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Morti sul lavoro, Rifondazione: «Non chiamiamole “disgrazie”»

«C'è urgenza di rimettere mano alla legislazione nazionale sul lavoro e riaprire una stagione contrattuale che recuperi un maggiore potere di controllo e contrattazione da parte dei lavoratori sulla organizzazione nei luoghi di lavoro»

«Di fronte all’ennesima morte sul lavoro (a Modena, lo scorso 2 agosto) abbiamo visto sollevarsi le ennesime grida di indignazione e di denuncia. Le stesse che vediamo ad ogni infortunio mortale. Ormai una media di tre al giorno. Indignazione necessaria e ampiamente motivata, ma non sufficiente. E' invece urgente intervenire sulle cause che stanno alla base di questi infortuni. Fuori da ogni scrupolo è bene non sottovalutare la propensione delle imprese a ridurre i costi, a risparmiare sulla sicurezza, a spingere fino ai limiti raggiungibili i ritmi di lavoro. E questo è vero da sempre. Le ricadute economiche della pandemia, la rincorsa a recuperare i margini di remunerazione perduti, ne hanno accentuato la portata. Ciò che manca veramente (e ormai da tempo) sono quegli strumenti che danno ai lavoratori ed alle loro rappresentanze una più efficace possibilità di controllo sulla organizzazione del lavoro. Non dobbiamo dimenticare che veniamo da anni di smantellamento di quegli strumenti di legge e contrattuali che avevano permesso (anni 70-80) un controllo diretto dei lavoratori sull’orario, sulle condizioni e sull’organizzazione del lavoro in generale, e quindi sulla sicurezza. Dalla legge Treu in poi abbiamo visto aumentare gli spazi normativi che danno alle imprese la possibilità di ricorrere con sempre meno controlli alla precarietà lavorativa.  Il ricorso a masse sempre maggiori di lavoratori precari (assieme alla abolizione dell’articolo 18) ha aumentato in questi ultimi 20 anni la subordinazione del lavoro all’interesse di impresa. Il ricatto occupazionale è ormai la norma. Paura di perdere il posto di lavoro, paura di non trovarlo. Si accetta di lavorare in qualsiasi condizione, anche in presenza di condizioni di sicurezza non adeguate. Ricatto a cui sono sottoposti anche i disoccupati i quali, per poter aspirare ad un lavoro devono dimostrare di accettare qualsiasi condizione, pur di lavorare. Questa situazione (ricattabilità, divisione e frantumazione delle tipologie contrattuali, spesso messe in concorrenza tra loro) produce di fatto l’impossibilità, o la difficoltà, della forza lavoro impiegata ad esercitare quotidianamente un controllo sulle scelte aziendali, di rivendicare interventi ed investimenti sulla sicurezza, sui tempi e sulle condizioni di lavoro ecc. Cosa questa resa ancor più difficile dallo smantellamento di quelle normative contrattuali che almeno fino agli anni 80 rappresentavano strumenti efficaci per la sicurezza. Parliamo di quelle normative contrattuali che vietavano il ricorso a cooperative esterne, a lavoratori assunti temporaneamente, per coprire lavori che risultassero in realtà organicamente presenti nel ciclo produttivo aziendale. Il ricorso a cooperative esterne, agenzie del lavoro, agenzie di lavoro interinale, ecc, era possibile solo a copertura di temporanei picchi di produzione o di attività specificatamente a carattere stagionale, e comunque in presenza di un accordo con i rappresentanti sindacali che stabiliva tempi di inizio/termine, tutele e condizioni di trattamento contrattuale di questi lavoratori. La perdita di strumenti contrattuali (che abbiamo perso degli ultimi anni in nome di una concertazione che come si vede non ha portato a nulla di buono), la sempre maggiore ricattabilità della forza lavoro, assieme alla propensione delle imprese a ridurre i costi per la sicurezza, stanno alla base di questa impennata di infortuni. Bene rivendicare un potenziamento dell’ispettorato del lavoro, ma non basta. ome si è dimostrato nella pratica sindacale degli anni 70-80, è il controllo diretto dei lavoratori sulla organizzazione del lavoro che può imporre alle imprese una maggiore attenzione alla sicurezza. Quindi ben venga l’indignazione generale di fronte all’ennesimo infortunio mortale. Ciò di cui oggi c’è urgenza è rimettere mano alla legislazione nazionale sul lavoro e riaprire una stagione contrattuale che recuperi un maggiore potere di controllo e contrattazione da parte dei lavoratori sulla organizzazione del lavoro nei luoghi di lavoro. Crediamo che sia questo il principale fronte di lotta sindacale che l'aumento degli infortuni impone. Una vertenza generale per modificare la legislazione del lavoro, per cancellare quella liberalità che oggi permette alle imprese di ricorrere all'utilizzo di Forza lavoro sempre meno tutelata, e una vertenza confederale per riportare nei contratti nazionali quelle regole e quegli strumenti che si sono lasciati cadere nel tempo in nome di una illusoria concertazione».

Partito della Rifondazione Comunista

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