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Economia

Pomodoro, raggiunto l’accordo sul prezzo di 92 euro a tonnellata

Area del pomodoro da industria del Nord Italia, il presidente Rabboni: «Rafforzata la programmazione e confermati i compiti per l’interprofessione». Valutazioni in chiaro scuro per Coldiretti e Confagricoltura

Le organizzazioni dei produttori di pomodoro e i rappresentanti delle industrie di trasformazione, dopo una intensa trattativa, nella serata del 24 febbraio hanno raggiunto l’accordo d’area 2021 per la fornitura della materia prima agli stabilimenti di trasformazione nelle regioni del Nord Italia. Il prezzo del pomodoro per la campagna Nord Italia 2021, è stato fissato a 92 euro a tonnellata (esclusi i costi dei servizi).

Il presidente dell'Organizzazione Interprofessionale del pomodoro da industria del Nord Italia, Tiberio Rabboni, appresa la notizia, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Desidero vivamente congratularmi con le parti trattanti – dichiara Rabboni -. Il nuovo contratto quadro d'area vede la luce prima della fine del mese di febbraio, ovvero in tempo utile per le valutazioni di convenienza, prima delle decisioni di semina e trapianto. Per molte altre coltivazioni e attività agricole italiane non è così. I prezzi sono sempre fluttuanti e l'effettiva convenienza è accertata solo a campagna conclusa. In secondo luogo, come già nel 2020, la produzione viene programmata sulla base dei reali fabbisogni industriali e delle disponibilità agricole. Una programmazione quantitativa, ma anche temporale per allungare ed ottimizzare la durata della campagna. Produrre quello che serve, nei tempi che servono, accresce la convenienza economica di ciascuno e di tutti e consente alla filiera di aumentare la propria competitività. Tant'è che i meccanismi del nuovo contratto promuovono e premiano la qualità verificabile, la più importante leva strategica della competitività italiana nel mondo. Il contratto siglato, di fatto, apre la campagna del pomodoro 2021 nel Nord Italia. Le incognite all'orizzonte sono tante: anomalie climatiche, fitopatie, Covid, competitori europei e mondiali, mercati e consumi. Tuttavia si inizia con il piede giusto. Il contratto quadro è espressione di una coesione della filiera, una risorsa che può fare la differenza nel contrasto degli imprevisti e delle avversità».

I quantitativi sono stati definiti applicando, anche quest’anno, lo strumento dei precontratti, utilizzati per individuare direttamente il punto di equilibrio fra domanda e offerta. La programmazione temporale è partita da una valutazione della capacità di trasformazione e dà l’indicazione per una rispondente pianificazione dei trapianti. Lo scopo è quello che entrambe le parti raggiungano reciprocamente il proprio obiettivo: gli agricoltori consegnare tutto il pomodoro in campo e l’industria trasformare quanto deciso. Si è parlato anche di programmazione qualitativa, ossia della necessità di una condivisione nella scelta delle varietà, non solo legata alle performance in campo, ma anche alla idoneità di trasformazione per i differenti derivati industriali.

«L'OI, fermo restando che non interviene in alcun modo nella definizione del prezzo di riferimento – conclude Rabboni - ha fornito gli indispensabili supporti di raccolta ed elaborazione, controllo e gestione attiva dei meccanismi della programmazione produttiva. In quest’ultimo anno, inoltre, ha proposto proiezioni e analisi future, su cui gli operatori potessero operare scelte e prendere decisioni. Seguirà ora la raccolta ed elaborazione dei contratti da parte dell’OI e successivamente, quale soggetto terzo neutrale, la verifica sul mantenimento degli impegni presi».

COLDIRETTI: «DIVERSE LUCI E ALCUNE OMBRE, GLI AGRICOLTORI SI MERITAVANO DI PIÙ»

Si è conclusa la trattativa fra produttori e industriali per il prezzo del pomodoro relativo alla campagna 2021. Lo comunica Coldiretti Piacenza, dopo che le parti si sono accordate per un prezzo di 92 euro a tonnellata. L’accordo raggiunto, secondo Coldiretti Piacenza, delinea uno scenario di luci e ombre. «La chiusura della trattativa entro fine febbraio – commenta Ugo Agnelli, presidente di Coldiretti Piacenza – arriva oltre la data fissata dalle parti all’interno dell’Organizzazione Interprofessionale del Nord Italia, con un prezzo in aumento rispetto all’anno precedente». Prezzo che, a parere di Coldiretti, avrebbe dovuto essere più remunerativo per i produttori: «Il prezzo non è all’altezza delle nostre aspettative – afferma Agnelli – in considerazione dell’aumento dei consumi sia interni sia esteri. Viene quindi posto, ancora una volta, il tema della giusta redistribuzione del reddito all’interno della filiera: possiamo senza dubbio affermare che gli agricoltori si meritavano di più».

Positivo, invece – rileva Coldiretti Piacenza – il miglioramento della “scaletta produttiva”, che ha portato per la “base cento”  ad un abbassamento del grado brix  da 4,90 a 4,85  e che di fatto porta ad un reale aumento di poco più di 1 €/t sul prezzo concordato, arrivando così ad un accordo totale di 93 €/t.

