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Martedì, 23 Aprile 2024
Politica

Provincia, quattro disegni di legge per ritornare a eleggere presidente e consiglieri

Depositati in Senato da Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e Partito Democratico: tutti vogliono il ritorno delle elezioni a suffragio universale

Potrebbero davvero tornare le Elezioni Provinciali, per permettere ai cittadini di eleggere direttamente presidente e consiglieri. Sono stati presentati quattro disegni di legge per far rivivere le Province e ripristinare il sistema di elezione a suffragio universale e diretto. Uno di Forza Italia a prima firma Licia Ronzulli insieme ad altri senatori, tra cui Silvio Berlusconi. Uno di Marco Silvestroni di Fratelli d'Italia. Uno di Massimiliano Romeo della Lega e uno di Bruno Astorre del Partito Democratico.

La proposta della capogruppo di Forza Italia in Senato prevede che il presidente della Provincia e i consiglieri provinciali siano eletti a suffragio universale e diretto. In particolare l’articolo 2 "prevede l'elezione diretta del sindaco metropolitano e del consiglio metropolitano. L'articolo 6 provvede alla ridefinizione delle funzioni fondamentali delle province sulla base di principi che riguardano l'autonomia organizzativa, l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale nonché funzioni concernenti la costruzione, la classificazione, la gestione e la manutenzione delle strade e la programmazione, l'organizzazione e la gestione dei servizi scolastici, compresa l'edilizia scolastica, relativi all'istruzione secondaria di secondo grado".

Anche il leghista Romeo vuole reintrodurre l'elezione diretta degli amministratori provinciali con il sistema previsto precedentemente al 2000. In più Romeo prevede anche una modifica per l'elezione del sindaco dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Se la sua proposta dovesse essere approvata dal Parlamento, sarebbe proclamato eletto sindaco "il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l’elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano di età".

Infine la proposta del democratico Bruno Astorre, che non solo vuole reintrodurre le provincie ma vuole anche "introdurre il medesimo sistema elettorale anche per il sindaco e per il consiglio metropolitano. Stabilendo al contempo l’indennità di carica per il presidente della provincia e il diritto, per i consiglieri, di percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni".

Tutte proposte depositate e pronte a finire sul tavolo della commissione Affari costituzionali che, a giorni, inizierà le audizioni e l'esame congiunto dei testi. La relatrice è la leghista Daisy Pirovano, che si è detta emozionata di avere in mano anche un testo del Pd, perché "finalmente anche voi avete capito che quella riforma è stata un errore". Al netto della posizione politica della senatrice del Carroccio, i disegni di legge non si discostano molto l’uno dall’altro: partono da premesse condivise per approdare a proposte simili. Non è dunque escluso che si possa arrivare a un testo bipartisan, sostenuto sia a destra che a sinistra. 

LA STORIA RECENTE DELLE PROVINCE

Nel 2014 la legge “Delrio” partorita dall'allora governo Renzi aveva dato il colpo di grazia ai già svuotati organi provinciali: privati di competenze, strutture, personale e senza che i componenti fossero eletti a suffragio universale. Sembravano delle metastasi da eliminare. Oltre venti anni fa, le province avevano un peso importante perché erano lo snodo fra i Comuni e le Regioni. Le elezioni provinciali richiamavano l'elettorato a votare un organo che, seppur non come il comune di residenza, rappresentava un'istituzione vicina e tangibile al proprio territorio. Prima della riforma infatti, ogni cinque anni, i cittadini eleggevano il consiglio provinciale e il presidente della provincia. Di fatto, con il passaggio delle urne (e legge elettorale con premio di maggioranza) il sistema era assimilabile a quello dei comuni, con un presidente eletto, una maggioranza a sostegno di quest'ultimo in consiglio, una giunta formata da membri della maggioranza e le liste sconfitte all'opposizione.

Tuttavia, già a partire dal 2010, sono cominciati i primi assalti per sottrarre risorse e competenze alle province, viste ormai come strutture sacrificabili e da cui poter ricavare un risparmio in termini di spesa pubblica. La vera svolta però è arrivata durante il governo Matteo Renzi nel 2014. L'allora Ministro alle Infrastrutture e trasporti Graziano Delrio ha tentato di portare a termine il piano di abbattere quegli enti diventati ormai antistorici. Per superare le province, sono state abolite le elezioni dirette e gli enti hanno perso quasi tutte le loro competenze.

