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Calcio, i fratelli Gatti abbandonano il Piacenza alla fine della stagione

Finisce qui l'avventura di Marco e Stefano Gatti alla guida del Piacenza Calcio. Ad annunciarlo è l'ormai ex diesse biancorosso, Gianni Rubini

È addio. Finisce qui l'avventura di Marco e Stefano Gatti alla guida del Piacenza Calcio. Ad annunciarlo è l'ormai ex diesse biancorosso, Gianni Rubini. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata la contestazione dei tifosi al termine della partita col Caravaggio, con alcuni sostenitori che si sarebbero introdotti negli spogliatoi della squadra per un confronto coi giocatori. I Gatti porteranno a termine la stagione, poi il futuro del Piacenza, se le cose dovessero restare così, sarebbe di nuovo avvolto in un enorme punto interrogativo.

IL COMMENTO
di Ferruccio Alberese

Cominciamo dalla fine. “Ah” è un’esclamazione che scritta non da mai il reale significato che l’ inflessione della  voce  invece fa comprendere immediatamente.

Ma “ah” è il commento migliore che questa sera a nostro parere si può esprimere dopo la notizia del disimpegno a  fine stagione dei fratelli Gatti dal Piacenza Calcio.

“Ah” è il parziale stupore per la  fine di un’avventura così breve sìa in termini temporali che in relazione ai programmi  ah-imé troppo strombazzati di due anni or sono.

“Ah” è il dolore, il disagio a vedere che la propria più intima, più introiettata passione sportiva di coloro che sono piacentini da sempre e /o tifano Piacenza da sempre debba rivivere a pochi anni dalla tragicomica vicenda del fallimento  del Piacenza della famiglia Garilli un’altra storiaccia fatta di abbandoni, deluzioni, incomprensioni ed indifferenza.

“Ah” è il modo per evitare di dire che lo sapevamo che sarebbbe potuta finire in questo modo quando da un lato molti attori si sono improvvisati uomini di calcio o uomini di calcio di un certo livello e dall’ altro si è fatto acritico riferimento a coloro che solo a parole dicevano e dicono di rappresentare la città con il suo tifo.

“Ah” la Città. Piacenza e la sua provincia non hanno mai risposto alle attese dei Gatti perché non è mai stata convinta a fondo dal progetto. Quei pochi che c’ erano si ricorderanno S. Ilario praticamente vuota al lancio dell’ azionariato popolare oppure, ancora prima, chi c’ era si ricorderà di come si scelse la cordata Gatti sulle tribune del Garilli al momento di decidere chi odvesse raccolgiere le ecneri del piacenza Football Club 1919.

“Ah” i fratelli Gatti. Da padroni dirigenti di una modesta squadra di categoria provinciale, al massimo regionale, come tutte quelle che fungono da ricordo a chi poi cinquantenne lo racconta ai nipotini e/o agli amici nelle serate ormai scarse di nebbia, si sono ritrovati in mano un titolo sportivo prima che una squadra che mai si sarebbero sognati di gestire in prima persona, al massimo sarebbero stati fieri sponsors.

E il gioco, quello societario e sportivo ha preso loro la mano e, come spesso accade, sono fioriti, nella remota megalomania che ognuno di noi cova almeno per alcuni aspetti della vita, i cattivi consiglieri che hanno portato a scelte se non sbagliate, palesemente inadeguate.

“Ah” le scelte di questi anni. La brama di risalire in fretta, di cancellare bruciando il tempo galantuomo quanto di brutto ed insopportabile rappresentò il fallimento del Piacenza di Garilli-Riccardi  & Co (ma non dimentichiamoci la cordata “natalizia” spezzino-meridionale che voleva acquistare il Piacenza in Lega Pro con diecimila Euro di capitale!) ha reso ciechi e sordi sìa i dirigenti che la tifoseria “calda”. Non si può trasferire sic et simpliciter direttori sportivi che hanno sempre navigato in acque dilettantistiche, con giocatori che non sarebbero mai arrivati alla ribalta della Serie D, con una struttura di supporto abituata ai campetti dietro gli oratori in una squadra di blasone, in un campionato giocato da molte squadre, la maggioranza, con serietà e progetti pluriennali e pretendere di assemblare nomi prima che giocatori e prima che uomini motivati.

“Ah” i giocatori. Quando la Juvemntus attraversò una delle crisi sportive peggiore e ci riferiamo agli inizi degli anni sessanta, quando gli Agnelli ripresero il controllo diretto della società e della squadra, si chiamò un giovane allenatore-Armando Picchi- e si andò a vedere chi nel settore giovanile avesse qualche dote da far maturare in prima squadra e così in pochi, durissimi anni- la Juve sfiorò la retrocessione- nacque una delle squadre più forti del decennio sopperendo pure alla scomparsa del timoniere Picchi che di doti ne aveva.

Qui, da noi, abbiamo fatto i “raccogli-tutto” – i catasò, C’é chi s’é proposto e c’é chi ancora oggi scende in campo ma non s’é svegliato dal sogno di riuscire ad indossare i colori biancorossi che furono, ad esempio,  di un certo Renato Mola o di un certo Natalino Gottardo o di un certo Sergio Montanari.

