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Economia

Unione Agricoltori, Gasparini: «I costi della produzione di latte superano i benefici»

Il commercio del latte italiano deve cercare di rinnovarsi e diventare più competitivo per continuare a vedere ed esportare i prodotti tipici italiani nel mondo

La data che chiude un’epoca è alla fine di questo mese: il 31 marzo termina il regime delle quote-latte iniziato 32 anni fa, quando, tra l’altro, all’Italia fu assegnata una quota molto inferiore al consumo interno di latte. E, ulteriore paradosso, sembra ormai certo che l’Italia splafonerà la quota assegnata e le stalle che hanno superato l’assegnazione dovranno sostenere la multa di 26 centesimi per ogni litro prodotto in più. 

“Un ulteriore beffa - commenta Filippo Gasparini responsabile del settore lattiero - caseario dell’Unione Agricoltori e consigliere del Consorzio AgriPiacenza Latte - che ci costringe, con un prezzo in continua flessione, a sostenere spese per aver prodotto, senza aver neppure coperto i costi fissi. Tutti a rincorrere quote da affittare ormai introvabili, con gli affitti che stanno raggiungendo livelli insostenibili: di fatto è come imporre alle stalle più competitive di chiudere. Il nuovo pacchetto-latte che dovrebbe essere imminente (si stanno raccogliendo le osservazioni) e che dovrebbe sostituire quello precedente di fatto solo parzialmente (o quasi per niente) applicato, deve tenere conto dei costi, del mercato e della burocrazia.

«Il mercato - spiega Gasparini - è ormai internazionale ed esiste un gap notevole tra i costi produttivi italiani e quelli degli altri partner europei: energia, mano d’opera, e burocrazia, tanto per citarne alcuni. Nel caso della burocrazia è essenziale cominciare seriamente a considerare cosa è necessario o no. Valutiamo pure tutte le garanzie che dobbiamo offrire da un punto di vista sanitario ed aziendale, a fronte tra l’altro di controlli sovente ripetuti da una pluralità di soggetti, ma la sostenibilità deve essere solo ambientale? E quella economica per gli allevatori? Bisogna computare i costi di tutto ciò che ci chiede la burocrazia, unitamente alle leggi di garanzia volute dalla Ue e dall’Italia, sia per la qualità, che è certo un prerequisito, ma a cui aggiungere le garanzie ambientali, per il consumatore, per il benessere animale ecc. Tutto bene - chiosa Gasparini- ma il bilancio costi-benefici ci deve essere anche per gli allevatori».

E di fronte a tutto ciò, in un mercato internazionale, come possiamo pensare di competere?

«Il pacchetto-latte deve tenere conto di questo mondo globalizzato, dove i costi superano nettamente i benefici, perché è solo il prezzo che ti sostiene. Qualcuno questi conti molto semplici non li fa. Il pacchetto-latte dovrà - ribadisce Gasparini - rispondere a dopo quote globale: dopo tanti anni ci troviamo catapultati in un mondo aperto, senza protezioni e senza esperienza. Anche chi, tanto tempo fa, ha venduto latte senza quote, non doveva certo rapportarsi con quello prodotto in Nuova Zelanda. Questi dunque sono i presupposti per delineare un nuovo pacchetto-latte che fino ad ora ci ha ingabbiato. Al di là degli aspetti contrattuali, non possiamo più accettare assurdi vincoli e lasciare completamente alle organizzazioni di prodotto che possiedono realmente il prodotto (non quelli che ne parlano teoricamente), con il possesso legalmente affidato dai soci, la gestione del dopo quote, altrimenti ci si trova di fronte ad una contraddizione in termini. E tutto ciò è vanificato se, dopo avere abolito le quote-latte si lasciano sul formaggio» spiega Gasparini e continua: «E’ stato tolto un patrimonio agli allevatori e poi le ritroviamo nel formaggio. Con le quote saremo invasi dal prodotto estero, soprattutto dai similari. E’ indispensabile una strategia di medio periodo: costruire un comparto organizzato dove gli sforzi sono finalizzati a rendere solido il segmento delle produzioni Dop, dove produzione e trasformazione perseguono l’obiettivo comune di far confluire il latte italiano nei nostri formaggi tipici per poi venderli nel mondo». 

«“Conditio sine qua non”, è l’attivazione di una seria politica strutturale di export dei formaggi Dop a pasta dura» dice il responsabile del settore lattiero-caseario dell’Unione Agricoltori e aggiunge: «Tutta la filiera del Grana deve abbandonare obsolete manovre di contenimento della produzione che in un mercato globale aperto e “infestato” di similari non raggiunge più lo scopo di sostenere il prezzo; serve una nuova politica di marketing e di sviluppo dei commerci esteri. Come possiamo competere sui mercati esteri se non possiamo produrre? E’ necessaria una deroga sulla differenziata, perché le prime vittime sono quelli che devono vendere il latte, salvo pensare che il grana sia un valore per il mondo e non di un ristretto club. Mi piace invece pensare agli allevatori ed ai cooperatori italiani che conquistano con la loro qualità il mondo». 

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