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Fede, storia e architettura del Santuario della Beata Vergine del Carmelo di Roveleto

In un pratico libro-guida presentato al teatro parrocchiale

La scorsa settimana il teatro parrocchiale di Roveleto di Cadeo, ha ospitato un incontro culturale coordinato dal parroco don Umberto Ciullo, dedicato alla presentazione della nuova guida monografica che racconta e illustra il Santuario Beata Vergine del Carmelo di Roveleto, redatta da Sergio Efosi e Fabio Piazza, con importanti contributi originali di Anna Coccioli Mastroviti, Susanna Pighi e Dino Molinari. La pubblicazione evidenzia, anche con foto documentali inedite, il valore architettonico di questo importante monumento fede. Una recente meritoria opera di restauro ne ha riportati alla luce decori di grande pregio, opera di maestri d'arte che hanno prestato la loro opera presso la diocesi e altre ville padane. Sono state recuperate parti che si riteneva fossero compromesse e più in generale ripuliti e ravvivati i colori dei dipinti.  Allo stesso modo è stato valorizzato il patrimonio costituito dalle tavolette testimonianze della fede popolare per la Madonna del Carmelo.  Al successo dell’interessante e partecipato incontro culturale - seguito con attenzione anche dal sindaco Marica Toma e dal presidente della sezione Val d'Arda di Italia Nostra Luigi Ragazzi - hanno contribuito gli importanti contributi originali di studiosi del territorio tra i quali quelli di Anna Coccioli Mastroviti e Susanna Pighi dei quali proponiamo le sintesi che seguono.

IL SANTUARIO, SPAZIO ARCHITETTONICO E ARCHITETTURA ILLUSORIA di Anna Còccioli Mastroviti,  Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza

Il santuario della Beata Vergine, in fregio alla via Emilia, risulta tra le opere tipologicamente più interessanti del territorio, eppure meno studiate per ciò che concerne gli aspetti architettonici (tipologia, spazialità) e decorativi, sui quali questo contributo, pur senza pretesa di ricostruzioni esaustive, intende avviare una serie di riflessioni. Sulla base dei dati storici conosciuti e dall’analisi della fabbrica, ideata e costruita nella prima metà del Settecento, più che tentare di individuare il progettista, si argomenterà sul contesto culturale che ha determinato l’adozione del modello planimetrico e del suo sistema cupolato, riconoscendo a quest’opera un indiscusso valore sia per l’invenzione spaziale, i cui modelli sono da ricercare sia nell’architettura romana del tardo Cinquecento e nella sua diffusione nel barocco lombardo, oltre che nella circolazione di disegni, incisioni, libri, sia per i “mirabili disingannI” generati dall’apparato decorativo.

Dell’idea originaria, resta oggi il perimetro tendente a suggerire un impianto centralizzato che distingue il santuario di Roveleto nel panorama dell’edilizia chiesastica coeva nella quale si riscontra una tendenza geometrizzante. Pur in assenza degli elaborati originali, a Roveleto si apprezza l’articolazione delle superfici murarie ritmate da semiparaste e da risalti piatti. La planimetria del santuario, un unicum in tutto il territorio piacentino, è di estremo interesse, in quanto ci documenta il persistere, nel Settecento inoltrato, dell’attenzione da parte del progettista alla tipologia centralizzata, in auge nel Rinascimento.

L’assetto planimetrico attuale del santuario di Roveleto è il portato di un processo costruttivo attuato in due fasi, ma l’impianto centralizzato dell’aula sacra, così come era stato concepito, era un tema presente nei testi rinascimentali di architettura come nella progettazione di architetture sacre. Lo confermano i primi progetti di Vignola per il Gesù di Roma, a pianta ovale e il primo disegno di Tibaldi per la chiesa dei Gesuiti di Milano, S. Fedele, un ottagono. Un interesse che rientra nella predilezione astratta per le forme geometriche elementari, come il cerchio, la cui forma è celebrata per la sua perfezione, ma condannata per le presunte radici pagane, e il quadrato.  Circoscrivendo i riferimenti al contesto locale, nella seconda metà del Seicento sorgono su impianto centralizzato, a Piacenza e su progetto del ticinese Domenico Valmagini ( Brusimpiano, 1649-Milano, 1730) la chiesa delle Benedettine (1681)(26), di committenza farnesiana, a croce greca sormontata da imponente cupola, l’oratorio di S. Cristoforo (1687), e la chiesa delle Teresiane (1684-1700).

