Galleria Alberoni, presentazione del catalogo della mostra "I colori della carità"
Mercoledì 24 gennaio 2018 alle ore 21 apertura serale e notturna della Galleria Alberoni con ingresso libero - in occasione della presentazione del catalogo della mostra "I colori della carità. San Vincenzo de’ Paoli nei capolavori dell’arte italiana tra ‘700 e ‘900". Si tratta diun imponente volume di oltre 200 pagine, il primo mai pubblicato dedicato all’iconografia italiana del santo francese, con una sezione di saggi e studi e una ampia ed estremamente ricca sezione iconografica che riproduce, in intero e in numerosi e suggestivi particolari, le più straordinarie opere dedicate alla vita del santo
La serata - che coincide con il quarto evento collaterale alla mostra - sarà introdotta da un intervento di Padre Francisco Javier Alvarez Munguía, Vicario Generale della Congregazione della Missione di san Vincenzo de’ Paoli, la cui presenza vuole sottolineare il particolare significato e la rilevanza della mostra in corso alla Galleria Alberoni. Si tratta infatti della seconda personalità istituzionale della Congregazione nel mondo. Il titolo del suo breve intervento è “La carità carezza di Dio per il povero”.
Il tema s’inserisce nella mostra I colori della carità e vuole essere un ampliamento del suo messaggio. Il suo intento infatti è quello di mostrare il senso profondo della vocazione vincenziana, che consiste non solo nel soccorrere i poveri, ma nel mantenere vivo il modo della carità nel soccorrerli.
Seguiranno gli interventi di Angelo Loda, storico dell’arte e di Padre Erminio Antonello, Superiore del Collegio Alberoni, curatori del catalogo, che illustreranno ai presenti la pubblicazionE’ previsto infine un breve intervento di Don Davide Maloberti, direttore de Il Nuovo Giornale, ìsettimanale che ha pubblicato, quale allegato all’ultimo numero, il libretto San Vincenzo de’ Paoli. L’inventore della carità organizzata in epoca moderna, che entra a fare parte della collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità”. Il volumetto sarà in vendita presso il bookshop della Galleria.
Mercoledì 24 gennaio 2018, ore 20
Visita alla mostra guidata dal curatore Angelo Loda
Ingresso ridottissimo, €. 2,50
Una visita a ingresso ridottissimo (€. 2,50), guidata dal curatore Angelo Loda, si terrà alle ore 20 di mercoledì 24 gennaio, un’ora prima dell’inizio della serata che prevede la presentazione del catalogo. Un’occasione per scoprire le opere in mostra guidati dallo storico dell’arte che ha condotto la ricerca e lo studio pluriennale e che ha curato il progetto espositivo.
Il catalogo a un prezzo decisamente scontato
In occasione della presentazione il catalogo della mostra sarà in vendita a un prezzo decisamente scontato
Il catalogo della mostra, ma anche qualcosa in più…
Il primo studio dedicato all’iconografia di San Vincenzo de’ Paoli in Italia, corredato da una ricchissima sezione fotografica
Non solo un catalogo di mostra, ma anche qualcosa in più. E’ ciò che aspira ad essere il volume I colori della carità, che da mercoledì sera si affiancherà all’omonima mostra dedicata all’iconografia di san Vincenzo de’ Paoli in Italia, in corso presso la Galleria Alberoni a Piacenza. Una voluminosa ed elegante pubblicazione che si configura come una sorta di compendio, di summa della diffusione dell’iconografia vincenziana nel territorio italiano, dal Settecento fino all’inizio del Novecento.
Frutto quindi di oltre un biennio di studi effettuati per la preparazione della mostra il volume ponderoso, curato da Padre Erminio Antonello, Superiore del Collegio Alberoni e Angelo Loda, storico dell’arte della Soprintendenza ABAP di Bergamo e Brescia, contiene una serie di contributi sulla storia e la spiritualità del santo attivo in Francia nel periodo della Controriforma e sulla diffusione dei preti della missione in Italia a partire dal Seicento in avanti, a cura di Erminio Antonello, Nicola Albanesi, Luigi Nuovo e Lucia Rocchi.
Alla diffusione dell’iconografia vincenziana in Italia ha dedicato un ampio e approfondito studio Angelo Loda, curatore della mostra.
In esso si traccia la complessa articolazione della devozione e del culto al santo attraverso l’analisi delle molteplici testimonianze visive giunte a noi o documentate dai testi antichi. Un percorso che, partendo dalle descrizioni delle feste romane per la beatificazione e canonizzazione e dalle varie incisioni che diffusero l’effigie del santo, passa in rassegna il profilo di un santo che, rappresentato nel Settecento come predicatore alle genti nell’aperta campagna, diventò nel secolo successivo l’apostolo della carità, in aiuto dei poveri, delle ragazze “pericolanti”, dei trovatelli.
Dal Piemonte sabaudo alla Roma papale, dal mezzogiorno borbonico agli stati pre-unitari dell’Italia centrale, i vincenziani diffusero l’immagine del loro fondatore che la mostra ha voluto restituire con una serie di capolavori, che in catalogo sono stati magistralmente riprodotti dalle fotografie di Carlo Pagani. Un volume quindi ambizioso e per ora unico nel suo porsi come vero e proprio atlante vincenziano in Italia, che giunge a completare un’esposizione anch’essa del tutto originale e innovativa.
I COLORI DELLA CARITA’
Come e quando visitare la mostra
NUOVA APERTURA STRAORDINARIA DELLA GALLERIA ALBERONI DA VENERDI’ A DOMENICA POMERIGGIO - PERCORSI ACCOMPAGNATI E VISITE GUIDATE
In occasione della mostra I colori della Carità l’Opera Pia Alberoni ha programmato una nuova apertura straordinaria della Galleria e del Collegio che saranno pertanto visitabili dal 17 febbraio al 25 febbraio 2018 il venerdì, il sabato e la domenica pomeriggio.
La mostra sarà liberamente visitabile venerdì, sabato e domenica dalle ore 15.00 alle ore 18.30.
Il Collegio Alberoni (Ecce Homo di Antonello da Messina, Appartamento del Cardinale, Biblioteca Monumentale) sarà visitabile solo con percorso accompagnato o visita guidata.
