Carlo Alberto Redi: come la vita quotidiana può modificare il nostro DNA
Riprendono i “Giovedì della Bioetica” in Fondazione. Il quinto appuntamento del 2019 è con Carlo Alberto Redi dell’Università di Pavia, che ci parlerà di Genomica Sociale e affronterà il grande tema di “come la vita quotidiana può modificare il nostro DNA”.
L’appuntamento, promosso dall’Istituto Italiano di Bioetica - Sezione Emilia Romagna con sede a Piacenza, è per giovedì 26 settembre, alle 17.30, in via S. Eufemia nell’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, partner dell’iniziativa.
Presentato dal presidente dell’Istituto di Bioetica, Giorgio Macellari, il prof. Carlo Alberto Redi, ordinario di zoologia e accademico dei Lincei, lancia l’allarme su come le condizioni socio-ambientali, quali la collocazione urbana, l’isolamento sociale possano modificare il nostro DNA e fa un appello con forti raccomandazioni a chi ha il dovere di predisporre programmi di politiche sociali, perché per prevenire e guarire le malattie “è necessario assicurare ai più svantaggiati (ma il richiamo vale per la società civile tutta): più assistenza per l’infanzia, una migliore istruzione, più occupazione, un salario minimo garantito per tutti, comunità più sane e sostenibili, più case accessibili a tutti e una determinazione sociale ad eliminare fumo e consumo di alcol”.
Il prof. Carlo Alberto Redi sostiene che “è ormai chiaro che esiste una transizione sociobiologica e che le condizioni di natura e di cultura in cui si sviluppa e vive un individuo si rincorrono influenzandosi reciprocamente in una relazione circolare”.
Le sue ricerche sono rivolte a chiarire i meccanismi attraverso i quali “il sociale entra nella pelle e si fa biologia”, del come “la classe sociale entra nelle molecole, nelle cellule”.
Fattori ambientali di varia natura possono, infatti, “modificare l’espressione genica delle cellule alterando lo stato fisiologico di tessuti e organi”.
“Le diseguaglianze sociali si traducono così – accusa il prof. Redi - in diseguaglianze di salute, le quali, non solo vengono trasmesse in maniera intergenerazionale, ma determinano, a loro volta, diseguaglianze di opportunità, di reddito, di rango sociale in un meccanismo ricorsivo che rinforza lo svantaggio sociale che le ha originate”.
Il prof. Redi spiega che “i meccanismi e le architetture funzionali dell’insieme delle modificazioni chimiche, reversibili ed ereditabili, che controllano l’attività dei geni sono oggi oggetto di studio a vari livelli. Non solo quelli strettamente biomedici, della disciplina che prende il nome di epigenetica: lo studio dei meccanismi che trasducono al DNA, alle cellule, ai tessuti, agli organi, a tutto il nostro corpo (compresa la nostra mente), i fattori chimici, fisici, sociali e culturali che definiscono l’ambiente nel quale si sviluppa l’intera storia del ciclo vitale di un individuo”.
“Emerge in modo chiaro – aggiunge il prof. Redi - come le condizioni socio-ambientali, tra le quali la collocazione urbana, il basso rango socio-economico, l’isolamento sociale e le minacce sociali per citarne alcune, correlino con una differenziale espressione di centinaia e centinaia di geni nei linfociti e nei tessuti patologici quali quelli invasi dalle metastasi di diverse forme tumorali. In tutte queste cellule tante e diverse condizioni di svantaggio socio-ambientale determinano un’aumentata espressione di geni pro-infiammatori ed una diminuita espressione di quelli deputati alle difese immunitarie”.
“Nel corso dello sviluppo della storia – aggiunge ancora il prof. Redi - del ciclo vitale di un individuo (cellule germinali-embrione-feto- giovane-adulto- senescente - cellule germinali - embrione - ……) le cellule, i tessuti, gli organi sono esposti a diversi ambienti.
Il genoma (DNA) nelle diverse fasi dello sviluppo è esposto ad una varietà di agenti chimici e fisici (xenobionti); l’ambiente sociale (censo, famiglia, scuola, religione, cultura, etc.) ne influenza in modo determinante il grado di esposizione e la struttura sociale tende a veicolare continuità di vantaggi o svantaggi: sono ben noti sia l’arresto della crescita in altezza dovuto a deprivazioni emotive o nutrizionali degli infanti sia le marcate differenze in longevità, aspettativa di vita in buona salute e forma fisica in età avanzata in relazione alla classe sociale”.
“Anche le relazioni che gli individui – insiste il prof. Redi - contraggono evidenziano transizioni socio-biologiche: ciascuno di noi vive in un contesto di interdipendenza da altri individui e condivide influenze ambientali simili (reddito famigliare, divisione dei lavori domestici, preferenze alimentari o di vacanze): è noto che la diagnosi di una grave malattia e l’angoscia ad essa associata hanno un impatto negativo sia sul paziente che sul coniuge o che la depressione di un compagno colpisce le facoltà cognitive dell’altro compagno”.
“Queste evidenze - conclude il prof. Redi - hanno un doppio valore scientifico: da un lato sottolineano la relazione negativa tra specifici contesti socio-ambientali e salute e dall’altro empiricamente individuano quelle condizioni socio-ambientali più adatte al benessere ed allo sviluppo in salute degli individui suggerendo ai responsabili politici l’adozione di politiche sanitarie adatte ai singoli contesti sociali, storici, geografici, genetici e dello sviluppo che caratterizzano diversi gruppi di individui. La drammaticità di questa situazione non è solo sulla “carta” delle statistiche ma ben più tragicamente si rivela “sotto la pelle” delle grandi masse”.