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«I cinghiali sono dello Stato, ma le spese le pagano le imprese»

Confagricoltura Piacenza: «Se la Psa non abbatte la suinicoltura nazionale, ci pensa la burocrazia»

Da un’indagine di Confagricoltura Piacenza, su venti allevamenti suinicoli interpellati nella nostra provincia, 14 hanno già ricevuto la prescrizione di provvedere a una recinzione totale dei siti con una rete perimetrale, anche lungo i muri delle strutture, alta 1.80 m e interrata di 30 cm. I termini per realizzare le opere sono di 45 giorni. Si tratta di una prescrizione imposta dall’innalzamento dei livelli di biosicurezza per contrastare il diffondersi della Peste Suina Africana. Nei verbali i veterinari ispettori dell’Azienda Ausl locale fanno riferimento all’allegato 2 della disposizione comunitaria 605/21, ripresa dalla circolare regionale dell’Ausl.  Alla luce di questa emergenza nell’emergenza, si è tenuta venerdì 11 marzo una riunione urgente della sezione di prodotto suinicola di Confagricoltura Piacenza per condividere con gli allevatori associati l’evolversi della situazione. Nei giorni scorsi, infatti, Giovanna Parmigiani, presidente di sezione e componente di Giunta nazionale di Confagricoltura, ha avuto una serie di incontri istituzionali sia a livello ministeriale che regionale e non da ultimo con i dirigenti dell’Azienda Sanitaria locale competenti in materia. Nell’incontro sul territorio è stata affiancata dal presidente di Confagricoltura Piacenza Filippo Gasparini. «Per un’azienda di medie dimensioni – spiega Giovanna Parmigiani allevatrice suinicola piacentina e componente di Giunta nazionale di Confagricoltura - si tratta di una spesa imprevista improduttiva e inutile dell’ordine di 200 mila euro.  Abbiamo chiesto che questa diposizione venga rivista.  Inoltre - aggiunge amaramente - dovesse arrivare la peste suina sul nostro territorio, anche solo nei selvatici, indipendentemente dalle recinzioni, non venderemmo più nulla perché la trasformazione rifiuta di ritirare anche i maiali sani nelle zone contaminate». Nel dramma della situazione lascia poi ulteriormente costernati la difforme applicazione delle direttive, tanto che si è in attesa di un chiarimento ministeriale. «Solo nella nostra regione – spiega Parmigiani – a Piacenza serve la recinzione totale, a Modena è richiesta una rete dove ci sono gli accessi, ma non lungo i muri dei capannoni; a Forlì e Rimini basta una recinzione con cavo elettrico. In Lombardia la recinzione non è prescritta. In Piemonte, dove si sono riscontrati i casi di Psa, le prescrizioni fanno riferimento in generale ad una maggiore biosicurezza lasciando il termine di 6 mesi per adeguarvisi. È una situazione paradossale. Sono provvedimenti imposti alle imprese scaricando su di loro la mancata assunzione di responsabilità che abbiamo chiesto per anni allo Stato. La fauna selvatica è di proprietà dello Stato, ma a nulla sono valsi i nostri appelli per gli interventi necessari nei tempi opportuni. E anche ora che l’incubo è in corso, ci sono voluti due mesi solo per nominare un commissario per l’emergenza Psa e a noi chiedono di provvedere in 45 giorni, oltretutto imponendo adempimenti inutili come mettere una rete dove c’è già un muro. È lapalissiano che un cinghiale non può attraversare un muro, mentre un topolino, potenzialmente vettore della Psa, attraversa tranquillamente una rete metallica».

«Non è che l’ennesima folle richiesta comminata alle imprese» – tuona Filippo Gasparini presidente di Confagricoltura Piacenza. «A furia di parlare di biodiversità e protezione della natura siamo a questo punto. Perché non c’è immediatamente un dispositivo di abbattimento totale per i cinghiali, come quando si è verificata la Bse nelle stalle? Perché negli allevamenti si eradica tutto e in altri contesti no? Abbiamo messo negli allevamenti le palline di gomma per far giocare i maiali – ricorda sarcastico Gasparini - ora faranno abbattere interi allevamenti, è benessere animale questo?». «Siamo sempre stati consapevoli dell’enorme problema che la Psa avrebbe potuto costituire per i nostri allevamenti – ricorda Parmigiani -. Non erano certo un capriccio i nostri costanti appelli ad eradicare i cinghiali nelle zone di collina e pianura. Non volevamo risarcimenti per i nostri campi devastati, volevamo non essere lasciati inermi di fronte ad un problema, quello della fauna selvatica in generale, che necessitava un intervento pubblico diverso per una piaga che non riguardava e non riguarda solo l’agricoltura».

«È un sistema che rema contro gli allevatori – le fa eco Gasparini - ci sentiamo soli.  Oggi, analogamente, non si stanno proteggendo altri tipi di allevamento da altri tipi di rischi come i volatili. Riteniamo colpevoli gli organi di questo Paese dello scacco mortale a un‘intera struttura produttiva, questo ha dei responsabili ben precisi. In calce chiediamo la sospensione totale delle regole non sostanziali perché è lo Stato ad essere inadempiente non l’allevatore. Aggiungo – prosegue – il decisore politico ha stabilito di non intervenire sulla fauna selvatica per assecondare un concetto di biodiversità imposto da un cittadino inconsapevole, anche se l’invasione dei cinghiali è etologicamente un disastro. Le reti sono ritenute un intervento il cui beneficio ricade sul Paese. Sia dunque il Pese a provvedervi, oltretutto è la stessa nazione che, sempre per un ritorno elettorale, ha ritenuto prioritario mettere il cappotto alle case dei ricchi coprendo completamente le spese. Specialmente se è il cittadino a pretendere il lusso di veder gironzolare animali inutili e dannosi, sia il decisore politico che così pedissequamente si fa interprete dei suoi desiderata a sostenerne le spese. Si facciano le reti di recinzione – conclude provocatoriamente - con il 110%, inessenziali come i cappotti sui condomini».

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