VENERDI’ E SABATO
Partenza ore 16.00 e ore 17.00
Percorsi accompagnati alla mostra, alle opere vincenziane custodite in Collegio e al patrimonio artistico alberoniano (Ecce Homo di Antonello da Messina, Appartamento del Cardinale, Biblioteca Monumentale)
DOMENICA
Partenza ore 16 e ore 17.15
Visita guidata alla mostra, alle opere vincenziane custodite in Collegio e al patrimonio artistico alberoniano (Ecce Homo di Antonello da Messina, Appartamento del Cardinale, Biblioteca Monumentale)
Biglietti
Visita libera alla mostra € 4,50
Percorsi accompagnati e visite guidate € 6,00
Visite guidate negli eventi collaterali € 4,50
I gruppi di visitatori di almeno 15 persone possono prenotare visite guidate alla mostra in qualsiasi giorno della settimana - Ingresso ridotto € 4,50 + € 50 per la guida
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Padre Alvarez Francisco Javier è il Vicario Generale della Congregazione della Missione.
E’ la seconda personalità istituzionale della Congregazione.
Il tema su cui egli ci intratterrà mercoledì 24 gennaio alle ore 21 presso la Galleria Alberoni è “La carità: carezza di Dio per il povero”.
Il tema s’inserisce nella mostra “I colori della carità” e vuole essere un ampliamento del suo messaggio. Il suo intento infatti è quello di mostrare il senso profondo della vocazione vincenziana, che consiste non solo nel soccorrere i poveri, ma nel mantenere vivo il modo della carità nel soccorrerli: un modo, che è uno stile fatto di semplicità, amabilità, cordialità e mitezza.
Lo ha ricordato anche Papa Francesco in una lettera inviata alla Famiglia Vincenziana: “Le Confraternite della carità sono nate dalla tenerezza e dalla compassione del cuore di san Vincenzo per i più emarginati e abbandonati. Il suo operato tra loro e con loro voleva riflettere la bontà di Dio verso le sue creature. Vi invito a proseguire su questa via. La credibilità della Chiesa passa attraverso la vostra testimonianza personale: non si tratta solo di incontrare Cristo nei poveri, ma anche di far sì che i poveri percepiscano Gesù in voi e nel vostro agire” (Lettera del 22 febbraio 2017). Questo è un programma di vita sempre nuovo, che ha bisogno di essere portato alla memoria della propria coscienza per essere trasformato in operatività viva e generosa.
I COLORI DELLA CARITA’
"Le ragioni della mostra", di Padre Erminio Antonello, Superiore del Collegio Alberoni
San Vincenzo de’ Paoli è noto in tutto il mondo ed è celebrato come patrono universale di tutte le opere di carità della Chiesa. Anche nella nostra città di Piacenza è stato la sorgente ispiratrice di una ragnatela di opere socio-caritative attraverso i suoi missionari che da oltre 250 anni dirigono il Collegio Alberoni, le numerose Figlie della Carità e le associazioni laicali vincenziane che hanno avuto un ruolo importante nell’assistenza ai malati e ai poveri della città.
Nel 2017 ricorrono 400 anni della sua conversione, che è consistita nel rivoluzionare la propria vita in favore dei poveri della società francese, la quale nel ‘600 versava in situazioni di estrema indigenza a causa della fame, della peste e della guerra. Questa conversione ha dato i suoi frutti perché san Vincenzo è stato capace di coinvolgere nell’avventura di sollievo sociale degli emarginati la Congregazione della Missione e la Compagnia delle Dame della Carità, che furono fondate proprio in quel 1617 che coincide con il cambiamento della sua vita.
Nei nostri tempi papa Francesco ha rimesso in luce il carisma di san Vincenzo invitando a continuare arealizzare il rapporto con i più poveri per far loro toccare con mano i segni della Provvidenza.
In una recente lettera ha esortato: “Le Confraternite della Carità sono nate dalla tenerezza e dalla compassione del cuore di san Vincenzo per i più emarginati ed abbandonati. Il suo operato tra loro e con loro voleva riflettere la bontà di Dio verso le sue creature. Vi invito a proseguire su questa via. La credibilità della Chiesa passa attraverso la vostra testimonianza personale: non si tratta solo di incontrare Cristo nei poveri, ma anche di far sì che i poveri percepiscano Cristo in voi e nel vostro agire” (Lettera del 22 febbraio 2017).
Queste Confraternite della carità hanno operato in questi 400 anni in tutto il mondo ed ancora oggi sono al fianco dei deboli e dei diseredati. Questa presenza di carità sociale ha contagiato in modo significativo anche la realtà italiana, ispirando alla carità molte congregazioni femminili di nuova nascita per venire in soccorso ai poveri. Tra il Settecento e l’Ottocento con il fiorire di queste opere c’è stato il proliferare di raffigurazioni iconografiche che intendevano celebrare gli eventi di evangelizzazione e di carità di questo santo.
In occasione di questo anniversario, il Collegio Alberoni ha ideato una mostra iconografica, unica ed inedita, per censire questo patrimonio artistico e raccogliere le migliori opere di artisti di valore e offrirle alla visione di tutti per rinnovare la sensibilità per i più deboli della nostra società.
I COLORI DELLA CARITA’
Presentazione della mostra, di Angelo Loda, storico dell’arte e curatore della mostra
In occasione del 400° anniversario dell’inizio del carisma di missione e carità di San Vincenzo de’ Paoli, il Collegio Alberoni di Piacenza ha scelto di presentare al pubblico una mostra iconografica dedicata alla diffusione in Italia del culto e della devozione al grande santo francese
Un’esposizione che è si è basata innanzitutto su un’approfondita ricerca del tutto nuova sul territorio italiano volta alla campionatura delle testimonianze iconografiche vincenziane oggi presenti e che ha portato ad una scelta ponderata di una trentina di dipinti fra quelli più significativi, sia sull’aspetto storico, che sul versante più propriamente stilistico.
Si è scelto di organizzare l’esposizione secondo una divisione articolata in tre sale distinte: la Sala degli Arazzi ove sono esposti i dipinti di grande formato, la sala detta Mazzolini coi ritratti del santo ed un ciclo di quattro ovali coi fatti della sua vita e quella intitolata Scribani Rossi in cui sono presentate una scelta di tele atte ad illustrare il carisma di Vincenzo e il suo rapporto con la santità e la serie di incisioni tratte da alcuni dipinti francesi che costituisce la più importante diffusione per stampa del racconto della vita del santo.
