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«Bitumificio di Gossolengo, questione di controllo pubblico»

L'intervento di Giampietro Comolli

«Il Tar di Parma – commenta Giampietro Comolli, economista, agronomo e giornalista - ha spostato al 20 dicembre ogni decisione-sentenza in merito alla autorizzazione alla produzione del cosidetto “bitumificio” di Gossolengo. Risulta molto difficile comprendere per tutti queste dilazioni nel tempo, questo rimandare difronte a un problema sollevato. Giusto o sbagliato che sia, sarebbe meglio definire fatti e impegni prima possibile.  Ben 729 cittadini di Gossolengo hanno firmato una petizione pubblica e si sono costituiti in Comitato Volontario contro il cosiddetto “bitumificio”. Diverse le questioni sul tappeto, da una parte i rincorrenti e dall’altra le organizzazioni pubbliche e private.   L’impianto rientra nel territorio tutelato e gestito dall’Ente Parco del Trebbia, facente parte dei Parchi Ducali, con sede a Parma e non a Piacenza. In tre anni diverse sono state le conferenze dei servizi e le autorizzazioni concesse dagli Enti Pubblici (Regione in primis, Comune, Provincia, Beni Culturali, Consorzi, Usl, Arpa, Parco, ecc... ) affinché la struttura, da piccola diventasse mega, potenzialmente con oltre 250mila tonnellate anno di inerti lavorabili, con centrale termica, serbatoio capiente, ecc. tutte varianti e ampliamenti giudicati dagli Enti Pubblici (e da Associazioni Private industriali, commercianti, coldiretti, ecc…) tutte fattibili, giuste, consentite da leggi nazionali e regionali, e norme comunali. Dinamismo d’impresa giustificato da efficienza e opportunità economica. E l’ambiente? Cittadini? Turismo? Viabilità? Salubrità? Sanità? Eredità? Futuro? In primis il fattore economico contingente, poi tutto il resto. Certo che il “bitumificio” di Gossolengo non incide in modo evidente e non è sicuramente l’artefice primario di effetti serra, cambi del clima, non piogge…, ma tutto fa, da qualcosa bisogna partire. Forse l’eliminazione e il contenimento e la riduzione di un insieme di piccoli danni locali possono dare inizio ad una catena virtuosa, possono segnare un cambio di tendenza, possiamo mandare un segnale ai nostri figli e nipoti che, pur essendo anche colpevoli in pectore dei danni esistenti, si sente il dovere – immediato e non rimandabile – di trovare altre strade.  Si può anche essere d’accordo che un “ricondizionamento e un riuso” dei conglomerati a fine corsa, sia meglio che fare nuove “cave” per aumentare le ferite al suolo. Si può accettare, ha una logica se… Se la dimensione è ridotta, se l’energia usata e autogena e pulita, se non esistono reflui e inquinanti dispersi, se i disagi dei residenti limitrofi è contenuto, se non si creano danno sociali, economici e salutari. Invece il danno raddoppia, si triplica, si espande creando nuovi appetiti industriali e commerciali avviando nuove cave: è il caso di Molinazzo, Valloni, Pontenuovo concesse dai comuni limitrofi distanti “qualche chilometro” dal bitumificio. Forse la dimensione ridotta e un riciclo obbligatorio di almeno del 90% ( non il 40-50%) , un controllo minuzioso vicino-lontano dell’aria, una riduzione della profondità di scavo, un miglioramento delle strade di accesso con barriere verdi, un ridotto impatto stradale e viario, un monitoraggio quotidiano e pubblicato di particelle e pm10, e particolato derivanti dal funzionamento dell’impianto, una vigilanza da parte di Arpae e altri enti superpartes e laboratori privati insieme…. sarebbero  tutte già delle garanzie base diverse dall’assoluta assenza o dalla autodeterminazione privata o da enti che ne hanno dato autorizzazione ma senza strumenti di controllo e di verifica efficace.  Il Comitato Volontario “No-Bitume e Si-Parco”  ha presentato petizione in Europa e ricorso al Tar. L’Europa è intervenuta chiedendo lumi di carattere tecnico e di rispetto delle norme tecniche al Ministero e alla Regione, i quali hanno fugato ogni e qualsiasi dubbio sul percorso burocratico rispettoso di tutte le leggi italiane ma non sono entrati nel merito delle garanzie fondamentali di chi, come, quando, quanto controlla l’operato e il rispetto dei limiti stabiliti. L’impresa titolare sostiene di aver seguito tutte le leggi esistenti e di avere tutte le autorizzazioni. Il Comitato sostiene che l’iter giuridico riguarda un trasferimento e riattivazione di un sito come pre-esistente, non moltiplicato per N volte e quindi nuovo a tutti gli effetti, quindi seguendo un modello industriale diverso da quello consentito. Il Comune di Gossolengo oltre a sostenere che tutte le norme sono applicate, fa presente che l’impianto non necessita di vigilanza, monitoraggio perché il sistema di lavorazione non crea nessun tipo di disagio ambientale, sanitario, di viabilità, di inquinamento aria».  

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