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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

Duello Fini-De Micheli sul Referendum: «Un pasticcio», «No, chiarirà molte controversie»

Folto pubblico al teatro Gioia per il confronto tra il sottosegretario Paola De Micheli e l'ex presidente della Camera Gianfranco Fini

Un confronto a viso aperto nel merito della Riforma Costituzionale. Ha catturato l’attenzione di diverse centinaia di presenti la serata organizzata dal consigliere comunale di “Piacenza Viva” Marco Colosimo, che ha ringraziato Teatro Gioco Vita e Diego Maj per aver ospitato al Teatro Gioia un "duello" politico ricco di contenuti nella serata del 17 ottobreDSC_0591-2. I due ospiti – moderati dal giornalisti di “Libertà” Giorgio Lambri -, il sottosegretario all’Economia Paola De Micheli per il Sì e l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini per il No, hanno infatti battagliato per oltre due ore sul Referendum del 4 dicembre senza ricorrere ai toni polemici tipici del talk show televisivo. 

C’è qualcosa che non va nel quesito del referendum? - ha chiesto Lambri al sottosegretario. «Il nome del quesito deriva dalla legge – ha detto De Micheli, rappresentante del Sì - questo era il suo titolo. È tutto regolare, come previsto dalla norma». «Il quesito del Referendum è capzioso – ha esordito Fini, illustrando le ragioni del fronte del No -, furbesco. È il titolo della legge, ma non c’è ombra di dubbio che chi l’ha congegnato è stato attento. È un titolo formulato apposta per convincere qualche elettore poco informato. Ma credo che il popolo sia più avveduto: comunque c’è stata l’intenzione di condizionare l’enorme quota di indecisi a votare in una direzione». Non tutti vanno a votare per mandare a casa il premier. «Anche il governo Renzi prima o poi andrà a casa, è fisiologico. Io vado a votare No perché non condivido cosa vogliono scrivere nella Costituzione nell’equilibrio dei poteri».  

«È una brutta riforma – ha proseguito l’ex leader di Alleanza Nazionale -.  Anch'io sono convinto che il sistema bicamerale paritario vada modificato, però avrei realizzato un sistema monocamerale, ma così non la pensa il Governo. Non mi convince il tema del risparmio: il Senato rimane, con la sua struttura, l’apparato, il personale, i suoi costi fissi. Saranno solo 100 senatori e non risiederanno a Roma, ma ci sono solo 25 milioni di euro di risparmio. “Meglio che niente” dirà qualcuno, ma sarà un risparmio di pochi milioni su un bilancio dello Stato di 580 miliardi di euro, lo 0,0036% del bilancio insomma. Il sindaco di Piacenza – ha proseguito nella sua riflessione - è stato votato per amministrare la città, se diventa senatore sarà anche un legislatore. Come può un consigliere regionale o un sindaco avere un ruolo nel campo legislativo, magari sui trattati internazionali? Il nuovo Senato non ha nulla a che vedere con le camere d’Inghilterra o il Bundesrat della Germania. Dovranno difendere le ragioni della loro regione di provenienza senza alcun tipo di vincolo: decideranno per il loro territorio o per il loro partito? E poi in Italia c’è un tripolarismo ormai evidente: ci sono regioni che sarebbero rappresentate da due soli senatori. Così non sarà rappresentata un’area politica di quella regione. È una riforma pasticciata, avremo una Costituzione peggiore di quella odierna. E se il sindaco viene eletto a 18 anni e poi diventa senatore? Sottolineo inoltre che 7 presidenti uscenti su 10 della Corte costituzionale hanno denunciato che quest’organo sarà invaso da conflitti tra le Camere. È vero che qualche legge rimane ferma nel passaggio tra Camera e Senato, ma non a causa del sistema camerale, ma perché qualche partito la tiene un po’ ferma. È una logica tutta politica e di mediazione tra i partiti: da qua arriva il ritmo lento di legislazione. E poi sono 15 anni che quando c’è l’urgenza di una legge, si fa tutto entro 60 giorni con un decreto-legge. Scomodare la Costituzione per una questione di celerità non ne vale la pena».

«Non ci sarà più il diritto di veto da parte di una camera sull'altra - ha risposto De Micheli -. La nuova legge regola la decretazione d'urgenza: nessun governo potrà legiferare ciò che in realtà non è urgente, una misura che rafforza i poteri della camera legislativa riducendo quelli del governo.  La decretazione d'urgenza verrà limitata, mentre si amplieranno i poteri legislativi delle assemblee con la facoltà di presentare una legge anche da parte del nuovo Senato, inoltre si potrà accelerare l'iter per l'approvazione delle leggi attraverso un meccanismo di data certa. Il raccordo tra camere e territori – è nuovamente intervenuta il sottosegretario all’Economia - oggi è portato avanti dalla Conferenza Stato-Regioni. È una norma debole, c’è un protagonismo molto labile dei territori. Bisogna fare chiarezza: utilizzeremo la rappresentanza regionale ma definiremo a breve un’elezione diretta, come richiesto nel nostro partito da Vannino Chiti. Su questo ci stiamo lavorando. Ogni regione avrà una sua rappresentanza, e anche i comuni – visto il ruolo nella tradizione italiana di questi enti – entreranno nel nuovo Senato. Si chiarirà una volta per tutte le responsabilità, cosa non banale per chi fa le leggi. Si possono sviluppare inoltre rapporti tra i senatori territorio per territorio: penso al Sud, si potrebbero costruire maggioranze diverse su alcuni temi, fare proposte. È vero, sono aumentate le parole per spiegare la Costituzione, ma almeno così le cose sono più chiare».

Fini ha poi sottolineato che nella riforma ci sono aspetti condivisibili, come la cancellazione del Cnel e l'abolizione delle Province: ma questi temi sono minoritari rispetto alla conformazione e alle funzioni del nuovo Senato e al dibattito sulla nuova legge elettorale. «Il problema è che volete mettere in piedi un Senato che è un mostro, come ha detto Rodotà. La seconda questione è il rapporto tra esecutivo e legislativo: rimane solo la Camera dei Deputati a revocare la fiducia al Governo. E non sappiamo ancora con che legge elettorale formeremo la nuova Camera, come faccio a sapere l’equilibrio futuro? Vorrei un Paese in cui un esecutivo forte abbia comunque un argine nella Camera in grado di controllare. Accanto alla governabilità ci deve essere rappresentatività: una minoranza non può essere egemone. Se voto “No” è per queste ragioni». «C’è un qualcosa di troppo politicista - è la replica di De Micheli - sulla questione dell’Italicum. Il doppio turno è importante avendo un sistema tripolare: non c’è un problema di autoritarismo. L’onere di realizzare una riforma è tutto in carico al Pd: non è un mestiere che si fa in due giorni, è complicato. Stiamo lavorando all’Italicum». Il Sottosegretario si è detta infine molto convinta della riforma proposta dal suo partito. 

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