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«Muore come ogni uomo: solo, rassegnato, anche spaventato»

E' il Gesù "rivelato" dalla prof. Maria Giovanna Forlani alla conferenza pre-pasquale della Dante Alighieri

La Pasqua di Resurrezione è per un cristiano-credente il momento più alto, più nobile, più sublime che il cristiano-uomo possa interiormente vivere: un’esaltazione di vita spiritualmente libera e nella percezione autentica di una speranza viva che si traduce in certezza di luce.

Gesù è destinato in ogni tempo ad essere un segno denigrato, osteggiato, schernito, nonostante le prove di “luce” date nel suo periodo di vita pubblica; e l’espressione di contraddizione più tangibile, alla fine sembra incontrarsi nella sua sofferenza e morte di Croce, senza sostegno, senza trombe e liturgie, senza compassione.  Muore come ogni uomo: solo, rassegnato, anche spaventato. Ma in realtà, è proprio la Croce a divenire luce e salvezza per l’uomo misero; è la Croce a toccare l’apice della Buona Novella per tutti coloro che conoscono l’amaro sapore della sofferenza.

E’ questa l’efficace visione offerta dalla prof.ssa Maria Giovanna Forlani - dirigente scolastica laureata, in Filosofia nonché in Lingue e Letterature Straniere, e diplomata in pianoforte e in clavicembalo – alla folta platea della Conferenza tenuta per la Società “Dante Alighieri” di Piacenza, presso la Galleria Ricci Oddi, su “La Passione di Gesù tra teatro e musica: dalla Riforma Luterana al’miracolo’ Bachiano”.

La padronanza assoluta della materia e la scioltissima esposizione, unite agli efficaci “momenti” della musica di Bach, donati all’ascolto di un pubblico emotivamente coinvolto, sono stati il “sale” che Maria Giovanna Forlani ha offerto all’uditorio, facendo “vivere” un’immagine di altissima musicalità di un Cristo nel cui sguardo è riflessa la sfera intima di ciascuno di noi.

Già nel decimo secolo – ha ricordato la prof. Forlani - esisteva in Inghilterra e in Svizzera una forma di dramma liturgico (“tropi” e “sequenze”) vertente su episodi del Vangelo e sulle vite dei Santi, e in Spagna una forma di rappresentazione sacra corale (“autòs”).  Nel contempo, in Francia, con il re Luigi IX il Santo, si passava dagli “jeux” (giochi) profani agli “jeux” sacri, cioè rappresentazioni della vita di Maria, da bambina a Madre di Gesù, con allestimenti operati da ogni famiglia.

Grazie al monaco tedesco Martin Lutero, si avvertì che, più che la teologia, era la musica ad avvicinare il popolo a Dio. Si diffuse così il “Corale”, di cui può considerarsi padre appunto Lutero, con testi letterari adattati a musiche organistiche e di regola, espressioni di melodie popolari preesistenti e già conosciute dai contadini come canto profano.

Ma è con Johann Sebastian Bach che si ha una composizione musicale “originale” in materia di “Corali”. E, al di là della grandezza della sua produzione, Bach (1685-1750) è indubbiamente il massimo esponente della musica evangelica. I capolavori bachiani si contano a decine, e nessuna delle “Cantate” rivela stanchezza o povertà di ispirazione, ma esse esprimono sempre atmosfere di intensa ineguagliata spiritualità. Ma ciò che spicca nella produzione bachiana sacra sono, in particolare, le “PASSIONI”: di esse Bach fa il suo monumento alla mistica. Simboli forti sono la Trinità, l’Incarnazione, la Morte e Crocifissione.

A noi sono pervenute integre ed originali la “Passione secondo Giovanni” e la “Passione secondo Matteo”. Però, mentre nella prima si avvertono lineamenti più severi e forse duri, ed una visione musicale più teologica e trasfigurata, nella “Passione secondo Matteo” subentra invece un sentimento di maggior tenerezza, pur attraverso un ritmo incalzante che, dal Getsemani alla Sepoltura, scandisce la drammaticità degli eventi attraverso una perfetta sintesi tra melodia, armonia e parola. Lo stesso Bach reputò questa la sua maggiore opera, che, in effetti, trascina l’anima dinanzi allo sguardo tragico ma sempre dolce dell’“Innocente” con cui ognuno “vuole stare”.

E col doppio Corale conclusivo del dramma – ha proseguito la prof. Forlani - Bach dedica a Gesù - morto una sorta di “ninnananna” dolcissima, capace di elevare lo spirito del credente alla contemplazione della bellezza e della pace eterna: “ MEIN  JESUS  GUTENACHT ” (“Buonanotte, o mio Gesù”), Canto finale in cui il “sepolcro” è immaginato come una “culla” ove il corpo di Cristo “riposa, per rinascere”.

La preghiera di Bach in tale “finale” è in realtà un inno alla vita, che non può che strappare emozione e commozione altissime.

Conferenza applauditissima nella quale la prof. Forlani, ha saputo “trasmettere” non solo la grandezza del “miracolo” bachiano, ma l’intensa spiritualità del “mistero di un infinito e di una eternità” in cui la “grande musica” riesce a trasportare, e in un tutt’uno fondere, lo spirito dell’Essere Umano.

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