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Venerdì, 19 Aprile 2024
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A Castellarquato la mostra “Tracce. Le rocce di Bertuzzi e i njchi di Leonardo”

Aperta sino al 5 luglio, mette in dialogo una serie di opere su carta di Romano Bertuzzi con alcuni reperti fossili del museo testimonianza dell’antico mare che occupava tra 5 a circa 2 milioni di anni fa la pianura padana

Al Museo geologico “G. Cortesi”, di Castell’Arquato apre oggi la mostra "Tracce. Le rocce di Bertuzzi e i njchi di Leonardo” che mette in dialogo una serie di opere su carta di Romano Bertuzzi con alcuni reperti fossili del museo testimonianza dell’antico mare che occupava tra 5 a circa 2 milioni di anni fa la pianura padana. Questi resti fossili furono citati per la prima volta da Leonardo da Vinci nel suo celeberrimo Codice Leicester. Gli orari di accesso alla mostra che prosegue fino al 5 luglio sono: da martedì a venerdì: dalle 10 alle 13,00. Pomeriggio: visite su richiesta con partenza dall’ufficio turistico. Sabato, domenica e festivi: dalle ore 10,00 alle ore 12,00 e dalle 15,00 alle 17,00.

La mostra, promossa dal Comune di Castell’Arquato e dal Museo geologico “G. Cortesi”, ha il patrocinio della Regione Emilia Romagna ed è stata realizzata grazie alla collaborazione con il Centro Eucaristico Diocesano San Donnino di Piacenza e il Museo Poldi Pezzoli di Milano e con il supporto del Rotary Club Fiorenzuola d’Arda e della Società piacentina di scienze naturali. Sotto l’aspetto paleontologico – si legge nella scheda della mostra - non bisogna dimenticare che dalla fine del Settecento nei terreni argillosi e sabbiosi dell'area orientale dell'Appennino piacentino, ed in particolare lungo le ripide pareti dei calanchi e nelle incisioni di piccoli rii delle valli del Nure, Chiavenna, Arda e Ongina, venivano alla luce le testimonianze fossili del "mare pliocenico", studiato ed ammirato dai maggiori studiosi europei: da Georges Cuvier a Charles Lyell. Ma già tre secoli prima Leonardo da Vinci, che per primo riconobbe l'origine organica dei resti fossili, ebbe modo di vedere le conchiglie raccolte tra Parma e Piacenza mentre si trovava a Milano dove stava lavorando alla statua equestre di Francesco Sforza ed una citazione su questi fossili, che il maestro chiamava njchi, è riportata nel Codice Leicester (folio 9 verso). “Vedesi inelle montagnie di Parma e Piacenzia le moltitudine de’ nichi e coralli intarlati, ancora appiccati alli sassi; de’ quali, quand’io facevo il gran cavallo di Milano, me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani, che in tal loco furon trovati; fra li quali ve n’era assai delli conservati nella prima bontà”. Romano Bertuzzi ha sviluppato ormai da un lustro un’attenta e avvincente ricerca partendo dall’osservazione di semplici ciottoli sparsi nel greto dei torrenti appenninici. Pietre dai colori differenti e dalle differenti storie geologiche, accomunate dall’essere custodi di un mondo che sa mostrarsi solamente a chi lo guarda col desiderio di coglierne i più profondi misteri, spingendo lo sguardo nell’infinito universo racchiuso in un piccolo ciottolo di fiume. Di lui recentemente ha scritto Ivo Iori: “Le pietre e i ciottoli disegnati raccontano di microcosmi naturali in cui a volte si intravedono i resti di antichi fossili e in cui la materia del primo “magma” solidificato sembra narrare in presa diretta la storia dell’Universo”. (Segni del tempo, 2017)

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