Chi sono questi giocatori che corrono per il campo dopo aver giocato in modo insopportabile per 80 minuti su 90 e segnano del tutto casualmente e hanno il coraggio di atteggiarsi a divi da Champion League? Quale Allenatore, quale Direttore sportivo, quale procuratore li ha scelti, cercati , imposti?

“Ah” gli allenatori. All’ epoca crocifiggemmo Tentoni e Gigi Simoni a prescindere perché arrivavano  da Cremona... e Viali da dove arriva? Allora o la provenienza, che nel calcio dei tifosi ha ancora una pesante valenza, conta sempre o non conta mai. Questi motivi di rivalità sono superati? Bene, allora smettiamola con “Cremonese Vaffa..................” Per quanto riguarda i trainer, ricordiamoci che iniziammo con un allenatore nostro, ruspante, cacciato quasi subito perché l’ “armata biancorossa” non sfondava e arrivo William. Al quale quest’ anno è toccata la stessa sorte, cacciato dopo una-diconsi una- sconfitta, ma forse bisognava quietare le acque. Acque che si sono rotte con Venturato, meteora scelta da colui poi esonerato-Merli-per portare, anzi riportare un’ icona del “Piacenza che Fu” alla Direzione Sportiva: qualcuno  giustamente diceva sugli spalti domenica scorsa che ci vogliono persone che conoscono le categorie e non categorie calcistiche che conoscono i direttori sportivi-mito. Viali è tornato, si è trovato una squadra rifatta da altri e per altri, gli è stato chiesto il secondo posto, ma si sono dimenticati di chiedergli cosa ne pensava della squadra che aveva ritrovato: gli hanno risposto i risultati prima e gli ultras dopo.

“Ah” gli ultras. I veri Piacentini sono chiusi, danno poca confidenza, sono di indole agricola, lavorano, in silenzio e producono; magari non investono molto, ma mantengono e bene ciò che fanno. Questi piacentini agresti, con una dose giusta di disincanto, ma pronti alle passioni incredibili (c’ eravate anche voi in tredicimila all’ una di notte al Garilli la notte della promozione in Serie A dopo Cosenza?) allo stadio non li vedi più . Ce ne sono ancora, ma sono invecchiati e dispersi e non riescono a convincere i discendenti che essere tifoso a Piacenza è diverso, è speciale. Da noi, lo sbandierato terzo tempo che la Lega Calcio impone per regolamento e Platini  brandì per giustificare gli Europei in Ucraina (!) è sempre stato connaturato: finita la partita e gli sfottò, si va in stazione assieme ad accompagnare i tifosi ospiti e chiedere qual’ è il miglior ristorante della loro città. Anche nel dopoguerra eravamo così. Anche quando ad Alessandria dovettero entrare i carri armati in campo per sedare i disordini coi tifosi dei grigi. Una volta tornati a casa, mio nonno rideva con gli altri all’ osteria e l’ anno dopo ci si rincontrò senza nessuna acredine.

E ora? La globalizzazione del tifo che ad esempio Il Presidente della Lazio Lotito sta cercando di contrastare a Roma con quello che ne consegue, non può  né soddisfare la città, né i tifosi.

“Ah” i tifosi. Dove sono? Si sono persi per età e/o per crisi economica? Se li sono presi tutti la Copra e la Rebecchi? Oppure non “sentono” la squadra come loro, ma come “roba d’ altri”? Sappiamo e siamo certi di dimenticarcene qualcuno, quanti sono gli ex giocatori e i tecnici che si sarebbero potuti chiamare per reggere le sorti sportive e dirigenziali di questo Piacenza? Proviamo a dirne un po’: Montanari, Bonafè, Tretter, Osti, Gottardo, Caccia, Braghin, Paratici, Rocca, Moretti, Lucci, Taibi, Galandini, Turrini, Piovani e i vari Armenia e i suoi fratelli  quali dirigenti.

Potremmo continuare con gli “ah”, ma ci fermiamo qui. Un ultimo “Ah”, che sa un po’ di “avevamo visto giusto” lo riserviamo al Pro. Noi ci abbiamo creduto da subito che sarebbe iniziata con i rossoneri una cavalcata vittoriosa; lo dicevano i giocatori, metà ex Piacenza poco o mai valorizzati per lo stesso motivo per cui Armani e Alberoni se ne sono andati da qua. Lo dicevano i dirigenti e patron della Società : passi meditati e correlati alle capacità economiche dedicate all’ argomento (al punto forse di rinuciare lo scorso anno a lottare fino all’ ultimo per la promozione). Lo dicevano i tifosi, pochi e ora sempre più numerosi, stretti come sardine sulle tribunette ridicole del Siboni, un campo senza recinzioni,  i quali  da “piacentini dal sass” non si scompongono nemmero ora che il Pro sta dominando nello stesso girone del Piacenza (e Viali disse: stare nello stesso girone con loro ci ha fatto solo male...). Lo abbiamo seguito e abbiamo capito perché  è leader del girone: per tutti gli “ah” sopracitati e forse abbiamo capito anche perché ci sono tante resistenze alla fusione che vanno ben oltre il mero dato sportivo e del tifo.

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