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Economia

«Tassando gli allevamenti le aziende verranno penalizzate e saremo costretti ad importare»

Confagricoltura commenta uno studio europeo sull'ipotetica tassazione degli alimenti a più alto contenuto di emissioni di Co2

Un’equilibrata politica fiscale su cibi meno sostenibili potrebbe proteggere la salute e abbattere le emissioni generate dai processi di produzione, senza pesare sulle tasche dei consumatori. È quanto emerge dal progetto di ricerca europeo Susdiet - Understanding consumer behaviour to encourage a (more) sustainable food choice, appena concluso. Che il progetto indaghi sulla scarsa efficacia delle informazioni in etichetta ai fini delle scelte dei consumatori, ci sta, come ci sta pure che analizzi gli effetti della tassazione sui prodotti alimentari per ridurre il consumo di bibite zuccherate o quant’altro, ma che "in particolare abbia simulato l’impatto di una tassa sugli alimenti a più alto contenuto di emissioni di Co2, che, com’è noto, sono i prodotti di origine animale" proprio non è ammissibile.

“Lo studio mette in discussione, mettendole al pari di una bibita, le nostre produzioni animali, che assicurano le nostre eccellenze, la cui tradizione origina dagli insegnamenti di agraria e da competenze millenarie”, tuona Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza che prosegue "Con un come è noto si mettono sotto accusa gli allevamenti senza avere il coraggio di portare a conclusione il ragionamento. Se è vero che una maggior tassazione di certi prodotti ne può ridurre il consumo, le aziende verranno penalizzate, e sarà spazzato via un settore, quello degli allevamenti, già sotto scacco da una politica europea che agevola le economie del Nord Europa. Con che risultato poi? Che la gente comprerà i prodotti di origine animale importati, come si verifica (e questo è provato, non simulato) in un’economia globalizzata. Cosa ci sia poi di etico nel trattare un alimento come un bene di lusso, questo non lo capiamo proprio. Vorremmo vedere il target sul quale l’operazione avrà efficacia. Chi ha disponibilità non cambierà regime alimentare, una simile scelta impatterà sulle fasce deboli, quelle che alle proteine nobili già accedono con difficoltà. Perché sarebbe bene mettere in relazione i dati di questo studio con quelli sulla povertà, magari quelli del rapporto Caritas 2017: sono 47 mila i piacentini a rischio povertà (più che raddoppiati da prima della crisi), con un tasso di deprivazione materiale al 16.4%».

"Ma certo - prosegue Gasparini - tassiamo i nostri prodotti, uccidiamo le nostre aziende e poi importiamo a minor prezzo quelli provenienti dall’estero. Tutto mentre anche un nuovo studio della FAO pubblicato da Global Food Security indica che il bestiame si basa principalmente sui foraggi, sui raccolti e sui sottoprodotti che sono immangiabili per gli esseri umani e che alcuni sistemi di produzione contribuiscono direttamente alla sicurezza alimentare".

Confagricoltura Piacenza riporta i dati del citato studio Fao: l’86% degli alimenti per animali non è adatto per il consumo umano. Se non consumati da bestiame, i residui e i sottoprodotti di coltivazione potrebbero rapidamente diventare un onere ambientale. Gli animali consumano anche alimenti che potrebbero essere consumati da persone come i cereali, che rappresentano il 13% della quantità totale di sostanze secche per il bestiame. Contrariamente ad alcuni studi precedenti, spesso citati, che hanno stimato il consumo di grano necessario per aumentare 1 kg di carne bovina tra 6 kg e 20 kg, questo nuovo studio ha rivelato che in media per produrre 1 kg di carne sono necessari solo 3 kg di cereali. I dati Fao mostrano anche importanti differenze tra i sistemi di produzione e le specie. Per esempio, poiché si basano su pascoli e foraggi, i bovini hanno bisogno solo di 0,6 kg di proteine ​​da alimenti commestibili per produrre 1 kg di proteine ​​nel latte e nella carne. Lo studio Fao esamina, infine, anche il tipo di terreno utilizzato per la produzione di mangimi per animali. I risultati mostrano che dei 2,5 miliardi di ettari necessari (per le produzioni animali a livello globale) il 77% sono prati, con una gran parte di pascoli che non potevano essere trasformati in terreni coltivati. Gli animali, inoltre, completano la produzione agricola attraverso la produzione di letame. La Fao, Infine, ricorda che il mantenimento del bestiame è una fonte sicura di reddito per più di 500 milioni di persone povere in molte aree rurali.

Anne Mottet, della FAO, presentando lo studio ha dichiarato: "Mi sono reso conto che le persone sono costantemente esposte a informazioni sbagliate sul bestiame e sull'ambiente”. Filippo Gasparini, ripensando, invece, allo studio Susdiet e a certe derive del mondo accademico conclude: “Resta lo sconcerto nel vedere gli sforzi della ricerca non più al servizio della scienza, ma di un’ideologia che parte schizofrenicamente da presupposti errati. Le conclusioni dello studio della Fao erano le premesse che sentivamo ai corsi della nostra università. Le simulazioni di Susdiet, per contro, le leggiamo come un tradimento nei confronti di quella stagione in cui si insegnava la produttività, l’abbassamento dei costi per favorire l’accesso al cibo, ma soprattutto alle proteine nobili da parte di tutti”.

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