Attraverso i dipinti viene esaminata la progressiva elaborazione dell’iconografia vincenziana; se nel diciottesimo secolo si scelse di focalizzare la devozione dei fedeli sul ruolo di Vincenzo come predicatore alle genti, povere e ricche al contempo, nel secolo successivo prevalse la sua identificazione come apostolo della carità e dell’assistenza ai poveri e ai malati che contraddistinse tutto il suo percorso di vita e di fede.
Siamo invitati quindi a scoprire la vita e le opere del grande santo francese della Controriforma in un percorso affascinante accompagnati da alcuni dei più grandi artisti italiani del diciottesimo secolo da Sebastiano Conca ad Aureliano Milani, da Giuseppe Antonio Petrini a Vittorio Amedeo Rapous, da Pierfrancesco Guala a Francesco Vellani.
Ed accanto alle opere d’arte per meglio addentrarci nel mondo vincenziano sono esposti una serie di oggetti appartenuti al santo che vennero fortunosamente trasportati durante la rivoluzione francese a Torino, segni tangibili del suo magistero così attuale ancor oggi al servizio dei bisognosi.
Un’ultima sezione è dedicata al Novecento con la presentazione in video delle scene salienti del film Monsieur Vincent, di Maurice Cloche, presentato nel 1947, che ottenne l’Oscar quale miglior film straniero nel 1949, e la riproduzione di un affresco raffigurante San Vincenzo, Santa Luisa de Marillac e i trovatelli a Parigi, realizzato a Cagliari da Aurelio Galleppini, ideatore e disegnatore del fumetto Tex Willer. Accanto a essa una tavola vincenziana realizzata, appositamente per questa mostra, da Giovanni Freghieri, uno dei più importanti fumettisti italiani.
I COLORI DELLA CARITA’
Il senso della mostra, di Padre Erminio Antonello, Superiore del Collegio Alberoni
Tra Settecento e Novecento l’iconografia di san Vincenzo in Italia ha trasfigurato l’opera missionaria e caritativa di san Vincenzo alla luce della sua glorificazione proclamata dalla Chiesa nel 1729 (beatificazione) e nel 1737 (canonizzazione), di cui la celebre statua di Pietro Bracci (1754) in san Pietro è l’emblema.
La chiave di lettura dei dipinti su san Vincenzo di questa mostra è sostanzialmente celebrativa. E’ l’atmosfera culturale dell’epoca che lo richiede. La memoria del santo va esaltata e celebrata.
Nella sua concretezza però la realtà della carità è assai umile, sofferta, anzi drammatica. Con la carità san Vincenzo è entrato nei meandri più oscuri della miseria umana. Se l’è caricata sulle spalle. E scendendo nei labirinti dell’indigenza, egli ha potuto scorgere il mistero che travaglia l’uomo: di non potere esistere se non in forza di una relazione d’amore che un altro gli dona.
San Vincenzo ha percorso questa via e ha scoperto la strada per realizzare in se stesso e in coloro che lo hanno seguito la figura dell’agape, tradotta nel soccorso ai bisognosi.
I missionari che hanno patrocinato queste opere d’arte hanno creduto, come il loro fondatore, che in quegli scarti è possibile intravedere lo splendore dell’amore di Dio.
Questa è stata l’esperienza singolare di san Vincenzo; la genialità dei pittori che l’hanno esaltata ne è una debole traccia.
Non c’è quadro che non sprizzi la vitalità dell’amore gratuito che può spendersi per l’altro senza alcuna pretesa di ricambio. Le tele esposte sono un miscuglio di dolcezza e amabilità che provocano all’interrogazione: questa è la sfida vera di questa mostra.
Non un’operazione di semplice collezionismo da esteti, ma nel suo intento più sincero questa mostra vorrebbe riportarci a provare la sensibilità per la carità agapica, che è la trama feconda della vita, di cui san Vincenzo è stato un testimone acclamato, e che tanti artisti, tra Settecento e Novecento, hanno ritenuto degno di magnificare nelle loro tele
Informazioni
Galleria Alberoni, Via Emilia Parmense, 67 - 0523 322635 - 349 4575709 - 392 1530734 - info@collegioalberoni.it www.collegioalberoni.it
I COLORI DELLA CARITA’
San Vincenzo de’ Paoli. Il santo della carita’
PROFILO BIOGRAFICO
Quando visse san Vincenzo, la Francia era segnata da una povertà ai limiti della sussistenza. A esserne colpita era la gente della campagna, che costituiva il 95% dell’intera popolazione francese. La povertà era generata dalla guerra, dalla peste e dalla carestia. In questo ambiente la Provvidenza ha suscitato san Vincenzo, anche lui contadino, per soccorrere questa miseria.
Nacque nel 1581 a Pouy, vicino a Dax nel sud della Francia, da una famiglia povera. Suo padre lo indirizzò agli studi, avendo davanti a sé l’immagine del prete di allora, che nella maggioranza dei casi cercava una sistemazione per uscire dalla povertà della propria condizione. San Vincenzo seguì questa strada. Diventò prete a 19 anni e subito cercò la scalata sociale. Le disavventure della vita lo portarono però schiavo a Tunisi. Siamo negli anni 1606-1607. Ritrovata la libertà, arrivò alla corte papale di Roma, senza però raggiungere la fortuna che sperava. Approdò allora Parigi. Qui iniziò il suo percorso di conversione. Conobbe il fervore spirituale, che ruotava attorno al cardinal de Bérulle. Lo seguì. Poi ottenne di diventare precettore dei figli della nobile famiglia Gondi (1613), che possedeva grandi estensioni terriere: nei tempi liberi Vincenzo ne frequentava i villaggi. L’esperienza missionaria tra i poveri contadini e la vita dei nobili stridevano nella sua sensibilità, che si stava aprendo alla grazia. Così alcuni avvenimenti lo fecero maturare interiormente per trasformarlo nel santo della carità.
Il primo di questi avvenimenti fu una terribile crisi di fede che lo travagliò per tre o quattro anni, avendo egli patteggiato con Dio di sostituirsi al dramma spirituale di un dottore della Sorbona che si era confidato con lui. Preso su di sé quel dramma, il dottore venne liberato, ma Vincenzo fu lacerato. Promise allora a Dio che, se ne fosse stato liberato, si sarebbe consacrato ai poveri.
Il secondo avvenimento fu l’incontro con un contadino, la persona migliore del suo villaggio, che dopo essersi confessato manifestò a tutti che, se non avesse incontrato padre Vincenzo, si sarebbe dannato. Intanto nel 1617, dopo questo fatto, si sentì spinto a dedicarsi ai poveri secondo la sua promessa; e così, su suggerimento del card. De Bérulle, lasciò di nascosto la famiglia Gondi e si recò a Châtillon-les- Dombes, un villagio nei pressi di Lione che era passato al calvinismo.
