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Foti: «Non festeggio il 25 aprile perché non si possono fare distinzioni sui morti»

Il parlamentare di Fratelli d'Italia ha disertato le celebrazioni del 25 aprile in piazza Cavalli: «Perché mai chi è caduto nelle brigate partigiane deve essere per forza un eroe, e chi è morto indossando la divisa della Repubblica Sociale Italiana deve essere solo un dannato, un dimenticato, un derelitto?»

Sul palco del 25 aprile in piazza Cavalli, oltre all’Amministrazione Comunale – rappresentata dal sindaco Patrizia Barbieri, dal vice Elena Baio, dall’assessore Filiberto Putzu, dal capogruppo di Forza Italia Sergio Pecorara e dal presidente del Consiglio comunale Giuseppe Caruso – erano presenti anche i neo eletti della Lega Nord a Camera e Senato Elena Murelli e Pietro Pisani. Assente per motivi istituzionali la deputata del Pd Paola De Micheli e Tommaso Foti, parlamentare di Fratelli d’Italia. Foti non ha voluto presenziare, e ha spiegato su Facebook i motivi dell’assenza.

«25 aprile? Festa per altri, non per me. E adesso lo so, mi pioveranno addosso le solite critiche, i triti e tristi luoghi comuni. Diranno e scriveranno: Foti? un #fascista. Bella che data la risposta: sbrigativa e democratica, come si conviene a stupidi che neppure sanno di adularmi. Dicano ciò che vogliono, io non riesco a festeggiare, perché non accetto che si perpetui la divisione tra morti e morti. Perché mai chi è caduto nelle brigate partigiane deve essere per forza un eroe, e chi è morto indossando la divisa della Repubblica Sociale Italiana deve essere solo un dannato, un dimenticato, un derelitto? Perché mai dovrei accettare una siffatta e comoda distinzione quando, non io ma i fatti, dicono che molti di coloro che andarono a morire nelle brigate partigiane erano stati fascisti più di coloro che andarono invece a morire per il Duce? Perché mai dovrei, genuflettendomi alla cosiddetta politica corretta, disprezzare mio nonno paterno e mio padre per le scelte fatte, quando gli stessi - per avere combattuto per l'onore - patirono poi di tutto e di più quando, dopo le radiose giornate dell'aprile '45, fu loro riservata la galera o la clandestinità, pur non avendo mai commesso nulla di nulla? Perché dovrei pensare che il pianto di una madre che ha avuto il figlio morto nelle fila della Resistenza meriti più comprensione, rispetto, condivisione, di quello versato da una madre il cui figlio, magari quindicenne, decise di essere mascotte in una delle milizie fasciste? Lo so bene che mi si dirà che chi è morto per la libertà è morto per una giusta causa e chi è morto dall'altra parte è morto per difendere un'idea totalitaria, ma questi sono artifizi interessati. Quasi che non si sapesse che la componente più politica della Resistenza, quella di radice comunista, certo voleva chiudere la pagina del totalitarismo fascista, ma solo per incominciare quella del totalitarismo comunista. Eppure basterebbe poco perché il 25 aprile potesse diventare il giorno della memoria condivisa: sarebbe sufficiente anziché esaltare la propria fazione, promuovere la pacificazione. Ma così non è e, temo, non sarà mai. Perché le immagini di quei poveri morti - degli uni e degli altri - più che emblema del Sacrificio supremo continuano ad essere agitate per mantenere in piedi una distinzione manichea tra vincitori e vinti, tra il sangue dei primi e quello degli ultimi. E finche' sarà così, per me il 25 aprile continuerà ad essere solo san Marco».

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