Nel Settecento, è interessato all’impianto centralizzato Marco Aurelio Dosi (1676-1757), architetto e quadraturista, autore delle chiese di S. Raimondo (1731) e di S. Lorenzo a Cortemaggiore, ove la croce greca dell’impianto è sormontato da una greve cupola che nell’edificio piacentino è alleggerita da finestrelle mistilinee aperte nei pennacchi e dalla sottile trama di una elegantissima decorazione a stucco; nel 1753, su commissione degli Agostiniani Scalzi, un professionista come il milanese Francesco Croce (1696-1773), ancora intriso del gusto versatile e poliedrico del barocchetto lombardo, elabora i progetti per la chiesa di S. Bartolomeo in Piacenza, esempio di architettura lombarda in terra emiliana descrivendo in pianta una soluzione affine a quella attuata sia a Delebio sia a Traona da Pietro Solari (1711-1787), ovvero una croce greca inscritta in cui i pilastri angolari animati da palchetti separano il vano principale da una specie di ambulacro continuo che corre lungo tutto il perimetro.

Di grande interesse anche la decorazione a quadratura del santuario, realizzata nella seconda metà del Settecento: un’apparecchiatura virtuale di ascendenza lombarda, e un’ornamentazione di grazia neo rocaille lontana dal rigore prospettico di stampo scientifico che supportava le grandi “macchine” illusive del Seicento.

ARTE E FEDE NEL SANTUARIO DI ROVELETO: ARREDI ED EX VOTO di Susanna Pighi, Ufficio per i Beni Culturali della Diocesi di Piacenza-Bobbio

Nel 1676 il nobile piacentino Francesco Maria Tadini Albrici (Albrizio) fece costruire una nicchia su un terreno di sua pertinenza lungo la via Emilia, nei pressi di Roveleto

Vi fece dipingere la Madonna del Carmelo tra i santi Giuseppe e Francesco d’Assisi, suo patrono personale. L’effigie votiva è oggi venerata all’interno del santuario.

Nel mio intervento mi dilungo sul pittore che dovrebbe essere Pietro Martire Stradivari attivo anche a Ozzola di Cortebrugnatella, sulla stampa che ne derivò di cui esiste ancora la matrice, a cura del noto incisore piacentino Pietro Perfetti. Dalla stampa si intuisce come era inizialmente l’immagine, rimaneggiata nei secoli, in particolare nel 1910 a cura del pittore piacentino Pacifico Sidoli.

Un’altra opera su cui punto l’attenzione è l’altare con ancona marmorea che accoglie il dipinto murale staccato dalla nicchia lungo la via Emilia e trasferito all’intenro del santuario nel Settecento.

L’altare fu senz’altro costruito intorno al 1777, contestualmente al trasferimento dell’opera. Nell’ancona lo spazio centrale è sormontato da un mosaico di Aristide Albertella del 1960. 

Nei documenti non risultano riferimenti al marmorino, che fu ricompensato con 300 marenghi d’oro ma dai confronti con la produzione lombarda trovo affinità stilistiche con l’opera di Giuseppe Maria Buzzi da Viggiù attivo a Piacenza nella seconda metà del Settecento e quindi propongo l’attribuzione.

Mi dilungo poi su altri arredi interessanti come la cassa d’organo e lo strumento musicale, l’organo Cavalli, costruito con materiali eterogenei più antichi. La cassa reca lo stemma Pallavicino. Interessante anche la cantoria rifatta e ampliata nel 1944 in legno e faesite a cura del falegname locale Giuseppe Pozzoli, per la quale ho rinvenuto i disegni dell’architetto Pietro Berzolla nell’archivio parrocchiale. 