E qui accade il terzo avvenimento. Venne avvertito, prima di celebrare la Messa, che un’intera famiglia stava morendo di fame. Durante l’omelia esortò i suoi parrocchiani alla carità: e questi risposero con generosità. A questa vista egli intuì la necessità di organizzare la carità e istituì la prima “Confraternita della Carità”: era l’agosto 1617.
Il quarto avvenimento fu l’incontro con san Francesco di Sales, giunto a Parigi nel 1618. San Vincenzo ne restò folgorato e gli divenne amico. L’incontro gli permise di fare sintesi interiore di tutti i fatti della sua vita e di apprendere da lui uno stile personale nell’esercizio della carità, fatto di semplicità, pietà, mitezza e cordialità. In forza di quest’amicizia san Francesco gli consegnò la cura delle sue figlie della Visitazione, di cui egli sarà per quarant’anni il direttore spirituale.
Ormai in Vincenzo il processo di cambiamento era completato. Poteva dedicarsi ai poveri senza più nessuna riserva. Iniziò ad organizzare le Confraternite della Carità e a predicare nelle campagne le missioni popolari. Presto, attorno a lui, si aggregarono alcuni compagni e con loro fondò la “Congregazione della Missione” nel 1625. Il gruppo andrà sempre più ingrandendosi non solo in Francia, ma anche in Italia, Polonia, Irlanda, Tunisia e Madagascar. Lo scopo della Congregazione non era solo di predicare missioni, ma anche di formare il clero. Nacquero così gli Esercizi Spirituali agli ordinandi (dal 1628), le Conferenze del Martedì (dal 1633) e la direzione dei seminari (dal 1642).
In quegli stessi anni, la Provvidenza gli fece incontrare la nobildonna, Luisa de Marillac, rimasta vedova. Vincenzo la liberò dalle angosce consegnandola ai poveri. Ella cominciò a visitare e animare le Confraternite della Carità che si erano frattanto diffuse, grazie alle missioni popolari, soprattutto nei dintorni di Parigi. L’entusiasmo delle Confraternite però tendeva a venire meno, perché ad esse partecipavano le signore dell’alta nobiltà, che avevano difficoltà a mescolarsi con i poveri. Ancora la Provvidenza fece incontrare a san Vincenzo una contadinella che si offrì per il servizio diretto ai poveri. Fu una sorpresa della grazia. Inaspettatamente queste ragazze si moltiplicarono. San Vincenzo le affidò a santa Luisa per la formazione. Nacque così la “Compagnia delle Figlie della Carità” (1633). E con esse san Vincenzo operò le meraviglie di una carità operosa. Inviò le sue figlie negli ospedali, nelle carceri, nelle zone devastate dalla guerra, nei quartieri sovraffollati di Parigi per la visita a domicilio delle famiglie in miseria, affidò loro i trovatelli abbandonati alle porte delle chiese e gli anziani soli e senza casa. I suoi missionari si dedicarono anche alla liberazione degli schiavi cristiani in Barberia e alla cura dei forzati nelle galere reali. Accolse nella sua casa di San Lazzaro i pazzi e fece della sua comunità un piccolo esercito di soccorso ai mendicanti che si riversavano in città nei tempi di carestia e quando gli eserciti devastarono la Lorena, la Piccardia e la Champagne.
Per la stima della sua carità e la prudenza dei suoi pareri, fu chiamato anche a corte, dove assistette il re Luigi XIII morente (1643), e poi a far parte del Consiglio di Coscienza, a fianco del cardinal Mazzarino, durante la reggenza di Anna d’Austria.
Quella di san Vincenzo fu dunque una vita intensa e traboccante di carità missionaria. Morì a 79 anni anni, il 27 settembre 1660. Fu beatificato nel 1729 e canonizzato da papa Clemente XII nel 1737. Leone XIII lo proclamò “patrono di tutte le opere di carità della Chiesa”.
I COLORI DELLA CARITA’
La rivoluzione sociale di Vincenzo de’ Paoli nel Seicento francese
“Il povero popolo si danna e muore di fame”
Povertà, fame, carestie e guerre nella Francia nel Seicento
Una depressione economica pesantissima caratterizzò il secolo XVII in Francia, soprattutto a partire dal 1620. Ne fu causa la trasformazione socio-economica della Francia, da agraria e feudale, a società borghese e capitalista. Richelieu, “trascinando la nazione al servizio di uno Stato forte, depresse però la vita soprattutto della gente di campagna, il 90% della popolazione, sottoposta a una pesantissima tassazione. La povertà s’accompagnò a gran parte del popolo, soprattutto con l’arrivo della peste, della carestia, della guerra, così frequenti e quasi croniche per la durata di circa quarant’anni. La Francia entrò direttamente nella Guerra dei Trent’anni a partire dal 1635, ma continuò la sua lotta per la supremazia in Europa contro la Spagna fino al 1659, nonostante il trattato di Westfalia del 1648. La Lorena, la prima regione che S. Vincenzo iniziò a soccorrere dal 1639, era letteralmente devastata. Altrettanto drammatica fu la situazione negli anni della guerra civile della Fronda, (1648 - 1653), quando la Piccardie, la Champagne e la zona parigina dell’Île de France vissero momenti bui e drammatici. La popolazione emigrava verso le città. “Gli abitanti delle campagne che non muoiono di spada muoiono quasi tutti di fame” scriveva San Vincenzo al Papa.
In questo delicatissimo contesto l’azione caritativa di S. Vincenzo risultò così innovativa da essere riconosciuta e apprezzata anche dai filantropi del XVIII secolo: “Vincenzo de Paul è il mio santo”, ebbe a dire Voltaire. Il tempo post-medioevale infatti si era aperto con la “paura dei poveri”, confinati ai margini della società con la cosiddetta “grande reclusione”. Con l’azione di S. Vincenzo, la società moderna passò da una prima forma di assistenzialismo, all’idea del povero come soggetto di diritti e di doveri e partecipe della propria promozione sociale.
Tra i progionieri delle galere e con gli schiavi
Fra i primi che san Vincenzo soccorse ci furono i condannati a remare sulle galere reali. Prima dell’avvento del vapore, non c’era altro mezzo che ricorrere alla forza umana per azionare le navi.
