rotate-mobile
Economia

«Quanti pregiudizi sui banchieri, caro Galli della Loggia»

Un articolo di Corrado Sforza Fogliani, presidente Assopopolari, pubblicato dal quotidiano nazionale Milano Finanza

L’articolo di fondo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 7 agosto sostiene anch'esso la tesi che, dietro la crisi di alcune banche medio-piccole, vi sia un perverso intreccio di potere. E l'articolo, pur (formalmente) riferito alle sole banche citate, è tale da incidere pesantemente, soprattutto per l'autorevolezza del giornale che lo ha ospitato, sull'immagine dell'intero mondo delle banche di territorio.

Bisogna allora dire, per prima cosa, che non tutte le banche citate sono «banche di territorio». A parte (evidentemente) il Montepaschi, che tutto è meno che una banca locale, fra quelle citate nell'articolo di riferimento c'è chi, addirittura, doveva trasformarsi in Spa coattivamente (per il noto provvedimento governativo, una misura non inedita perché utilizzata anche in epoca fascista), così come c'è chi era già Spa. Ho scritto sul Corriere del 29 luglio che le grosse banche finite malamente sono altrettanto numerose e che i loro rovesci hanno inciso ben più pesantemente sulla nostra economia. Ciò nonostante, nel mirino sono sempre le banche medio-piccole: si rafforza vieppiù l'impressione che alla campagna non siano estranee banche la cui cultura non tollera la concorrenza (quelle del bonapartismo economico, quindi). In secondo luogo, al di là del cautelativo riferimento letterale alle banche citate che l'articolo contiene, quanto è in -esso scritto viene dal lettore, per forza di cose, automaticamente riferito a tutte le banche medio-piccole in quanto tali. E questo non è né vero né moralmente giusto: è come se sulla base di certi intrallazzi di alcuni “baroni" universitari, si estendesse il giudizio su questi a tutti i cattedratici indistintamente. E allora, davvero si ritiene, come comunque si lascia credere e capire, che tutti i banchieri di banche medio-piccole (nell'articolo, è un fatto, non c'è alcuna sottolineatura di eccezione) abbiano assunto i loro incarichi «per arricchirsi, per arricchirsi sempre di più»? Non si crede davvero in ciò che Luigi Einaudi ci ha insegnato a proposito dei reali motivi (l'orgoglio, prima di tutto, di veder, prosperare la propria azienda) che spingono molti imprenditori a intraprendere? E non si crede, quindi, che proprio molti banchieri di banche territoriali siano spinti, certo, anche da orgoglio: ma dall'orgoglio, in particolare, di dotare il territorio di insediamento di una banca vicina alla gente, (come i fatti dimostrano), che dal territorio non vada e venga alla ricerca del mercato del credito più redditizio, che preservi il territorio da incursioni e rapine, che lo sostenga nei momenti più difficili e meno convenienti all'attività creditizia? Se non lo si sa, o non lo si ritiene, non si conosce la realtà delle cose, è segno che si frequentano ambienti che non hanno percepito che, al di là; è ovvio, delle malversazioni, le banche locali sostengono il proprio territorio non per spirito missionario (guai, in ogni settore, a chi ci vuole bene...), ma perché è loro interesse, smithianamente, farlo, non potendo oltretutto giocare su più tavoli e a seconda della convenienza.

Non tutto, ancora e nonostante i tempi miseri che attraversiamo, è invece materialismo e solo materialismo. Se così non fosse, sempre per seguire il paradigma Einaudi, non si spiegherebbe perché tanti banchieri di territorio si adoperino nelle loro banche a farle prosperare, correndo rischi di ogni genere ad ogni piè sospinto. Imputati, spesse volte, di usura non perché abbiano voluto praticare tassi usurari (come la gente abitualmente crede), ma perché i calcoli relativi sono tanto astrusi che non si è mai tranquilli; perché perfino se si applicano i criteri della Banca d'Italia non si è certi che tutto vada bene, perché alcuni singoli PM, la pensano differentemente. Imputati, ancora, per anatocismo solo perché la classe politica (quella di chi pretende di indicarci la via e di farci trasformare coattivamente nella forma societaria che il bonapartismo preferisce, ma che nella propria vita, magari, non ha mai lavorato, non ha mai combinato un tubo al di là di facili vittorie retoriche nella dialettica di partito), banchieri imputati per anatocismo, dicevo, perché la nostra politica per vent'anni, lo ha fatto solo da pochi giorni, non ha mai varato i necessari provvedimenti attuativi della normativa speciale sugli interessi. Il tutto, in molti casi, si venga a vedere, per 30 mila euro all'anno (l'importo di sempre possibili sanzioni amministrative), senza buonuscita e indennità, riservate, com'è noto, solo ai lavoratori subordinati. Il pittoresco quadro ritagliato nell'articolo di riferimento (che non una parola dedica alle incessanti, ricorrenti normative europee con le quali si ha a che fare: non si fa tempo ad applicarle che sono già cambiate, come sarà l'anno prossimo per quella favola di Pinocchio che è la normativa sulla privacy, fonte di ricatti e basta) è davvero ingeneroso.

Un'ultima annotazione. Tutto rimpianto (accusatorio) dell'articolo in questione si basa sulla pretesa applicazione nelle banche del meccanismo della cooptazione, previsto dal Codice civile, ma ormai superato nell'attuazione in ogni realtà bancaria (che sappia io). Senza questo tassello fondamentale, tutto l'impianto cade. Si ritorna, cioè, al vero, alla realtà. 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

«Quanti pregiudizi sui banchieri, caro Galli della Loggia»

IlPiacenza è in caricamento