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Economia

Perché le banche devono combattere contro una situazione non da loro creata?

L'approfondimento di Corrado Sforza Fogliani in questi giorni di "spread crescente"

Perché le banche devono combattere contro una situazione non  da  loro  creata? Contro una situazione di cui non hanno colpa? Contro una situazione, in sostanza e soprattutto, artificiosa, che non ha a che fare con i loro conti, con il governo che i banchieri hanno fatto delle loro banche? Una situazione che ieri non c’era ed oggi la si è creata? Perché i bilanci delle banche devono essere fatti vieppiù a Bruxelles piuttosto che dove le banche operano? Perché devono essere sempre più frutto di regole e regolette europee e sempre vieppiù distanti dalla situazione reale dei loro conti? Sono tutti discorsi che in questi giorni di spread crescente girano di continuo nelle banche e che qualcuno deve pur portare all’esterno (al di là di quanto i loro organismi rappresentativi fanno o non fanno) e ciò perché, se non altro, l’opinione pubblica lo sappia e, in sostanza, si tranquillizzi.

Tutto nasce dal fatto che nel 2016 la Commissione europea ha esteso a circa 350 banche italiane una normativa nata per le sole grandi banche, che non consente più alle banche di cui s’è detto prima, di non includere nei fondi propri i profitti e le perdite non realizzati relativi a titoli di stato contabilizzati nel portafoglio IAS 39 “Attività finanziarie disponibili per la vendita” (AFS). Facoltà che consentiva di evitare l’impatto sul patrimonio di eventuali minusvalenze relative agli anzidetti titoli. Ma la situazione creatasi nel corso del 2018, con lo spread in forte aumento sui mercati finanziari, ha prodotto una riduzione del valore dei titoli di stato che, in caso di loro classificazione nel portafoglio HTC&S (exAFS), ha generato ingenti minusvalenze. Nel caso di nuovi aumenti dello spread, ulteriori ripercussioni negative si avrebbero sulle banche, espresse dal CET1 ratio e da altri indicatori, per esempio quello relativo alla leva finanziaria.

La situazione, come detto, non dipende dal comportamento dei banchieri, ma da tutt’altro. E, a parte questo, la domanda è: perché quel che andava bene fino al 2016 non va più bene adesso? E quale è la ragione che impone di creare problemi alle banche, di preoccupare (inutilmente) l’opinione pubblica: che legge i titoli dei giornali come “crollo delle banche” in Borsa eccetera, e si preoccupa, ritira magari i propri depositi, si allontana dalle loro azioni, e tutto questo per nuove regole e basta, senza che nulla sia cambiato nei conti effettivi delle banche? Perché quel che era giusto ieri non è più giusto – secondo, ripetesi, regole e regolette – oggi? Ma dobbiamo proprio continuare a farci male da soli? Non è sufficiente quello che già si è ottenuto in questo senso negli ultimi anni? E perché nessun banchiere deve avere il coraggio di dirlo, temendo che dissennati (magari dissennati concorrenti) dicano che chi ne parla lo fa perché la sua banca va male, quando invece la verità è che va meglio delle altre? Chi può farlo, ha il dovere morale di dire forte e alto quel che dice (e tutti più o meno lo dicono, se possono dirlo) bisbigliando.

Il dovere di trasparenza, prima ancora di tante altre cose che le regole ufficiali impongono giustamente di dire, obbliga moralmente – nei confronti dei propri clienti e della propria compagine sociale, anzitutto – a dire questa situazione balorda che si crea con regole astratte che cambiano di giorno in giorno, rendendo sbagliato oggi quel che è stato bellamente giusto (anche per chi fa le nuove regole) fino a ieri. E ciò va detto anche per fugare il sospetto (che si va sempre più diffondendo) che questa di cui discorriamo sia l’ennesima regola creata per far male all’Italia, le cui banche sono state indotte – com’è noto – a sottoscrivere i titoli del debito pubblico ed oggi si vedono penalizzate per averlo fatto. Con il risultato che il persistere della situazione descritta avrebbe conseguenze sulla capacità stessa delle banche di sostenere l’economia attraverso gli impieghi, e di aiutare lo stato attraverso l’acquisto di titoli dallo stesso emessi.

Ma, ripetesi, il problema fondamentale è questo: non sono già sufficienti i problemi che crea al sistema bancario l’economia reale, anche questi non dipendenti dalle banche? Possiamo accettare che nuovi problemi siano buroindotti (indotti, cioè,  solo dalla burocrazia, da teste d’uovo che facendo finta di voler allontanare, ed evitare, danni futuri e futuribili, intanto ne creano, subito e certi, una quantità d’altri, cambiando, come è avvenuto nel 2016, due volte al giorno – ripetesi, al giorno – le regole per i banchieri)? La risposta, ancora una volta, alla Vigilanza, ai cittadini e – in particolare – alla politica. Tenendo presente che il Direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, ha detto: “La Vigilanza bancaria deve essere costruttiva, non distruttiva. Ciò è sempre vero, ma oggi nell’area dell’euro occorre ricordarlo costantemente».

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