Fin dall’8 febbraio 1619, san Vincenzo era stato nominato Assistente Generale delle galere del regno.
L'accoglienza dei bambini abbandonati
In piena collaborazione con S. Luisa e le Dame, Vincenzo iniziò, nel 1638, a raccogliere i neonati abbandonati. Ce n’erano “tanti, quanti giorni ha un anno”. Oltre che contro le difficoltà economiche dovette lottare contro il pregiudizio borghese per il quale gli “esposti” erano “figli del peccato”.
I bambini furono alloggiati in una casetta in via Boulangers; e nella Casa Madre delle Figlie della Carità, finché nel 1645 fece costruire un piccolo villaggio di tredici casette accanto a quella delle suore. Queste casette facevano da primo rifugio per poi affidarli a nutrici scelte. Fu adattato il castello di Bicêtre per i ragazzi più grandi. Se si tiene conto che ogni anno morivano da 350 a 400 bambini, si può calcolare che in vent’anni (1638-1660) furono a migliaia i bambini salvati alla morte.
Il soccorso dei mendicanti e di ogni tipo di miseria
A Parigi, a partire dal 1611, ci fu la reiterata ingiunzione della reclusione per tutti gli invalidi, vecchi oziosi e questuanti vari, in cinque grandi ospedali di Parigi. L’elemosina fu vietata.
Già nel 1621 S. Vincenzo aveva fatto un primo innovativo esperimento: nella città di Mâcon, riuscì a costituire una Carità, mista di uomini e donne, che con il contributo di tutti, debellò la mendicità in città. Fra le opere più riuscite ci fu l’Ospizio del Nome di Gesù, creato tra il 1647 e il 1653, nel periodo più buio di tutto il XVII secolo. Fu un modello contro-corrente che contrastava con l’idea generale della “grande reclusione” dei poveri: a sorreggerlo era l’idea di una “grande famiglia”, ove il povero era accolto ed aiutato a risolvere i suoi bisogni umani. Si occupò anche dei pazzi e degli incorreggibili.
Il soccorso delle Province devastate dalle guerre
Un esercito che transitava distruggeva gran parte delle risorse dei contadini. I soldati calpestavano e razziavano, il bestiame diventava preda della fame dei soldati. Allo scoppio delle ostilità, i missionari trasformarono parte della loro casa di Toul in ospedale. San Vincenzo, mostrando la sua grande capacità organizzativa, mise in azione un grande movimento di solidarietà, fondato su quattro tipi di azioni: la raccolta dei fondi, la modalità di destinazione, la comunicazione pubblica dei bisogni ed infine il coordinamento tra le varie attività di aiuto.
L’idea dell’azione sociale che S. Vincenzo stava realizzando era rendere la carità un movimento di popolo.
I COLORI DELLA CARITA’
LA STORIA DELL’ARTE ITALIANA ATTRAVERSO VINCENZO DE’ PAOLI
I principali artisti protagonisti della mostra
La mostra I colori dell’arte è senza dubbio anche un suggestivo viaggio nella storia dell’arte italiana tra Settecento e Novecento, alla scoperta di importanti artisti protagonisti del loro tempo, ma non sempre noti al grande pubblico.
Presentiamo di seguito i più importanti artisti selezionati per questa mostra
Aureliano Milani
L’eleganza neocarraccesca di un artista emiliano che lasciò il segno nella Capitale
(Bologna 1675 – Bologna 1749)
Ricevette i primi erudimenti pittorici dallo zio Giulio Cesare Milani, ma fondamentali furono gli anni trascorsi sotto la protezione del conte Fava, nel cui palazzo bolognese il Milani poté confrontarsi con i fregi carracceschi. Il progetto di restaurazione neocarraccesca è fondamentale per comprendere tutta la carriera pittorica di Milani. Al 1710 risale la commissione più importante della prima maturità: i dipinti realizzati per Francesco Farnese, duca di Parma e Piacenza (tre delle sei realizzate sono esposte presso i Musei Civici di Palazzo Farnese). Fastosi e teatrali, le soluzioni adoperate in queste tele non mostrano ancora lo studio del nudo che avrebbe prevalso nei dipinti successivi. Nel giugno del 1719 lasciò Bologna per trasferirsi a Roma, dove licenziò molte pale d’altare. In occasione della beatificazione di Vincenzo de’ Paoli, nel 1729 i padri della Missione gli commissionarono la pala con la Predica di san Vincenzo de’ Paoli per l’altare maggiore della loro chiesa di Montecitorio (oggi al Collegio Leoniano). Morì a Bologna nel 1749.
Vittorio Amedeo Rapous
Lo stile francese di un pittore tra più eccelsi del Settecento piemontese
(Torino 1729 – Torino 1800)
Figlio del «garzone di Camera di Sua Maestà», fu battezzato a Torino nel 1729. Dal 1748 al 1755 Vittorio Amedeo è elencato fra gli allievi della scuola di disegno di Claudio Francesco Beaumont a Torino. Secondo Clemente Rovere (segretario per la corte sabauda), il duca Carlo Emanuele III lo mandò a studiare a sue spese a Roma e a Venezia. Nel 1754 circa dipinse uno dei suoi primi capolavori: la tela con san Luca (Torino, Accademia Albertina), animata da un colorismo prezioso di matrice veneziana. A partire dagli anni 60 del Settecento le commissioni divennero molto numerose. Per la corte sabauda lavorò a Torino nel Palazzo Reale e a Stupinigi dipinse per la cappella la pala della Visione di s. Uberto, tra i suoi maggiori capolavori. Nel 1776 Rapous dipinse per la chiesa della Pace di Chieri una Predica di san Vincenzo de’ Paoli di impianto già neoclassico. L’attività di Rapous non fu circoscritta al Piemonte, alcune sue pale si trovano in Sardegna. Morì a Torino il 25 luglio 1800.
Giacomo Zoboli
Un straordinario artista nella Roma del Settecento a servizio dei Papi
(Modena 1681 – Roma 1767)
Giacomo Zoboli nacque a Modena nel 1681. Dopo un primo apprendistato nella città natale sotto l’egida di Francesco Stringa, lavorò insieme al maestro agli affreschi di Palazzo Ducale; per poi trasferirsi a Bologna nel 1709 e infine a Roma tra il 1712 e il 1713, e dove morì nel 1767. Divenne membro dell'Accademia di San Luca nel 1725. Nella città eterna fu attivo sia per commissioni di tipo ecclesiastico che private, protetto dal cardinale Neri Maria Corsini, nipote del papa Clemente XII. Insieme a Giovanni Paolo Pannini compilò l'inventario della raccolta Sacchetti, acquistata da papa Benedetto XIV, che andò a costituire il nucleo iniziale della nascente Pinacoteca Capitolina. Alla Galleria Corsini di Roma è esposta una predica di cui si conoscono anche vari disegni preparatori.
