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Economia

«Le quote formaggio non sono lontanamente paragonabili alle quote latte»

Stefano Berni,​ direttore generale Consorzio Tutela Grana Padano: «Una deregulation produttiva di Grana Padano l’abbiamo vista e sofferta tremendamente nel 2005 e la stragrande maggioranza dei caseifici e delle stalle non la vorrebbe più vedere»

«Concordo con Lucchini di Confagricoltura Piacenza che qualcosa, anzi più di qualcosa, non abbia funzionato se ancora ci si sta confrontando su quali siano i percorsi migliori per il lattiero caseario italiano.
Questo vuole dire che attualmente ci sono più strade e più visioni. E ognuno ama e tifa per quella che ritiene più consona e vicina alle proprie convinzioni e aspettative». Lo afferma, in un intervento, Stefano Berni,​direttore generale del Consorzio Tutela Grana Padano.

«Il problema - scrive Berni - è che quando convivono visioni diverse significa che il sistema non è governato secondo un criterio comune e il risultato è l’indeterminatezza che genera incertezza e di conseguenza dubbi e disvalori economici che molti allevatori cercano di risolvere producendo più latte auspicando di poter spalmare i costi fissi su maggiori quantità riducendone l’incidenza unitaria. Percorso sacrosanto se ci si confrontasse con un prezzo del latte stabile. Invece il prezzo è troppo variabile. Quindi reputo, per semplificazione, esserci sostanzialmente solo due strade, quella di valorizzare il più possibile il latte destinando solo le quantità necessarie a produrre i prodotti più performanti tra i quali i formaggi DOP, Grana Padano in testa per il latte omogeneo e destinare a produzioni casearie meno pregiate le quantità di latte che non servono per i prodotti più performanti, limitando a queste destinazioni meno remunerative quantità non rilevanti di latte, oppure l’altra strada che spinge a crescere continuamente le produzioni senza preoccuparsi di quanto serve davvero al mercato di maggiore pregio, orientandosi invece alle commodities lattiero casearie consapevoli che questa strada non pone regole o differenziazioni per il latte che continua a crescere in quantità».

«La quota A e la quota B, come ho scritto - afferma Berni - è un esempio di più facile gestione all’interno di una cooperativa come la francese Sodiaal mentre è più complicato, come scrive Lucchini e condivido, fuori dalla cooperazione; è un sistema certamente con grandi limiti ma che funge da monito economico alle crescite produttive eccessive e reiterate, come differentemente dall’Europa lattiera che conta, sta avvenendo in Italia. Certo è che tale sistema, se venisse adottato, dovrebbe precludere che il latte pagato da commodities e quindi il latte B, non vada a produzioni di pregio. Ciò per evitare che il vantaggio del prezzo più basso si trasferisca invece come reddito aggiuntivo all’acquirente del latte, trasformandosi in beffa per la stalla che lo consegna.
I metodi però per verificare ciò ci sono e non sono neppure di difficile attuazione».

«Scrivevo in proposito e confermo quindi che questo metodo registra resistenze fondate sullo sfruttamento competitivo tra il latte A e quello B. Non è però questo l’unico strumento, ce ne sono altri che vanno pensati e poi governati, ma prima di lanciarsi in una nuova impostazione, perché è del tutto ovvio, come dice Lucchini, che l’attuale non va, occorre farsi una domanda semplice: perché, da sempre, il prezzo del latte pagato alla stalla italiana è superiore a quello delle stalle franco/tedesche? Domanda seria a cui occorre rispondere in modo realistico e responsabile. Non voglio reiterare quanto ho già scritto in proposito e quindi sintetizzo: è così e rimarrà così finché come Paese saremo deficitari ed abbiamo e finché avremo una fetta rilevante della produzione lattiera italiana che va a formaggi DOP».

«Che il Grana Padano sia il contenitore di latte italiano nettamente più ampio e che sia quello che remunera di più il latte ad esso destinato non può essere in discussione, e lo dimostrano anche i dividendi latte 2020 delle cooperative che proprio in questi giorni cominciano ad uscire, con risultati per le cooperative a prevalente produzione di Grana Padano, decisamente positivi, così come sono positivi anche i risultati delle stalle indirizzate a tutti quei “trasformatori” che pagano il latte indicizzato al Grana Padano. Le quote formaggio quindi non sono neppure lontanamente paragonabili alle quote latte perché le quote formaggio non incidono in alcun modo, né mai lo faranno, sulla produzione del latte delle 4.000 stalle del circuito Grana Padano, bensì solo sul latte da trasformare in Grana Padano.
Lo scenario di una deregulation produttiva di Grana Padano l’abbiamo visto e sofferto tremendamente nel 2005 e la stragrande maggioranza dei caseifici e delle stalle non lo vorrebbe più vedere, anzi proprio non ne vuole neppure sentir parlare».