Sempre nella documentazione archivistica ho rinvenuto i bei progetti tracciati nel 1940 da Pietro Berzolla per le nuove porte del santuario poi realizzate in legno di noce e rovere e per le bussole interne, le cui linee sinuose ben si accordano con l’architettura e la decorazione rocaille. Sono disegni che evidenziano una notevole abilità grafica, a inchiostro e acquerello.

 Tra le opere più recenti ho segnalato anche le vetrate istoriate a fuoco di Aristide Albertella (Milano), realizzate nel 1960-1961 con il contributo di alcune famiglie del paese, i cui nomi compaiono sulle opere. Raffigurano i misteri gaudiosi e anche le Nozze di Cana, l’Ultima Cena, Incoronazione e Assunzione di Maria. Anche di questi rimane un disegno con l’Annunciazione che presenta varianti rispetto alla resa finale.

Nella seconda parte del mio intervento ho descritto gli ex voto del santuario cercando anche di  esaminarli in base alle tipologie esistenti: ex voto metallici, pittorici, fotografici e polimaterici, a ricamo, a collage che documentano l’intensa devozione. Provengono da Roveleto e da altre località diocesane (in particolare della Val d’Arda). Su iniziativa di Don Adelmo Lovili sono state elencate dal 1950 su di un Registro apposito. 

Una prima disamina degli ex voto risale alla catalogazione compiuta nel 1988 dalla Soprintendenza territoriale e un’ulteriore verifica di circa novanta esemplari al 2011, nell’ambito dell’inventariazione dei beni mobili promossa dalla CEI. Nel 2016 un cospicuo nucleo di ex voto restaurati da Dino Molinari è stato esposto presso la galleria Rosso Tiziano di Piacenza.

Gli studi hanno ampiamente sottolineato l’importanza degli ex voto per la storia religiosa, della cultura materiale, dell’arte, dell’ambiente, in particolare per quanto riguarda i dipinti votivi, oggetto di saggi specifici in diverse aree italiane, dove sono stati censiti e analizzati capillarmente dal punto di vista sociale, economico, della fede e del costume.

I quadretti di Roveleto coprono l’arco temporale tra fine Seicento e ultimo quarto del Novecento. Si tratta di opere per lo più a olio su tela, ma non mancano esemplari su supporto ligneo o su altro tipo di supporto. Vi sono anche ex voto fotografici, in parte connessi a due conflitti mondiali.

Tra gli ex voto di Roveleto è da segnalare infine la mitria dell’arcivescovo Carlo Martini (1913-1986), originario di Fontana Fredda. Ricoprì numerosi incarichi in Vaticano, fu nunzio apostolico in Paraguay, arcivescovo dell’Aquila, ma non dimenticò mai la devozione per il santuario della Madonna del Carmelo.

Ho analizzato soprattutto i dipinti votivi descrivendone le caratteristiche compositive, lo stile prevalente, cercando di individuarne le categorie. Sono infatti dipinti per guarigioni miracolose, dipinti a seguito di incidenti stradali, ex voto per infortuni e cadute

Dal punto di vista stilistico le immagini fanno capo a due gruppi: nel più cospicuo gli artefici hanno documentato aspetti della vita devozionale, lavorativa e domestica di un tempo con semplicità grafica e freschezza narrativa quasi naïf; nell’altro, dovuto alla committenza benestante che si rivolse a professionisti, appaiono migliori l’impianto scenico, la prospettiva e le cromie.

Dal terzo decennio del XX secolo anche nel santuario di Roveleto iniziano a comparire ex voto fotografici, legati ai conflitti mondiali e a incidenti stradali. Provengono da studi noti di area piacentina come quello di Preti, Carlotti, Mainardi.

Un ex voto del tutto a se stante è quello donato dal campione di motociclismo Tarquinio Provini, nativo di Roveleto. Inquadra un paio di occhiali da corridore e la sua foto con la scritta “… alla B. Vergine di Roveleto grato per la protezione e in segno di filiale devozione…1 maggio 1955”.

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