Adeodato Malatesta
L’ultimo pittore di Corte, ritrattista di fama internazionale
(Modena 1806 – Modena 1891)
Nacque a Modena nel 1806, e già all’età di undici anni, frequentando corsi di retorica e filosofia al seminario di Modena, mostrò uno spiccato interesse e talento per l'arte, tanto che lo zio materno, appassionato d'arte e dilettante di pittura di paesaggio, lo iscrisse all'Accademia Atestina di belle arti di Modena, diretta da Giuseppe Maria Soli. Asioli (1905) segnala la precoce manifestazione delle sue doti nel campo della ritrattistica «con improvvisata tavolozza si studiava ritrarre diligentemente». Nel 1826-29 proseguì i suoi studi nell’Accademia di Belle Arti di Firenze, per poi trasferirsi a Roma alla fine del 1830 e riprendere gli studi a Venezia nel 1833. Nel 1839 fu nominato direttore dell'Accademia Atestina e tornò quindi nella città natale. Dalla fine degli anni Quaranta e poi successivamente si nota un forte realismo, accentuato dalla lezione di Eugène Delacroix. Nelle opere del Malatesta riaffiorano stimoli e suggestioni fatti propri durante i soggiorni nelle capitali artistiche italiane. Molto numerosa fu la produzione ritrattistica, della quale si annoverano circa cinquecento dipinti, tra cui il Ritratto di san Vincenzo di Sestola. Morì a Modena la vigilia di Natale del 1891.
Angelo Maria Spinazzi
Il virtuosismo tardo barocco dell’orafo e argentiere dei Palazzi Vaticani
(Piacenza 1693 – Roma post 1768)
Angelo Maria Spinazzi nacque a Piacenza nel 1693. Orafo dalle strabilianti capacità, su commissione dei padri Vincenziani della Missione, per onorare la memoria del cardinale Giulio Alberoni, a dieci anni dalla sua scomparsa, lo Spinazzi realizzò durante la sua permanenza a Roma, tra il 1761 e il 1762, un preziosissimo ostensorio, nel quale oltre seicento lucenti e sfarzose pietre – topazi, rubini, zaffiri, diamanti, ametiste, granati, giacinti, crisoliti, smeraldi – ornano lo splendente oggetto in argento dorato (alto 90 cm). A tanta brillante invenzione si aggiunge un’esecuzione di eccezionale virtuosismo tecnico, per la qualità della fusione, delle dorature, del cesello dei più minuti particolari decorativi, per la raffinatezza della montatura delle pietre. Siamo veramente di fronte ad una delle più fulgide espressioni dell’oreficeria tardobarocca, che di lì a poco avrebbe ceduto il passo alle più sobrie forme del neoclassico. Sempre su commissione dei padri Vincenziani di Piacenza realizzò anche il busto di san Vincenzo de’ Paoli, prezioso portareliquie dalla forte carica espressiva. Morì a Roma dopo il 1768.
Rodolfo Morgari
L’eclettismo del pittore di Vittorio Emanuele II
(Torino 1827 – Torino 1909)
Nacque a Torino nel 1827. Apprese i primi rudimenti artistici dal padre, pittore attivo presso la corte sabauda, per poi continuare gli studi all’Accademia Albertina di Torino. Nel 1858 fu nominato «pittore e restauratore dei Regi Palazzi» da Vittorio Emanuele II. Negli anni sessanta divenne assistente di Giuseppe Desclos, titolare della cattedra di ornato all’Accademia e di una fra le più importanti botteghe di restauro della città, famosa soprattutto per l’arte dell’imitazione pittorica degli arazzi. Nel castello di Racconigi realizzò una serie di decorazioni celebrative della famiglia Savoia e un olio su tela che ritrae, in modo estremamente realistico, Vittorio Emanuele II, denunciando anche spiccate doti come ritrattista. Morgari appare un artista eclettico che rivolge a volte la sua attenzione alla pittura decorativa francese di fine Settecento, altre sembra prediligere uno stile influenzato dall’art nouveau, o avvicinarsi a un generico realismo. Morì a Torino nel 1909.
Sebastiano Conca
Il protagonista del Settecento romano tra Barocco e Classicismo
(Gaeta 1680 – Napoli 1764)
Nacque a Gaeta nel 1680, all’età di dieci anni fu mandato a bottega dal Solimena a Napoli, con il quale collaborò per oltre quindici anni, realizzando però anche opere in proprio. Già nelle prime prove pittoriche il Conca dimostra quanto la sua maniera si allontani dall'accademismo del maestro, rifiuta un plasticismo e luminismo troppo intensi a favore di forme chiare immerse in un paesaggio dai connotati classici. Le sue opere di cavalletto, differentemente da quelle di grande formato, si avvicinano al nascente stile rococò, intrise di un’atmosfera intimista e raccolta. «Proporzioni, spazio e luce perdono le qualità naturalistiche che la tradizione del classicismo seicentesco aveva sempre rispettato; la visione si fa soggettiva, atmosferica, sognante. Spesso le forme sfaccettate, minute e porcellanose anticipano direttamente quelle di Giaquinto. Non è dubbio che questo nuovo genere era ciò che presto avrebbe attirato al Conca tante simpatie da parte del collezionisti di tutta Europa ». Tra gli anni 30-40 del Settecento ebbe molto successo, sia con commissioni pubbliche sia private, adeguandosi con uno stile aperto alle più varie destinazioni ed esigenze dei committenti. Intorno al 1752 ritornò a Napoli, forse stanco di tanta attività e di tanto successo, e qui morì nel 1764.
