: avviare la trasformazione dei loro stabilimenti verso l'energia, o investire per guadagnare la competitività necessaria a sopravvivere nel mare aperto del mercato in un mondo senza quote e con sussidi alla coltivazione delle barbabietole e dazi solo fino al 2020. Il primo capitolo è stato un mezzo flop: ad oggi, tra niet degli enti locali e ritardi normativi, l'unico stabilimento convertito a centrale è quello di Finale Emila della Coprob che produce 12,5 megawat da biomasse. Sul secondo si sono incamminati in pochi e solo le cooperative riunite nella Coprob ed Eridania sembrano determinate a continuare.

"La vera sfida sarà quella di mantenere una convenienza per le aziende a piantare barbabietole per garantire l'approvvigionamento – ha commentato Patrick Pagani, direttore di Unionzucchero, l'associazione industriale di categoria - Dobbiamo utilizzare tutte le nuove tecnologie a disposizione per tenere alta la produttività e fare fabbriche ancora più efficienti”.
“Così ora- spiega Tassi che si occupa attualmente di centrali a biomasse- quest'anno gli impianti in funzione saranno solo due (a Pontelongo in Veneto e Minerbio in Emilia, entrambi della Coprob) e produrranno - se tutto va bene - 300mila tonnellate, quasi l'80% in meno del 2006. Le aziende disposte a coltivare barbabietole, vista la crisi del settore, sono rare: Piacenza da oltre 5000 ettari negli anni “felici” per il comparto, è passata a zero e si è così lasciato via libera ai colossi tedeschi, francesi, inglesi e olandesi, paesi dove si concentra il 67% della produzione continentale, pronti a invadere il nostro mercato con i surplus di produzione che avevano pronti in magazzino”. Insomma quello del 2006 viene visto come un clamoroso errore strategico, con risvolti pesantissimi sulle rotazioni agrarie e sulla diversificazione colturale sempre più economicamente necessaria alla luce della crescente volatilità dei prezzi che caratterizza la produzione agricola ed il mercato cerealicolo in particolare. “Le associazioni bieticole - ricordano Tassi e Dini - consapevoli che il settore sarebbe stato marginalizzato, stanno sviluppando un progetto di rilancio per fini agro-energetici con varietà non da zucchero, importante alternativa colturale, ma per attuare questo programma sarebbe necessaria maggiore attenzione delle rappresentanze politiche, istituzionali ed associative”. 

E per la barbabietola da zucchero c’è anche chi non demorde: Claudio Gallerani, numero uno della Coprob ha dichiarato che “negli ultimi anni abbiamo raddoppiato le dimensioni della cooperativa e consolidato il bacino agricolo e industriale. La società ha scelto 5-6 mila aziende nell'area più vocata del paese, tra Emilia e Veneto, per avviare progetti di ricerca. Abbiamo lavorato su genetica, tecnologia e irrigazione e in diversi casi siamo riusciti a migliorare la nostra produttività del 50%”. Progressi che - a suo parere - giustificano anche economicamente la sopravvivenza di un presidio saccarifero made in Italy anche perché la virtuosa rotazione delle colture con la barbabietola aumenta del 10-20% quella successiva dei cereali. “Ma occorre un progetto di filiera che, coinvolga tutti gli attori della catena dello zucchero”. Sta di fatto che quest’anno non si sono create le condizioni per realizzare la campagna dello zucchero e gran parte del Nord- Italia (e Piacenza) perde un settore storico ed oggettivamente è probabile che lo zucchero italiano sparirà.  Una coltivazione oggetto del lavoro di intere generazioni, fin da quando il blocco continentale voluto da Napoleone per bloccare i prodotti esportati dagli inglesi (tra cui la canna da zucchero), spinse i produttori francesi, con l’aiuto dello Stato, a coltivare la barbabietola da zucchero, coltivazione che si estese anche nel Nord Italia alla fine del 1800 e fu implementata nel primo decennio del ‘900.

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