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Martedì, 23 Aprile 2024
Economia

«La Ue dice sì al Ceta, ma l’Europa deve assicurare controlli rigidi»

I dubbi del Consorzio "La Carne che Piace" sul Trattato di libero scambio con il Canada. Rischi per l’agroalimentare italiano, tutelato solo in parte. «Gli agricoltori italiani temono di essere penalizzati sui profitti e sui marchi» afferma il presidente Giampaolo Maloberti

La Ue ha detto sì al Ceta, l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada. Il trattato (Comprehensive Economic and Trade Agreement, cioè accordo globale per l’economia e il commercio) apre una nuova era nel commercio tra le due parti che insieme costituiscono un mercato di 536 milioni di consumatori (gli scambi valgono circa 60 miliardi l’anno). Il Trattato abolirà il 99% dei dazi. Il problema, però, considerato che una grande fetta del business riguarda l’agroalimentare, è se verranno garantiti - così com’è indicato nel Trattato - i controlli e se nei nostri piatti non arriveranno prodotti contrari ai nostri standard di sicurezza, che non sarà alterata la tradizione alimentare e che - anche questo è fissato nell’accordo - saranno rispettati i prodotti a denominazione. Il Trattato stabilisce, infatti, che saranno tutelati i marchi di indicazione geografica per i prodotti alimentari.

Il Consorzio La Carne che Piace si preoccupa di garantire la trasparenza e l’originalità all’agroalimentare italiano che verrà esportato e la sicurezza e la salubrità dei cibi che invece saranno importati. «E lo fa a ragione - spiega il presidente Giampaolo Maloberti - perché durante la discussione sul Ttip, che avrebbe arrecato danni devastanti alla nostra filiera alimentare, si diceva che il Ceta fosse la porta d’ingresso del Ttip».

Se è vero che restano fermi gli standard ambientali e di sicurezza alimentare, continua il Consorzio, occorrerà vigilare affinché gli stessi siano rispettati. I cibi canadesi distribuiti nel mercato Ue, afferma il trattato, dovranno rispettare i vincoli comunitari su ogm e ormoni della crescita. «L’agricoltura italiana - dice Maloberti - è vessata da tasse, leggi e vincoli, sia nazionali sia europei, senza pari. Non vorremmo che i produttori e i trasformatori italiani, nel nome del “libero e vantaggioso mercato” venissero invece penalizzati sempre più. Già nella Ue ci sono disparità enormi, ad esempio, fra il trattamento riservato agli allevatori italiani e a quelli di altri Paesi, soprattutto dell’Est. Questo incide sul reddito di chi alleva (carne, latte, suini), ma a nessuno sembra importare. Perché non si applicano in tutti gli Stati Ue i controlli certosini che subiscono gli allevatori italiani?».

Secondo studi economici, riportati da repubblica.it nel maggio di quest’anno, indicano che con l’eliminazione della tariffe Ue aumenteranno le importazioni di carni, latte e formaggio statunitensi, a scapito dei guadagni degli europei. Ad esempio, solo per latte e formaggi, è previsto un import Usa di 5,4 miliardi di dollari, mentre l’export Ue arriverebbe a un massimo di 3,7.

Altro tema fondamentale è la coltivazione Ogm. Nel marzo di quest’anno, ricorda il Consorzio piacentino, l’Italia ha ufficialmente detto no agli Ogm (insieme a una ventina di altri Paesi europei), sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stata pubblicata la Decisione di esecuzione (Ue) 2016/321 della Commissione, che modifica l’ambito geografico dell’autorizzazione alla coltivazione del granturco geneticamente modificato (Zea mays L.) Mon 810. Insomma, sarà vietata la coltivazione di mais Mon 810.

Ma tutto questo potrebbe non bastare. «Da più parti - sottolinea Maloberti -  si sono alzate voci contro il Ceta. E a ragione, riteniamo». Ad esempio, l’eliminazione degli “ostacoli” alla produttività delle aziende porterà in realtà a una diminuzione della sicurezza alimentare, dei diritti dei lavoratori e delle tutele ambientali. E ancora: La risoluzione delle controversie tra aziende e Stati sarà affidata a nuovi tribunali, nei quali le multinazionali potranno avanzare cause miliardarie contro i singoli Paesi, per tutelare i loro profitti.

Insomma, il Consorzio La Carne Piace invita a non abbassare la guardia. Tutte le “meraviglie” e i grandi guadagni promessi da chi ha firmato, purtroppo, cozzano contro aspetti ancora in ombra. Solo per citare un caso. Il 29 giugno di quest’anno, International Business Times - che ha ricordato come i marchi italiani tutelati siano soltanto 40 - riportava la dichiarazione di un esperto di tutela dei marchi, Bernard O’Connor. «Secondo O’Connor, con le disposizioni contenute nel CETA, i nomi di prodotti tipici dell’agroalimentare italiano come “mozzarella”, “mortadella” e gorgonzola” potranno essere usati senza problemi su prodotti canadesi, a patto che non ci sia la bandiera italiana sulla confezione. Dopo l’approvazione dell’accordo nessun altro prodotto europeo, di quelli attualmente riconosciuti come IG, potrà essere protetto in Canada».

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