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Tanti gli esempi di agricoltura eroica nell’Appennino piacentino

Anche quest’anno, a Roma, nella Protomoteca del Campidoglio, il Premio promosso da Cia Agricoltori Italiani (“Bandiera Verde” giunto alla sua 12esima edizione), è stato consegnato a 16 campioni della nuova agricoltura italiana

Anche quest’anno, a Roma, nella Protomoteca del Campidoglio, il Premio promosso da Cia Agricoltori Italiani (“Bandiera Verde” BoeriCia-2giunto alla sua 12esima edizione), è stato consegnato a 16 campioni della nuova agricoltura italiana, scelti in base a specifiche categorie. Il segreto del successo delle imprese agricole premiate nel 2019 sta prima di tutto nel ritorno dei giovani alle radici e nel forte legame col territorio. E’ la sfida coraggiosa di non abbandonare le aziende familiari grazie alla scommessa di un’agricoltura che si evolve con la ricerca, ma non tradisce la sua missione di tutela dell’ambiente e di valorizzazione di aree a rischio di abbandono. «Sono discretamente numerosi - commenta il Presidente Cia Franco Boeri - i giovani che hanno scelto di lavorare in alta collina e montagna nel nostro Appennino e che meriterebbero un riconoscimento per avere deciso di stabilirsi in questi territori, assicurando una presenza fondamentale per la tutela dell’ambiente in cui vivono, anche se oggi, rispetto al passato, possono contare sull’aiuto della tecnologia e dell’informatica, anche se le infrastrutture sono sovente carenti e diventa difficile poter garantire alle famiglie un adeguato sostegno sociale. Mi riferisco ad adeguati presidi sanitari, scuole ed asili, farmacie, persino alle osterie luogo di aggregazione che sono state quasi tutte chiuse».

milioto3-2«Allevare e coltivare in montagna - osserva Boeri - è quindi un’agricoltura eroica,e Cia ha sempre cercato di affiancare con adeguati servizi questi giovani che oltretutto, come nel caso di Silvia Lupi, svolgono anche una importante attività sindacale all’interno della nostra associazione che cresce e con numerose adesioni proprio nelle zone svantaggiate». «La Lupi - ricorda Boeri - opera a Fossoli, una frazione di Cortebrugnatella ed oltre all’allevamento di suini, li trasforma in eccellenti ed artigianali salumi, un ciclo di filiera a Km zero. In più gestisce un allevamento di capi da carne che vivono nei pascoli che quindi, dopo anni di abbandono, sono tornati ad essere utilizzati». «Prodotti - ricorda - che dovrebbero poter contare su un diverso valore aggiunto ed un superiore riconoscimento dai mercati, come è il caso della famiglia Campominosi che, a Canadello frazione del comune di Ferriere, in provincia di Piacenza, conduce un allevamento di vacche da carne. Si tratta di incroci con limousine e razze autoctone (fecondazione con toro), un allevamento da due anni certificato biologico. Titolare è il signor Armando che opera in azienda con i due giovani figli Carlo (il titolare) e Fabio». «Certo - soggiunge Boeri - allevare biologico ha costi ben superiori, ma di fatto il prezzo riconosciuto non è aderente e così gli allevatori di montagna che naturalmente potrebbero fregiarsi di questo marchio, in molti casi si accontentano di recuperare almeno i costi, integrando gli introiti aziendali con altre attività tra cui, come nel caso dei Campominosi, con la vendita di legna, perché quella delle patate o di mais è praticamente impossibile, causa le perduranti devastazioni operate dai cinghiali ed altri selvatici ungulati».

«Un altro esempio che mi sento di citare - prosegue ancora Boeri - e che ha come protagonista una donna, è quello di Valentina patate montagna-2Milioto, originaria della Brianza che, dopo avere lavorato in due bar, prima a San Giorgio poi a Gropparello, ha deciso di “tagliare completamente i ponti” con i luoghi abitati ed è andata a vivere, con il compagno Maurizio (che esercita tutt’altro mestiere), a Montechino. Qui ha iniziato, in società con Tiziana (che l’aiuta quando ha un po’ di tempo libero), a coltivare di nuovo i campi, prima i pochi in proprietà, poi i molti in affitto, terra libera perché tanto in quelle zone non c’è più nessuno a coltivarla». «Così si è partiti con frumento e patate e poi, man mano che gli ettari aumentavano, (oggi sono 50), con altre coltivazioni, come per esempio il lino che viene conferito a San Protaso per ricavarne olio. E soprattutto Valentina ha piantato zafferano, coltivazione estremamente redditizia, ma com’è noto, complessa, faticosa e delicatissima. Tutto il diserbo va effettuato a mano, la raccolta si va da ottobre a novembre, al mattino presto, quando il fiore non è ancora schiuso, si puliscono delicatamente e quindi si fanno essiccare. I bulbi, molto costosi, provengono dall’Olanda. Nel frattempo bisogna provvedere ai lavori nei restanti terreni, certo oggi ci sono i trattori ed altri macchinari, ma è un “combattimento” continuo per tenerli puliti, recintati (almeno una piccola parte) per allontanare i cinghiali, i caprioli,  risarcimenti dagli enti preposti per i danni arrivano sempre tardi, quando arrivano perché le pratiche sono capziose quanto un rogito notarile.  Insomma - conclude Boeri - di “bandiere verdi” ne abbiamo anche nella nostra provincia: a loro va riconosciuto il ruolo di presidio del territorio»

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