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Economia

Parmigiani: «Occorre rendere obbligatoria l’etichetta di origine dei maiali»

Le riflessioni dell'imprenditrice piacentina: "Come Confagricoltura e Agrinsieme stiamo portando avanti tante proposte e tante battaglie. Sicuramente la valorizzazione delle carni italiane è il primo punto, ma noi chiediamo anche la revisione del decreto salumi"

«Dare il giusto valore alla carne suina, rivedere il decreto salumi e quello sulla programmazione dei prosciutti Dop e Igp e rendere obbligatoria in etichetta l’origine dei maiali». Giovanna Parmigiani, imprenditore piacentino, presidente della federazione nazionale di prodotto carni suine di Confagricoltura, in una intervista parla dei problemi del settore suinicolo. In Italia ci sono 26mila aziende di allevamento, oltre 4.500 forniscono materia prima per le Dop. Gli allevamenti hanno un valore di circa 2,5 miliardi di euro, mentre i prodotti della salumeria superano i 7 miliardi di euro, con un valore complessivo della vendita al dettaglio di oltre 18 miliardi di euro.

Di recente, Confagricoltura, oltre a insistere sulla semplificazione e sull’abbassamento delle tasse, ha spronato il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, a tirar fuori dai cassetti del ministero il progetto del Sistema di qualità nazionale. Quali effetti benefici avrebbe sul comparto?

«Per uscire da questa grave crisi che attanaglia il settore suinicolo da anni è necessario che si riesca a dare il giusto valore anche alle altri tagli di carni del suino oltre che alla coscia destinata alla produzione del Prosciutto. I nostri suini sono allevati secondo disciplinari rigorosissimi per garantire una maggiore qualità delle carcasse e delle carni, qualità che poi al momento è riconosciuto solo sulle cosce perché gli altri tagli sul banco della distribuzione vanno a confondersi con le carni provenienti dall’estero. Il SQN permette la valorizzazione di tutti i tagli del maiale. Certo che al ministero chiediamo che il progetto sia portato a termine velocemente, visto che il ministro si era personalmente impegnato a farlo attuare a Luglio del del  2014, e soprattutto che lo faccia con norme chiare e semplici da applicare. Troppo spesso noi allevatori siamo sobillati da miriadi di adempimenti burocratici che appesantiscono l’operato delle aziende e degli allevatori senza dare nessun beneficio al prodotto finale. Un esempio che già abbiamo vissuto sulla nostra pelle sono stati tutti gli obblighi a cui siamo stati sottoposti per rispettare le norme sul benessere animale che troppo spesso erano solo dei costi per un settore che non se li può permettere, senza reale miglioramento. Non parliamo poi della direttiva nitrati che per anni ci ha dipinti come gli inquisitori del pianeta, obbligandoci tra l’altro a una miriade di sterili incombenze burocratiche che ci hanno solo  reso meno competitivi rispetto ai nostri concorrenti europei».

La commissione UE ha autorizzato lo stoccaggio privato delle carni suine e dei prosciutti che dovrebbe dare un sostegno al settore dopo la sfiancante crisi russa. Ritiene che questa decisione e i relativi contributi siano arrivati tardi? «Da mesi come Confagricoltura chiediamo un intervento in aiuto della suinicoltura così come era stato fatto per altri settori in seguito all’embargo russo. Plaudiamo quindi a questa iniziativa del Commissario Hogan di attivare lo stoccaggio privato delle carni suine, visto il calo dei prezzi. speriamo che questo aiuti ad allentare le tensioni dei mercati determinato da un eccesso di offerta, certo è che ci piacerebbe che la commissione prendesse anche decisioni di più  lungo periodo. Il nostro settore ha bisogno di un rilancio e di regole chiare e, nello specifico mi riferisco alla richiesta fatta alla UE di una etichettatura delle carni fresche più chiara con indicazione di nato, allevato e macellato, che anche dal 1/4/2015 non sarà così evidente come noi italiani avremmo voluto. Oppure anche alla richiesta più volte avanzata dall’Italia di rendere obbligatoria l’indicazione del paese di origine in etichetta per la carne contenuta nei prodotti trasformati, per assicurare maggiore trasparenza a tutta la filiera alimentare. Visto che noi trasformiamo circa il 70% dei carni che produciamo, il poter far sapere ai consumatori che quel salume che stanno acquistando è fatto con carne prodotta in Italia e quindi di grande qualità, potrebbe aumentare di gran lunga le opportunità di vendita sia in Italia che all’estero, vista l’importanza che i mercati esteri ricoprono in anni in cui il mercato italiano è stagnante. Purtroppo poi siamo vittima di anni in cui la carne di maiale è stata demonizzata mentre solo di recente stanno venendo avanti i risultati di ricerche scientifiche che dimostrano il valore nutrizionale dei prodotti zootecnici. Anche la OMS (organizzazione Mondiale della Sanità) ha riconosciuto che l’obesità e i problemi connessi non derivano dai grassi animali.

Il 2014 è stato l’annus horribilis per i prezzi. La redditività dei suinicoltori è calate del 3,3% (nel 2013 era invece del +4,8%). Come contrastare questo problema che potrebbe anche causare la chiusura di aziende? «Come Confagricoltura e Agrinsieme stiamo portando avanti tante proposte e tante battaglie. Sicuramente la valorizzazione delle carni italiane è il primo punto, ma noi chiediamo anche la revisione del “decreto salumi”, la revisione del “Decreto sulla Programmazione dei prosciutti Dop e Igp”, la definizione del pacchetto normativo con la definizione delle OP e Oi, l’impegno anche governativo nell’imporre l’eradicazione di alcune malattie presenti in piccole parti d’Italia che compromettono l’export dei nostri prodotti, l’aiuto nell’ internazionalizzazione delle nostre aziende e nell’eliminazione delle barriere non tariffarie all’esportazione, ovviamente la ridefinizione delle aree vulnerabili, la semplificazione e snellimento di tutte le procedure burocratiche ( se le elencassi quanti documenti devono seguire lo spostamento degli animali si metterebbe a ridere). Come lei ha citato all’inizio, il settore zootecnico e suinicolo è una parte rilevante del Pil agroalimentare dell’Italia, noi vorremo che ci fosse maggiore attenzione e la volontà di aiutare il primo degli anelli della filiera senza il quale tutta la filiera rischia la sopravvivenza. E anche alla luce di questo siamo allibiti di fronte a quanto sta succedendo anche ora all’Expo, dove, visto che, normalmente, non tutti i Paesi partecipanti all’expo sono autorizzati ad esportare prodotti di origine animale in Europa, in funzione di questo la commissione europea ha ritenuto di stabilire alcune deroghe alle attuali condizioni sanitarie all’importazione per permettere di introduzione di tali prodotti esclusivamente ai fine dell’Expo. Potremo quindi trovare le carni di coccodrillo provenienti dallo Zimbabwe e gli insetti, ma non potremo trovare carni suine sarde trattate termicamente, i cosiddetti “porcetti termizzati” o i prodotti a lunga stagionatura sardi, benché non rientrino tra quelle a rischio di peste suina africana, virus proveniente dall’africa, non contagioso per l’uomo, presente in Sardegna. Questo, purtroppo, evidenzia la scarsa attenzione che c’è nel tutelare la zootecnia italiana aiutandola ad essere competitiva in Europa e nel mondo. Noi abbiamo delle produzioni di altissimo livello e qualitativamente superiori, con controlli sanitari severissimi, ma poi tutto questo non ci viene riconosciuto».

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