rotate-mobile
Economia

Il vino piacentino deve credere nel territorio

Assemblea di bilancio per il Consorzio vini Doc colli piacentini nella quale è stato rinnovato il Consiglio di amministrazione che eleggerà nella sua prima riunione I nuovi vertici. Probabile nuovo presidente Pinuccio Sidoli di Vernasca

“Il vino piacentino deve crescere, investire e credere nel suo straordinario territorio, così come è stato fatto, per esempio nelle Langhe, diventate una straordinaria food valley eno-gastronomica, con il vino di qualità come “fil rouge”. Questo l’auspicio espresso dal presidente del Consorzio vini Doc colli piacentini Roberto Miravalle giunto alla conclusione del suo mandato, nel corso dell’assemblea di bilancio che si è svolta presso la sala “G.Bertonazzi” al Palazzo dell’Agricoltura nel corso della quale è stato rinnovato anche il consiglio di amministrazione: ne fanno parte Sidoli, Tavazzi, Bonelli, Profumo, Azzali, Michelotti, Sgorbati, Rossi, Perini, Gadilastri, Campana. Nella prima riunione del Cda sarà eletto il nuovo presidente che dovrebbe essere Giuseppe (Pinuccio) Sidoli di Vernasca.

A Miravalle, Chiara Azzali, anche a nome di tutti i soci, ha rivolto un vivo e sentito ringraziamento per la preziosa, competente ed appassionata azione svolta per migliorare e far crescere il Consorzio. “In questi ultimi anni- ha ribadito Miravalle- abbiamo cercato di farci conoscere su un parterre nazionale ed internazionale, ed i premi ed i riconoscimenti sono stati sempre più numerosi e prestigiosi, ma più che i vini in sè, quello che conta- ha sostenuto- è che abbiamo fatto conoscere maggiormente il territorio. Le azioni del Consorzio- ha ribadito Miravalle- sono indirizzate ad una strategia di "conoscenza/reputazione", bilanciata tra mercato vicinale, italiano ed estero. Il tutto tenendo conto della struttura delle imprese piccole (mercato vicinale) e di quelle medie e grandi, che, viceversa, hanno interessi sui mercati nazionali e la necessità di acquisire posizioni sui mercati esteri. La conoscenza- ha spiegato- è il primo atto di vendita; la “conditio sine qua non” la reputazione.

Per questo il raggiungimento di medaglie/riconoscimenti/attestati crea un immediato ritorno positivo per le imprese e per il territorio. Significa provare  al mondo  che Piacenza è terra di grandi vini. Certo- ha spiegato- sarà un'operazione lunga, ma foriera di grandi e positive ricadute per il settore, il turismo enogastronomico, le  imprese agroalimentari in primis. L'informazione ha cercato di informare il potenziale consumatore, cioè quello che non conosce e soprattutto che non consuma ancora il vino (sempre attestato dai trenta anni in giù), ma anche di consolidare e mantenere il consumatore abituale, raggiungere  il pubblico femminile, che generalmente effettua gli acquisti delle famiglie. La conoscenza è dunque essenziale, ma non sufficiente, per attivare il processo di commercializzazione e la corretta valorizzazione dei vini”.

Miravalle ha poi ricordato i suggerimenti per nuove strategie di marketing e per rafforzarsi sui mercati prospettati nell’analisi esposta in una precedente riunione da
Pierpaolo Penco esperto di marketing territoriale e docente di management a Trieste nella quale si evidenziava un’analisi “dello stato attuale” dei vini piacentini che vendono sul mercato locale o del Nord Italia ed una presenza all’estero tutta da consolidare, con mercati-chiave da presidiare.

Secondo Penco c’erano pochi marchi conosciuti, un marchio territoriale tutto da sviluppare per differenziarsi, per cui non basta essere Doc; è poco aderente all’attuale realtà di mercato; meglio- ha ditto Miravalle- “una DOCG per il Gutturnio superiore". 

Le criticità che erano emerse nella sua analsi erano l’esclusione (per disciplinare) di zone collinari più elevate (visti i cambiamenti climatici), una composizione dei vini troppo rigida, troppi vini similari con denominazioni diverse e la mancanza di una “massa critica”. “Il Gutturnio aveva ribadito Penco- ha troppe versioni (5) e va comunicato meglio nelle sue peculiarità. I costi di produzione sono troppo alti rispetto alla percezione che si ha dei vini piacentini, molto simili a quelli dell’Oltrepò. I punti di forza sono le superfici e le produzioni adatte a servire i mercati con continuità, i vitigni autoctoni, i vigneti di collina con caratteristiche pedoclimatiche ed organolettiche specifiche e per questo bisogna puntare sulla valorizzazione di un marchio territoriale perché non basta la Doc”.

“Per questo- ha puntualizzato ancora Miravalle-la Doc ha successo se garantisce un’immagine elevata ed una presenza certa sui mercati; quindi meglio una differenziazione territoriale che sottolinei l’importanza del terroir, ricordando che il Disciplinare è solo uno strumento per raggiungere obiettivi, non il fine ultimo. Bisogna quindi ridefinire le offerte per essere vicini alle esigenze dei mercati, partendo dalla propria identità, bisogna specializzarsi e chiedersi come cambiano i consumatori, quelli del futuro, ovvero i trentenni, molte le donne, ed associare i vini a stili di vita, cultura, sostenibilità, packaging. Ed ancora: semplificare le regole di produzione, unirsi con l’Enoteca regionale, spingere con il Malvasia fermo Docg con Parma e puntare su una linea regionale per difendere il reddito delle colline della regione”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Il vino piacentino deve credere nel territorio

IlPiacenza è in caricamento