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Economia

Lavoro, Ugl: «Donne ancora penalizzate, costruire una vera ripartenza»

I dati sono contenuti nell'ultimo report – pubblicato pochi giorni fa - dell' Agenzia regionale per il lavoro

Nei mesi di giugno e luglio 2021 si è fermata la crescita del lavoro dipendente in Emilia-Romagna. Nei mesi estivi, le assunzioni hanno avvantaggiato soprattutto la componente femminile, con la crescita delle posizioni dipendenti nei settori stagionali del commercio, degli alberghi e dei ristoranti, ma, in misura minore, nell’industria e nei servizi. Con dati comunque contraddittori nei vari territori regionali: crescita del lavoro dipendente concentrata in provincia di Rimini e nella Città metropolitana di Bologna, a fronte di province più penalizzate come Ferrara, Parma e Ravenna.

I dati sono contenuti nell'ultimo report – pubblicato pochi giorni fa - dell' Agenzia regionale per il lavoro. «Nei mesi di giugno e luglio in Emilia-Romagna si è fermata la crescita del lavoro dipendente, con la conseguente perdita di alcune migliaia di posizioni dipendenti e un calo congiunturale delle assunzioni. E nei primi 7 mesi del 2021 sono cresciute, complessivamente, solo le posizioni in apprendistato, a tempo determinato e in somministrazione. Pur usciti dalla fase critica economico-sociale della pandemia, assistiamo ad una ripresa che non manifesta però un sostanziale aumento dell’occupazione, soprattutto di quella qualificata e a tempo indeterminato» sottolinea il segretario regionale di Ugl Emilia-Romagna.

Nel quadro produttivo dell'Emilia-Romagna si profilano criticità purtroppo note, come gli infortuni, anche mortali, sui luoghi di lavoro, e ombre nuove come l'aumento del costo delle materia prime, dell'energia e dei semi lavorati. E non è stato ancora scalfito il duplice annoso problema della disoccupazione giovanile e femminile.

«Per far capire l'entità del problema riporto alcuni dati contenuti nel Piano di attività 2021 dell’Agenzia regionale per il lavoro e riferiti in sede di Commissione assembleare regionale. Nel periodo che va dal 2015 al 2020, il tasso di inattività delle donne ha registrato un tasso tra il 33,3% e il 34,3%, pari ad un terzo della componente femminile del mercato del lavoro. Ed anche il tasso di occupazione femminile (pari al 62,1% a fine 2020) si evidenziava inferiore di quasi 13 punti percentuali a quello maschile. Così come la disoccupazione femminile (al 7,1%) è superiore a quella maschile (al 5,2%). Molte donne sono scoraggiate nella ricerca di lavoro. E questo è un problema a cui si deve porre rimedio» elenca e commenta Tullia Bevilacqua.

«Sempre le donne hanno dovuto sopportare e pagare il prezzo più alto, i maggiori costi, della crisi pandemica. Un prezzo pagato in licenziamenti, precarietà, maggiore pressione nei carichi di lavoro e difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare. Nel primo anno del Covid in Italia sono andati in fumo 101mila posti di lavoro, 99mila erano donne. Ovvero, i soggetti meno tutelati nel mercato del lavoro quelle che rinunciano all'impiego perché considerate le uniche a doversi occupare della casa e della famiglia. A nostro parere, è ancora questo il tema cardine, una delle principali sfide future nel dibattito sulla ripartenza, a livello regionale come su scala nazionale: mettere in parallelo crescita economica e uguaglianza di genere. Garantire pari diritti e pari dignità tra uomini e donne» conclude Bevilacqua.

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