Il problema è che questa condizione sarebbe dovuta essere temporanea. Infatti la riforma Delrio era legata alla legge costituzionale su cui Maria Elena Boschi e Matteo Renzi avevano fatto il loro “all-in” politico. Se fosse passato il referendum, le province sarebbero state abolite del tutto. Non è andata così. Nel dicembre 2016 i cittadini si sono detti contrari alle modifiche della Costituzione del premier Renzi, compresa l'eliminazione delle province.

Le province sono rimaste ma come le aveva lasciare la manovra di Delrio, cioè a pezzi. Quella che sarebbe dovuta essere una legge pro tempore, è diventata strutturale. Così, da quella volta, non ci sono stati più interventi. È stato proprio in questi otto anni che ci si è resi conto del livello di indebolimento a cui sono arrivati gli enti provinciali, che si è tradotto in un ulteriore aggravio di lavoro per altri enti, con altri costi e maggiori problemi per i territori più periferici della ree vaste.

LE PROVINCE, COME FUNZIONANO OGGI

Oggi non si vota più per gli organi provinciali. Ogni due anni, sono i consiglieri comunali e i sindaci a eleggere, a loro volta, il consiglio provinciale (a Piacenza 7 consiglieri di centrodestra, 3 del centrosinistra). Ogni quattro scelgono il presidente della provincia (in autunno è stata eletta Monica Patelli, sindaco di Borgonovo, centrosinistra), che deve essere necessariamente un sindaco con almeno 18 mesi di mandato sul suo curriculum. La stessa cosa vale per le città metropolitane, con l'unica differenza che il sindaco metropolitano è di diritto quello del comune capoluogo.

Anche i servizi sono cambiati. Di fatto alle province sono rimaste tre competenze e anche parziali: scuola, viabilità e parte dell'ambiente. Se ne rende di più conto chi vive lontano dai centri, dove i servizi arrivano con maggiore fatica. Infatti, secondo i numeri dell'Ufficio valutazione impatto del Senato, alle ex province sono rimaste in gestione circa 130mila chilometri di strade e 30mila tra ponti, viadotti e gallerie. In molti casi collocate in aree montane, dove spesso non esistono collegamenti alternativi. C'è poi l'edilizia scolastica ha un impatto sulla vivibilità dei comuni. In particolare di quelli interni, soggetti a un progressivo spopolamento proprio per la carenza di servizi. Perciò anche in questo ambito, alle ex province è stato lasciato un compito di tutto rilievo.

Tutto questo apre a tre problematiche, individuate da Openpolis, in un rapporto basato su dati Istat:

- l'elezione indiretta del presidente e del consiglio provinciale;

- L'incertezza del quadro finanziario in cui operano;

- la difficoltà di riordinare le funzioni di area vasta nel nuovo sistema.

In particolare, la prima criticità è forse quella più preoccupante perché oggi, chi amministra la provincia, lo fa a tempo perso, senza remunerazione e senza alcun riconoscimento. Se ne occupa dopo aver affrontato le urgenze a livello comunale, dove è stato scelto attraverso il voto dei cittadini. In provincia dunque vi è una classe dirigente deresponsabilizzata in quanto delegittimata.

Basta guarda alle campagne elettorali. Le formazioni, che devono pur essere scelte dai sindaci e consiglieri comunali, possono rispondere ai più classici blocchi politici destra contro sinistra. Eppure negli anni ci sono stati casi di accordi trasversali fra partiti in antitesi ma uniti dall'interesse di rappresentare precise esigenze territoriali. Nella storia si è visto di tutto. Ci sono stati anche casi di coalizioni anomale, con formazioni di liste trasversali non riconducibili né alla destra né alla sinistra. In provincia di Vicenza, in una occasione, si sono fronteggiati i comuni del nord con quelli del sud, con i partiti uniti trasversalmente per fare gli interessi della propria porzione di provincia. Insomma c'è stata una progressiva spoliticizzazione, fino all'irrilevanza. Alla fine chi ci ha rimesso sono state le Regioni e i Comuni, ai quali sono passate tutte le competenze delle province esautorate, con il rischio di lasciare indietro quei territori, interessati ai servizi rimasti nella gestione delle province.

Stefano Pagliarini

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