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Cascina San Savino, Pd: «Progetto mai decollato, cosa ci fa sperare in un recupero?»

Il gruppo dem: «Un progetto sul recupero dell’immobile è già pronto, ma rimangono i dubbi sulle risorse necessarie per realizzare un polo per la promozione dei prodotti tipici, con strutture ricettive e di ristorazione»

Le notizie di stampa confermate dalle dichiarazioni del sindaco Patrizia Barbieri e degli assessori competenti Erika Opizzi e Marco Tassi relative all’ottenimento di un consistente contributo governativo (tramite il bando “Italia City Branding 2020”) di complessivi 550 mila euro (con un cofinanziamento di 55 mila euro da parte dell’Amministrazione comunale) finalizzato alla progettazione del recupero di Cascina San Savino in località Le Mose, di proprietà del Comune, suscita l’interesse del Partito Democratico.

I consiglieri comunali Stefano Cugini, Giorgia Buscarini, Giulia Piroli e Christian Fiazza hanno presentano un’interrogazione a riguardo. «In passato – ricordano i dem - si era già elaborato un progetto preliminare di restauro e riqualificazione (nel periodo tra il 2005 e il 2010 e ancora nel 2014 in vista di Expo 2015) a cura della Camera di Commercio, per destinare l’immobile in questione a “vetrina del gusto”, finalizzato alla promozione commerciale dei prodotti enogastronomici di qualità del marchio Piacenza. Si rammenta che in tale occasione fu coinvolta anche Piacenza Expo, che in seguito acquisì anche il progetto accollandosi una quota del relativo costo. Si ricorda altresì che purtroppo, non essendosi concretizzate adesioni da parte di imprenditori piacentini del settore, disponibili a farsi carico pro-quota dei costi dell’operazione, l’iniziativa non ebbe seguito.

Il Comune presentò, da parte di Pro.Ges. scarl di Parma, in collaborazione con l’architetto Carlo Ponzini (nel 2015) una proposta/manifestazione di interesse per la realizzazione di un intervento di recupero architettonico e gestionale nella cascina, atto a destinarla a servizi socio-assistenziali (comunità alloggio per anziani, appartamenti protetti, centro per il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare), con la previsione di spazi comuni per attività di animazione e socializzanti e di una ludoteca. L’investimento complessivo era stimato a 9 milioni e 243mila euro. Si precisa che l'iniziativa scaturiva dall'invito di Inail a presentare progetti finanziabili nell'ambito del sociale e che, in data 23 dicembre 2015, il presidente del Consiglio dei Ministri, visto il parere dei Ministeri competenti, ne decretò la condizione di “valutabile”, classificandola nella categoria C – “acquisizione di immobili da riqualificare”».

«Tra gennaio e giugno 2017 – proseguono nella cronistoria i consiglieri - l’architetto Ponzini, con il consenso del Comune, procedette alla stesura del progetto esecutivo, rapportandosi con la Soprintendenza competente, sempre in collaborazione con Pro.ges (il bando prevedeva che il Comune garantisse a Inail, acquirente dell’immobile e finanziatrice dell’intervento, una remunerazione pari al 3% dell’investimento complessivo). In prosieguo vennero approfonditi tutti gli aspetti della procedura, così sintetizzabili: il Comune avrebbe dovuto indire una gara per il diritto di superficie della cascina, assegnando l’onere di realizzare la qualificazione al soggetto Pd Partito Democratico Piroli Buscarini Cugini Fiazza-2aggiudicatario. Al termine dei lavori (senza oneri per l’ente), il Comune avrebbe acquistato definito con Inail un canone di affitto pari al 3% dell’investimento, per 30 anni. Dal canto suo, il Comune si sarebbe fatto garantire analogo affitto da Pro.ges di nove anni in nove anni. Detta procedura presentava però una rischiosità per il Comune, tenuto a impegnarsi per 30 anni con Inail ma garantito da Pro.ges con fidejussioni rinnovabili ogni 9 anni. Da ciò deriva la scelta del Comune di non dare seguito al percorso, pur avendo trasmesso alla Soprintendenza (maggio 2018) il progetto definitivo (architettonico, strutturale e impiantistico) al fine di ottenere la relativa autorizzazione alle opere di restauro e recupero funzionale. La scelta è stata formalizzata comunicando ai soggetti coinvolti, tramite gli assessori Opizzi e Passoni che l’opera non rientrava nelle priorità dell’Amministrazione».

«L’Amministrazione nel partecipare al bando – è la richiesta che fanno i consiglieri dem nell’interrogazione – ha tenuto conto dell’esistenza e della piena disponibilità di progetti già elaborati (in particolare la presenza di un progetto definitivo – architettonico, strutturale, impiantistico - in Soprintendenza, ottenuto senza alcun costo per il Comune e che comporterebbe allo stato dell’essere di risparmiare circa 200 mila euro sull’appalto in parola)?».

«Quali valutazioni e quali atti programmatici – chiedono i dem - hanno indotto l’Amministrazione a considerare la destinazione prefigurata di cascina San Savino a “Polo per la promozione dei prodotti tipici piacentini, struttura ricettiva, ristorazione, hub della mobilità e di interscambio tra logistica e Città, oltre a spazi destinati a start-up innovative nel settore eno-gastronomico”? C’è la possibilità di maggior interesse e successo rispetto a un’iniziativa simile non decollata in passato e soprattutto avendo chiaro che nell’autorizzazione all’alienazione la Soprintendenza non autorizzava le attività commerciali all’interno della struttura stessa, o meglio così scriveva il Soprintendente Elio Garzillo nel 2002: “…sia prevista una destinazione d’uso residenziale, agricola, ricettiva, artigianale”?».

«Questo infatti sembrerebbe in netto contrasto – conclude il Pd - con l’intento di questa amministrazione di realizzare, attraverso il bando, un “Polo per la promozione dei prodotti tipici piacentini, la cui natura commerciale sembra evincersi con chiarezza”. Con quali risorse l’Amministrazione intende finanziare l’intervento di recupero vero e proprio, una volta ottenuto e cofinanziato il costo della sola progettazione, per altro in parte già preesistente (trattandosi di un intervento di restauro, l’involucro è sempre quello, si potrà eventualmente fare un bando per pagare solamente le opere di variante anziché spendere inutilmente soldi pubblici, per rifare rilievi o quanto altro), onde evitare un’ulteriore progettazione fine a se stessa, questa volta non gratuita ma con oneri rilevanti - 550mila euro - da parte della Stato e in parte a carico del Comune».

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