Pier Francesco Guala
Un pittore piemontese allo scadere del Settecento
(Casale Monferrato 1698 – Milano 1757)
Nato nel 1698, Pier Francesco fu avviato alla pittura presso la bottega paterna, tramite quest’ultimo poté ricevere un’educazione artistica fondata sulla locale tradizione figurativa seicentesca, che vede una componente stilistica ligure unita a una forte influenza lombarda negli aspetti cromatici e compositivi; ciò è ravvisabile nelle prime opere del Guala. Tra la fine del terzo decennio del Settecento e l’inizio del quarto, Guala iniziò a elaborare uno stile autonomo, adottando nuove soluzioni compositive e schiarendo la tavolozza cromatica. L’incontro con artisti e artigiani decoratori, incontrati durante l’impresa decorativa di Ticineto, portò una suggestione di carattere decorativo e rococò, assimilata pienamente dal Guala e che contraddistingue la sua produzione matura. Nella tipologia del ritratto si distinse per una vena figurativa realistica, che riprendeva la tradizione ritrattistica ligure del Seicento, aggiornata su modelli veneti coevi.
Ubaldo e Natale Ricci
Una famiglia di artisti nelle Marche tra Sei e Settecento
(Fermo 1669 -1731) (Fermo 1677 -1754)
Famiglia di pittori nativi di Fermo, oltre a Ubaldo e Ricci facevano parte della bottega anche i più giovani Filippo e Alessandro. Con le loro opere i Ricci hanno caratterizzato la produzione artistica nelle Marche e in Abruzzo per diversi secoli. I Ricci hanno saputo esprimere peculiarità artistiche diverse, ognuno con la propria e originale impronta.
I COLORI DELLA CARITA’
LE SEZIONI DELLA MOSTRA
- SEZIONE
Le grandi pale
Nella Sala degli arazzi trova posto una serie di tele vincenziane di grande formato disposte secondo le varie tematiche in esse rappresentate.
La sezione iniziale è dedicata al tema del santo in atto di predicare alle folle, ritratto in abiti sacerdotali, cotta e stola, mentre alza al cielo un crocifisso indicandolo come esempio da seguire, iconografia che in Italia trovò grandissimo successo, più che nella stessa Francia.
Punto di riferimento è sicuramente la monumentale opera del bolognese Aureliano Milani eseguita in occasione della beatificazione di Vincenzo già nella distrutta chiesa vincenziana di Montecitorio a Roma ed oggi nella chiesa della SS. Trinità annessa al Collegio Leoniano, che funse da modello per molte altre opere fra cui anche il dipinto della chiesa piacentina di San Lazzaro, annessa al Collegio, eseguita non a caso a Roma su commissione del cardinal Alberoni dall’abate parmigiano Giuseppe Peroni. La stampa del francese Charles Allet eseguita l’anno successivo su disegno dello stesso Milani che apportò lievi differenze al dipinto, divulgò universalmente il grande telero.
Ad esso si affianca il dipinto in orizzontale eseguito dal modenese Giacomo Zoboli oggi alla Galleria Corsini a Roma realizzato in occasione della canonizzazione del santo, accompagnato da un disegno preparatorio e da un altro disegno sempre dello Zoboli, forse un pensiero poi abbandonato in favore della soluzione prescelta.
A queste si riallacciano le versioni che del tema diedero il luganese Giuseppe Antonio Petrini per una chiesa bergamasca e la stupenda interpretazione di Vittorio Amedeo Rapous nel dipinto oggi a Chieri, ma commissionato nel 1776 dai vincenziani torinesi per la chiesa dei Santi Martiri.
Al particolare rapporto che legò il santo francese a san Francesco di Sales e a santa Giovanna di Chantal, fondatrice delle Visitandine, sono dedicati la grandiosa tela di Francesco Vellani già presso il monastero della Visitazione a Modena, ed oggi in quello di Baggiovara, e il dipinto di Sebastiano Conca con la cosiddetta visione dei tre globi, che il santo ebbe mentre durante la messa pregava per santa Giovanna ammalata, proveniente dal monastero romano della Visitazione.
Il magistero vincenziano della carità si fa vivo nel particolare dipinto di Ubaldo e Natale Ricci oggi nella chiesa della Madonna del Suffragio a Porto San Giorgio, ma eseguito per l’altare della Compagnia della Carità di san Vincenzo eretta nel Porto di Fermo nel 1731, come pure nella bella tela ottocentesca del milanese Mauro Conconi di proprietà della Pinacoteca Nazionale di Bologna, in deposito alla Camera dei Deputati a Montecitorio, col santo nell’atto di predicare alle dame.
Al santo che ascende alla gloria del cielo, tema meno caro all’iconografia vincenziana, ma consueto nella strategia comunicativa della retorica ecclesiastica, è dedicata l’altra tela proveniente da Porto San Giorgio, firmata e datata 1737 da Natale Ricci.
II. SEZIONE
I ritratti e la Vita
Sono quasi duecento i ritratti con l’effige del santo sparsi un po’ dovunque in Italia, a testimonianza di una diffusione alquanto capillare e ramificata del suo culto. La stragrande maggioranza è costituita da deboli dipinti per lo più desunti dalle incisioni che corredano le molte edizioni della Vita del santo scritta dal padre filippino Domenico Acami e le altrettanto svariate del Ristretto cronologico della sua vita.
I dipinti qui esposti sono stati scelti in base all’indiscutibile qualità stilistica che li contraddistingue e all’importanza storica che essi rivestono.
Oltre alla grande tela vincenziana bolognese ascrivibile a Jacopo Alessandro Calvi esposta come introduzione alla sezione delle grandi pale, vengono qui presentati lo stupendo ritratto torinese ricondotto a Pier Francesco Guala col santo in cotta e stola nell’atto di indicare il crocefisso mostrato con la mano destra alzata secondo la tipica gestualità del predicatore così ricorrente per tutto il diciottesimo secolo.
La stessa posa ritorna poi nel bell’ovale conservato nella casa vincenziana romana e qui ascritto a Gaspare Serenario, allievo di Sebastiano Conca.
Diversa è invece l’interpretazione fornita dal pittore piacentino Luigi Mussi: il santo in semplice cotta è accompagnato da un angelo che sorregge un libro aperto su cui è riportato il classico motto vincenziano CHARITAS CRISTI URGET NOS, versetto tratto dalla paolina seconda lettera ai Corinzi e che spesso troviamo accanto a raffigurazioni del santo.
Di grande qualità è infine la tela eseguita in pieno Ottocento dal celebre ritrattista modenese Adeodato Malatesta in cui torna la gestualità predicatoria dell’ostensione del crocifisso, ma con la mano sul petto in atto di preghiera.