«Che il Piano Produttivo non sia però lo strumento perfetto è vero. Che possa, anzi debba, essere migliorato è altrettanto vero. Che i bilanci delle “aziende primarie”, cioè le stalle, soffrano è vero, ma è pure vero che quelle destinate a Grana Padano soffrono meno o non soffrono affatto come quelle socie di cooperative a prevalente produzione di Grana Padano.
Sta di fatto che comunque parliamo di circa il 50% del latte di zona e cioè quasi il 25% di tutto il latte italiano cioè del più importante segmento del comparto lattiero caseario italiano.
Questo strumento imperfetto che è il Piano Produttivo ha garantito e sta tutt’ora garantendo tutto questo, semplicemente perché, per quanto imperfetto sia, e ho già affermato che lo è, è il migliore strumento a disposizione».

assgranaBerni-2«E non serve “turarsi il naso” per capirlo e constatarlo. Semplicemente è così. Può non piacere quindi, può essere contestato, sostituito o addirittura eliminato e per eliminarlo è sufficiente convincere appena un terzo delle 4.000 stalle. Quindi chi è legittimamente contro il Piano ha il formidabile vantaggio di non dover convincere la maggioranza perché è sufficiente convincere al dissenso il 33,34% delle stalle iscritte.
Ma se neppure un terzo delle stalle è contro il Piano Produttivo, forse vorrà dire che, per quanto imperfetto, piace alla stragrande maggioranza.
Convengo sul principio che non sempre la maggioranza ha la verità in tasca ma in democrazia la maggioranza orienta e governa, almeno finché rimane tale.
Addirittura nel caso del Piano Produttivo Grana Padano la maggioranza semplice non basta, perché occorre il 66,67%, limite sempre ampiamente superato.
Con ciò di certo non si vuole stoppare il dibattito e tantomeno il dissenso che è lecito, anzi, opportuno venga esternato e di questo affettuosamente ringrazio Lucchini per il franco confronto, però occorre sempre partire dalla verità dei fatti, dei numeri e dei risultati ed io, per compiti, funzioni, responsabilità e assoluta terzietà di giudizio non mi stancherò di ricordarli.
Ciò affinché gli allevatori e i caseifici consorziati possano scegliere e decidere al meglio, con la massima consapevolezza possibile, in quanto, e mi sia consentito di citare Dante nel suo 700mo anniversario pochi giorni dopo il Dantedì, "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza" perché, solo la conoscenza porta alla consapevolezza che ci consente tutti, me compreso, di uscire dal buio per "riveder le stelle".
E il Piano Produttivo, per quanto piccola e fioca, una “stellina” del firmamento lattiero caseario mondiale certamente lo è. Lo è per i risultati prodotti come ci testimoniano tutti, scusate, quasi tutti, gli esperti italiani ed europei del sistema lattiero caseario. E lo è, almeno fino ad oggi, per la grande maggioranza delle stalle che lo sostengono.
Quando dovesse prevalere l’idea di Lucchini e il Piano Produttivo scomparisse mi inchinerò al tramonto di un’idea faticosamente nata tanti anni fa al Consorzio, tutte le cose prima o poi finiscono, mi toglierò il cappello e omaggerò la rivoluzione che ne scaturirà ma, concedetemelo, anche con una bella dose di stupore. Con grande curiosità valuterò gli effetti generali, pronto ad applaudirli se saranno migliori dei precedenti, come sempre con grande trasparenza e lealtà d’animo, altrettanto pronto però a stigmatizzarli se dovessero essere, come temo e come ci ha certificato il 2005, affannosi.
Credo però che quando verrà quel momento io sarò solo un assistente esterno, un pensionato che guarda i “lavori in corso” bisbigliando pochi commenti ciondolando con le mani dietro la schiena, perché credo che almeno per qualche anno ancora il consenso alla bocciatura “sociale” del Piano Produttivo sarà improbabile. Ma se capitasse chapeau al cambiamento, lealmente e con stupita ammirazione».

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