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Salute

Ecco come le polveri sottili del traffico (e lo smog) possono favorire malattie neurodegenerative

Gli esiti di alcuni studi specialistici internazionali. Secondo uno d questi, le polveri sottili (PM 2,5) sono di dimensioni talmente minime da essere in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e causare la traslocazione nel cervello, provocando infiammazione dei neuroni e stress ossidativo

Recenti studi di ricerca scientifica, di cui due pubblicati da Jean Baptiste Renard, direttore di ricerca presso il National Centre for Scientific Research (Cnrs) dimostrano con crescente evidenza il ruolo svolto sulle malattie del sistema nervoso centrale e le neuropatologie dagli inquinanti atmosferici. 

Uno studio condotto ad Umea, in Svezia, dalla dottoressa Anna Oudin ed altri, mostra una correlazione tra l'esposizione all'inquinamento atmosferico e la frequenza della demenza (Alzheimer, disturbi vascolari etc.) e il deterioramento delle funzioni cognitive negli anziani. La ricerca si è basata su un profilo sanitario (campioni di sangue, pressione arteriosa, valutazioni sensoriali etc.) e su una valutazione cognitiva dei partecipanti, con una ampia gamma di processi e sistemi di memoria, seguiti per un periodo di 15 anni. E' stato riscontrato che 302 dei 1806 partecipanti erano affetti da morbo di Alzheimer o da malattia vascolare, e che la frequenza di pazienti affetti da tali malattie, aumentava proporzionalmente alla concentrazione nell'aria di ossido di azoto, uno dei principali inquinanti atmosferici.

Un altro studio, condotto negli USA dalla dottoressa Melinda C. Power, ha analizzato l'impatto delle concentrazioni di nerofumo, legato al traffico veicolare, sulle funzioni cognitive. La ricerca si è basata sull'analisi di 680 uomini che avevano effettuato in modo regolare 7 test cognitivi per un periodo di 11 anni, con valutazione di una serie di aree: attenzione, memoria, funzioni esecutive, linguaggio, capacità visivo - motorie, etc. 

Come risultato, l'esposizione al nerofumo è associata in misura significativa con il rischio di punteggi deboli nei test cognitivi. Gli effetti nocivi dell'inquinamento atmosferico legato al traffico possono essere spiegati con due meccanismi biologici. Le polveri sottili (PM 2,5) sono di dimensioni talmente minime da essere in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e causare la traslocazione nel cervello, provocando infiammazione dei neuroni e stress ossidativo. Inoltre, le polveri sottili correlate al traffico esercitano effetti indiretti sulle funzioni cognitive, attraverso le conseguenze a danno della salute cardiovascolare.

I veleni delle città penetrano anche tra neuroni e sinapsi; è la scoperta di ricercatori dell'Università di Lancaster, dimostrata sulla rivista scientifica Pnas. Particolato ultrafine di magnetite, un ossido di ferro, prodotto dal traffico e dagli impianti di generazione di energia, è legato anche all'Alzheimer. Gli studiosi, hanno preso in esame il tessuto cerebrale di 37 persone; fra questi, 29 vivevano a Città del Messico, uno dei centri urbani più inquinati al mondo e avevano fra 3 e gli 85 anni, le altre 8 provenivano da Manchester, tra i 62-92 anni. Fra loro, molte erano decedute a causa di malattie neurodegenerative. Tutti contenevano grandi quantità di nano-particelle di ossidi di ferro, della stessa forma sferica di quelle che si creano con la combustione ed in misura minore tracce di altri metalli, come il platino, contenuti nelle marmitte catalitiche. Barbara Maher, autrice principale della ricerca, ha espresso preoccupazione ed aveva identificato in un precedente test particelle inquinanti sui capelli di persone che si trovavano in strade molto trafficate di Lancaster. L'analisi del tessuto cerebrale, ha dimostrato particelle distribuite fra le cellule e si trovano milioni di particelle in un singolo grammo di tessuto. Si tratta di particolato ultrafine che viene prodotto dal traffico, soprattutto dai motori Diesel, dagli impianti di produzione di energia e dagli inceneritori, ha spiegato il dottor Ernesto Burgio, Presidente del Comitato Scientifico di ISDE (Associazione Medici per l'ambiente). Queste particelle, ha proseguito il dottor Burgio, possono spostarsi per decine di chilometri e sono talmente sottili da riuscire a superare tutte le barriere biologiche: la membrana cellulare, che ha una funzione di protezione del tessuto cerebrale dagli elementi nocivi, interferendo sulla espressione del Dna, ma anche la placenta, influendo sulla programmazione genetica del feto e potendo causare disturbi del neurosviluppo, patologie di tipo immunologico e secondo alcuni studi, anche tumori. 

Le microparticelle osservate dai ricercatori inglesi sono di diametro inferiore a 200 nanometri e possono spostarsi dall'aria alle terminazioni nervose del naso e da qui al cervello. Il supposto legame con le malattie neurologiche è dato dal fatto che il ferro contenuto nelle particelle inquinanti, facilita la formazione di radicali liberi che alterano tutti i componenti della cellula. Nella malattia di Alzheimer, questo fenomeno, chiamato stress ossidativo è una componente importante nella degenerazione dei neuroni; facilita, infatti, la produzione della proteina beta-amiloide, associata alla malattia.
La maggior parte delle pubblicazioni scientifiche sull'argomento riguardano i possibili effetti di tossicità neuronale di metalli pesanti (alluminio, rame, piombo, cobalto, cadmio, manganese, arsenico, mercurio...), pesticidi (organo fosfati e organo clorurati), antimicrobici (parabeni, clorofeni, triclosan) e inquinanti ambientali. Ad ogni aumento della concentrazione nell'aria del particolato fine (PM 2,5) , accresce il rischio di essere ricoverati per una malattia neurodegenerativa. E' quanto indica uno studio realizzato da una equipe di ricercatori di Harvard e pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives, un primo studio epidemiologico sugli effetti di una esposizione di lungo periodo al PM 2,5 sulla malattia di Alzheimer e su quella di Parkinson. In Francia, sulla base del decreto 665/2012, la malattia di Parkinson è stata inserita tra le patologie professionali agricole e si stanno moltiplicando gli studi che correlano un aumento del rischio, con una relazione dose /effetto per il numero di anni di utilizzo, in particolare, per gli insetticidi organo clorurati.

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