A Cives va in scena il Teojazz con la Garlaschelli’s Band e il poeta Guido Oldani
È quasi agli sgoccioli la ventiduesima edizione di Cives “Zona Franca” e, come da tradizione, va in scena l’originalissimo concerto “Teojazz”. I brani della Garlaschelli’s Band – composta da Gabriele Garlaschelli, Matteo Marasco e Alessandro Battaglia – saranno accompagnati dalle poesie di Guido Oldani, fondatore del “Realismo terminale” e inventore della figura retorica della “similitudine rovesciata”, candidato nel 2021 al Premio Nobel per la Letteratura. La serata sarà aperta al pubblico e si svolgerà venerdì 3 marzo alle 20.30 nella la Residenza Gasparini (Fienile), in strada dell’Anselma 7, alle spalle dell’Università Cattolica di Piacenza. Per chi non è iscritto al corso di formazione, per motivi organizzativi, è necessaria la prenotazione tramite e-mail all’indirizzo daniela.guzzi@unicatt.it.
COS’È IL TEOJAZZ - La sigla Teojazz può sembrare un semplice gioco di parole, oppure rimandare a una nuova temperie culturale che individua lo spazio dell’esperienza estetica quale gesto specificamente e autenticamente umano, luogo di resistenza dell’umano contro l’automatismo e l’omologazione moderna, in grado di restituire all’uomo uno sguardo creativo e aperto al trascendente. Proprio al valore dell’esperienza estetica si riferisce la celebre citazione di Karl Barth che abbiamo riportato modificandola. In verità Barth scrive che gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio, suonano musica di Bach, ma quando si trovano tra di loro suonano Mozart. E aggiunge: anche il Signore trova diletto nell’ascoltarli. Se Bach rappresenta la musica raziocinante che sembra procedere attraverso l’hegeliana “fatica del concetto”, la musica di Mozart apre ad una percezione dell'immediato, chiede di fidarci di questa immediatezza. È un “diletto” estetico che sembra appartenere anche al divino e che noi abbiamo riconosciuto nel jazz.
La musica jazz non è qui intesa come genere musicale, piuttosto definita dal suo carattere distintivo che riguarda l’improvvisazione. L’improvvisazione jazzistica rimanda ad un ordine contingente di leibniziana memoria, contrario ad ogni sistema prestabilito come alla caduta nel non senso del caso. L’improvvisazione ha questo di caratteristico, che la nota è cercata senza essere già scritta prima, e tuttavia non è suonata a caso e dunque appare nel suo senso quasi come un dono non previsto, in tutto il suo aspetto di novità, anche se in questa novità che si sembra inaudita, perché ci sorprende sempre, noi ci riconosciamo come se vi fossimo destinati, ma solo posteriormente. L’improvvisazione ci fa vivere l’esperienza del tempo quale spazio fra la possibilità e la destinazione, ci riconduce dunque a quel “possibile” che si rivolge al futuro come all’avvenire che ci riguarda, quale dimensione di realizzazione e di redenzione dell’umano; fa uscire il desiderio dalla reiterazione del consumo riconducendolo alla dimensione profondamente umana di incontro con l’altro e con gli altri, nella forma dell’inatteso rappresentato da possibile che nella destinazione assume il carattere del dono. In questo movimento vogliamo riconoscere la libertà della creazione divina e dunque pensare alla creazione divina come a un’improvvisazione jazzistica.
CIVES – È un corso di formazione promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore insieme alla diocesi di Piacenza-Bobbio, al Laboratorio di Economia Locale e alla Fondazione di Piacenza e Vigevano. I lavori sono coordinati da Giovanni Ambroggi, Patrizia Calza, Raffaele Ciociola, Enrico Corti, Angela Fugazza, Enrico Garlaschelli, Giovanni Groppi, Sara Groppi, Daniela Guzzi, Massimo Magnaschi, Roberto Maier, Francesco Millione, Marina Molinari, Fabio Obertelli, Francesco Perini, Francesco Petronzio, Piergiorgio Poisetti, Paolo Rizzi e Susanna Rossi.
ZONA FRANCA – Lo scoppio della guerra in Ucraina ha messo in dubbio certezze radicate in noi da decenni. Abituati al ruolo di spettatori di guerre “lontane”, ci siamo percepiti per anni in una sorta di “zona franca”, riparati dalle conseguenze e distanti dall’essere attori o vittime. E se pensiamo alla pace, dalla nostra posizione di avulsi dai conflitti, non ci viene in mente altro se non un anelito alla fine della guerra. Consideriamo la pace come punto d’arrivo di un conflitto, e così ci lasciamo sfuggire l’accezione più significativa del termine “pace”, che riguarda la situazione da creare per prevenire il conflitto. Trascuriamo le regole di una convivenza civile che idealmente dovrebbe evitare la frammentazione della concordia.