Il contratto di fornitura per il pomodoro biologico, invece, prevede un prezzo di 136 €/t. «Considerate le difficoltà nella raccolta del prodotto che si sono verificate nel 2020 – evidenzia Agnelli – la nostra organizzazione ha sostenuto che fosse indispensabile programmare anche il periodo di trapianto delle piantine e la successiva raccolta del prodotto in modo omogeneo su tutto l’arco della campagna di trasformazione, prevedendo un meccanismo di incentivazione economica per i raccolti tardivi».  Nell’accordo raggiunto è stato ulteriormente concordato un premio sul “pomodoro tardivo” che prevede un incremento di 0,75 €/t  al giorno sulle consegne dal 12 al 19 settembre e 1 € al giorno dal 20 settembre fino a raggiungere il valore complessivo massimo di 15 €/t. «Per il futuro – dichiara il presidente Agnelli – non basterà più accordarsi solamente sulle quantità da produrre e da consegnare, ma sarà fondamentale che tutta la filiera  sia allineata in un progetto di valorizzazione del pomodoro coltivato in Italia. Oggi – prosegue Agnelli – è indispensabile avere un approccio nuovo, sfruttando appieno le opportunità dei Distretti del Cibo, mettendo insieme imprese, cittadini, associazioni, istituzioni e università per ottenere una migliore collaborazione sulle azioni comuni, finalizzate a organizzare, sostenere, promuovere e valorizzare l’intera filiera che produce e trasforma un prodotto di altissima qualità in un territorio ben definito. Coldiretti sarà sempre pronta a dare il suo contributo per progetti veri, di valore, nell’interesse della filiera e del reddito degli agricoltori».

IL COMMENTO DI CONFAGRICOLTURA

«Si poteva fare di più visto i brillanti dati sulle vendite delle polpe e delle passate di pomodoro nel 2020, che consacrano la ripresa dei consumi interni attraverso i canali della Gdo». Commenta così il presidente dei produttori di pomodoro da industria di Confagricoltura Emilia Romagna, Giovanni Lambertini, la lunga e intricata trattativa, tra Op. È una soddisfazione a metà quella espressa da Confagricoltura Emilia Romagna che tuttavia mette a segno il miglioramento della scaletta qualitativa dovuto al riposizionamento della “base 100” al grado brix 4.85 (era a 4.90 nel 2020) e ottenendo di fatto un incremento di prezzo del 1,25%. «Ci sono senz’altro condizioni migliorative rispetto all’anno scorso ma nel complesso – osserva Lambertini – l’accordo delude gli agricoltori e il prezzo è al di sotto delle aspettative. Non si è tenuto conto dell’aumento dei costi di produzione – mezzi tecnici (agrofarmaci), attrezzature, polizze assicurative e certificazioni varie –, una spesa che nell’ultimo anno ha raggiunto valori record, e neanche delle crescenti criticità operative causate da anomalie climatiche spesso eccezionali. Inoltre, non sono state accolte le nostre richieste volte ad alleggerire le penalizzazioni, decisamente troppo alte, per i cosiddetti difetti minori del prodotto».

Ad avviso di Confagricoltura Emilia Romagna, pare insufficiente anche la maggiorazione di prezzo riconosciuta per il pomodoro “tardivo” – a fronte di una campagna di raccolta della durata di 60-65 giorni -, che è nell’ordine dei 75 centesimi alla tonnellata, al giorno, per il prodotto ritirato dal 12 al 19 settembre e di 1 euro/ton, al giorno, per quello ritirato a partire dal 20 settembre fino a un massimo di 15 euro/ton. «Peccato perché il corrispettivo economico in più avrebbe potuto incentivare la coltivazione in un periodo delicato per lo stato fenologico della pianta come anche compensare chi è costretto, con l’avvicinarsi dell’autunno, a raccogliere in presenza di condizioni meteo sfavorevoli».

Ma ciò che più preoccupa è la mancanza di garanzie sull’effettivo potenziale di trasformazione del bacino, con il grave rischio di ripetere gli errori commessi nella precedente campagna quando la maturazione in contemporanea delle bacche rese complicato il ritiro del prodotto in campo, facendo ricadere l’onere esclusivamente sul produttore. «All’inizio dell’anno – sottolinea appunto Lambertini – le Op si sono impegnate a fornire 28.5 milioni di quintali di prodotto, firmando i relativi pre-contratti: un quantitativo ritenuto subito eccessivo. Per questo avevamo chiesto di inserire nel testo specifiche garanzie sulla reale capacità di trasformazione dell’industria». Va anche detto che Confagricoltura Emilia Romagna, in una nota dello scorso ottobre, aveva esortato a non oltrepassare la soglia produttiva dei 25-26 milioni di quintali, ricordando fra l’altro tutti i limiti della prossima campagna (due le aziende di trasformazione attive in meno, la Columbus di Parma e lo stabilimento piacentino della Opoe, come già avvenuto nel 2020).

«Con questo accordo – conclude Lambertini – è difficile rallegrarsi dei successi ottenuti dall’industria conserviera nell’anno del Covid». Non dimentichiamoci che l’Italia è il primo produttore mondiale di derivati dell’oro rosso con un fatturato industriale di 3,5 miliardi (il 60% delle conserve “made in Italy” vola all’estero generando un giro d’affari di 1,8 miliardi), oltre a essere il terzo produttore mondiale di pomodoro da industria, dopo California e Cina. E dall’Emilia-Romagna proviene il 70% del trasformato finale del Nord Italia, che complessivamente si attesta a 2,7 milioni di tonnellate.

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