Sulla parete opposta è esposto un ciclo di quattro tele settecentesche con episodi della vita del santo oggi conservati nella casa vincenziana di Torino, parte di un ciclo di nove dipinti eseguiti in occasione della beatificazione del santo nel 1730 dal piemontese Michele Antonio Milocco; a tutt’oggi è l’unico ciclo in territorio italiano di dipinti aventi per tema fatti della vita di san Vincenzo, non a caso provenienti dalla regione piemontese in cui la devozione vincenziana ha trovato largo spazio.
Sulla parete di fondo le due tele oggi alle pareti laterali dell’altare dedicato al santo nella chiesa romana della SS. trinità annessa al Collegio Romano; se il San Vincenzo al capezzale di re Luigi XIII è una replica novecentesca di un affresco della chiesa vincenziana di Montecitorio eseguito a metà Ottocento da Luigi Agneni, il San Vincenzo predica al clero francese coi cardinali Richelieu e Mazzarino venne commissionato da Pio IX nel 1855 a Guglielmo De Sanctis.
III. SEZIONE
Altre opere vincenziane
La diffusione dell’iconografia vincenziana in Italia seguì per lo più le vicende dei missionari vincenziani e laddove essi si stabilirono cercarono di promuovere il culto del loro fondatore anche per il tramite delle opere d’arte all’interno degli edifici ecclesiastici da loro gestiti.
Non poche purtroppo sono le opere oggi perdute fra cui importanti dipinti di Giacomo Parolini a Ferrara, di Jacopo Alessandro Calvi e Giuseppe Varotti a Bologna, di Pietro Micheli a Forlì, di Joseph-Marie Vien della chiesa romana di Montecitorio, di cui si conosce un bozzetto nel museo di Béziers, del polacco Szymon Czechowicz della chiesa romana dei Santi Giovanni e Paolo per ricordare le più significative.
Del resto conosciamo solo la riproduzione fotografica dell’importantissima pala dipinta nel 1758 da Giovambattista Tiepolo per la casa vincenziana di Udine, commissionatogli dal patriarca Daniele Delfino, ricomparsa fugacemente sul mercato antiquariale inglese negli anni ottanta del Novecento per poi confluire in una collezione privata straniera.
Il santo che istituisce i preti della missione e consegna loro il mandato di evangelizzatori in mezzo ai popoli è il tema di due tele lombarde settecentesche da poco oggetto di interventi di restauro: se il dipinto anonimo di Isola Dovarese nel Cremonese vede il santo nell’atto di benedire tre giovani preti mentre sullo sfondo si intravvede una Dama della Carità che assiste una malata, nella tela eseguita dal bresciano Giacomo Zanetti Vincenzo affida il libro con la sua regola ad un sacerdote inginocchiato alla presenza di un folto pubblico.
Alquanto inusuale e perciò di notevole importanza iconografica è il dipinto del pittore fiorentino Gennaro Landi, firmato e datato 1780, in cui Vincenzo offre alcune monete ad un giovane fanciulla inginocchiata, una delle poche scene settecentesche oggi note in cui il santo è raffigurato come apostolo della carità verso i bisognosi, tema invece che diverrà in pratica quasi esclusivo nell’iconografia del secolo successivo, come si può evincere anche dal singolare dipinto del torinese Luigi Morgari in cui il santo è raffigurato insieme a Luisa De Marillac, cofondatrice delle Dame della Carità.
Al centro della parete è esposto un dipinto di Salvatore Monosilio, da poco acquisito dal Collegio Leoniano a Roma, un tempo nel noviziato della casa della missione a Montecitorio, in cui il santo è inginocchiato davanti alla Sacra Famiglia che appare in cielo.
Sulla parete opposta oltre a un’incisione anonima eseguita a Roma per la beatificazione di Vincenzo che riassume tutti insieme vari episodi della sua vita, è esposta la serie delle incisioni francesi tratta da Antoine Herisset dai quadri che i vincenziani parigini fecero eseguire per la loro chiesa dedicata a San Lazzaro dai più importanti artisti del tempo, quando Vincenzo venne beatificato e che oggi, quelli rimasti, sono sparsi in vari musei.
Non sempre è facile riconoscere con certezza le fattezze del prelato francese i cui tratti fisioniomici e il cui abbigliamento tendono talvolta a confondersi con quelli di altri santi della Controriforma; si propone qui di individuarlo in una inedita tela di anonimo artista piemontese dell’inizio dell’Ottocento rintracciata sul mercato antiquariale e nella bela pala, firmata e datata 1761, da Luigi Crespi proveniente da Trasasso di Monzuno nell’Appennino bolognese.
IV. SEZIONE
Gli oggetti personali del Santo
Accanto alle opere d’arte per meglio addentrarci nel mondo vincenziano sono esposti una serie di oggetti appartenuti al santo che vennero fortunosamente trasportati durante la rivoluzione francese a Torino, segni tangibili del suo magistero così attuale ancor oggi al servizio dei bisognosi.
In una grande vetrina si potranno così osservare il cappello di Vincenzo de’ Paoli, il mantello, i sandali, la berretta e la veste talare.
Ad animare la visione degli oggetti una serie di videop dedicati ciascuno a un oggeto vincenziano esposto.
Si tratta di brevi cortometraggi realizzati da Piotr Dziubak, un cineasta polacco che ha al suo attivo numerosi film e documentari, come, per esempio “De Gasperi-mio padre”; “Santo subito. Alle periferie del mondo con Giovanni Paolo II”; “Liszt”; “Das Fenster zur Welt – 50 Jahre Zweites Vatikanisches Konzil”.
V. SEZIONE
San Vincenzo De’ Paoli, il Novecento tra Cinema e Fumetto.
Da Maurice Cloche, a Tex Willer a Giovanni Freghieri.
Una saletta della Galleria presenterà due interessantissime espressioni artistiche vincenziane del Novecento.
Il film Monsieur Vincent di Maurice Cloche, premio Oscar come miglior film straniero nel 1949 e la riproduzione di un affresco raffigurante San Vincenzo de’ Paoli, Santa Luisa de Marillac e i trovatelli a Parigi, realizzato dal grande disegnatore di Tex Willer Aurelio Galleppini, che svela una fase poco conosciuta della vita dell’artista del fumetto.
Giovanni Freghieri, piacentino e disegnatore di Tex, è stato invitato, come omaggio al grande Galep, a realizzare specificamente per questa mostra, una tavola dedicata a Vincenzo de’ Paoli e alla Carità, che sarà esposta a fianco alla riproduzione dell’affresco eseguito nel 1947 da Aurelio Galleppini.