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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia

Redditi agricoli in calo, l’Italia è fanalino di coda in Europa

Il commento del presidente di Confagricoltura Enrico Chiesa: «Ora preoccupa il caro dei concimi»

Nel 2014, secondo le stime previsionali pubblicate da Eurostat, il reddito agricolo italiano per addetto è sceso dell’11%, tornando a registrare, sia pure di 0,8 punti percentuali, un valore inferiore a quello del 2005 (indice di riferimento = 100), dopo il positivo risultato del 2013 (+11,4%).  Nel periodo 2006-2014, tutti gli anni, escluso appunto il 2013, hanno evidenziato, per l’Italia, valori inferiori al 2005, con minimo nel 2010 quando il decremento di reddito, rispetto all’anno di riferimento, è stato addirittura del 16,9%. «Siamo il fanalino di coda tra i paesi europei – commenta Enrico Chiesa, presidente di Confagricoltura Piacenza -. Eppure il mercato sul quale si muovono le nostre aziende, che è ormai globalizzato, non è diverso rispetto a quello dei nostri diretti competitors. Significa – prosegue Chiesa – che sono le condizioni a monte della collocazione del prodotto sul mercato a metterci fuori gioco. La dimensione media delle aziende è ancora troppo esigua, ma soprattutto è ancora la mala burocrazia ad appesantire le nostre imprese imponendo pesanti costi gestionali aggiuntivi”. Tra i principali Paesi agricoli dell’UE, il Regno Unito è il paese in cui il reddito del settore primario, nel 2014 rispetto al 2013, è cresciuto maggiormente (+6,9%), seguito da Grecia (+4,4%), Francia (+1,1%) e Germania (+0,2%). Oltre l’Italia, solo la Spagna è andata “sotto” (-4,6%). I risultati migliori rispetto al 2005 sono di Germania (+63,6%) e Regno Unito (+56,5%) Nel periodo 2006-2014, solo Regno Unito e Germania hanno sempre registrato redditi superiori al 2005.

«L’Italia – rimarca Chiesa - ha il record degli anni con reddito inferiore all’anno di riferimento (il 2005): ben otto volte”. Segue la Spagna con quattro volte, la Grecia (nel 2006) e Francia (nel 2009). E’ evidente come i redditi degli agricoltori italiani, nei diversi anni, si siano allontanati significativamente dalla media.  Fa eccezione solo il 2009 quando la distanza negativa è stata relativamente più contenuta: -7,2% rispetto all’UE dei 28 Paesi che ne fanno parte attualmente; -3,8% rispetto all’UE dei 15 Paesi che ne facevano parte nel 2005. Nel 2014, tale distanza è stata, rispettivamente del 26,2% (UE-28) e del 16,4% (UE-15).  «Il sistema non remunera adeguatamente il valore aggiunto delle nostre produzioni – conclude Chiesa – ed eventuali economie possibili grazie al calo dei fattori produttivi vengono neutralizzate senza che gli agricoltori possano beneficiarne.  Penso, ad esempio, al caro concimi, nonostante siano strettamente legati al petrolio il cui calo delle quotazioni è stato sensibile. Serve una maggior aggregazione delle aziende per far valere il peso della produzione, un compattamento delle filiere ed una sostanziale revisione del sistema produttivo che deve essere, prima di tutto, liberato da dannosi e inutili appesantimenti burocratici». 

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