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Consegna il 16 ottobre / Fiorenzuola d'Arda

Quando solidarietà e sculture «trasmettono una vitalità unica»: Premio San Fiorenzo al dottor Finetti e alla memoria dell'artista Borlenghi

Due riconoscimenti per il patrono di Fiorenzuola: a Finetti «per esaltare il valore educativo della solidarietà con i diversamente abili», a Borlenghi «per onorare il valore educativo dell’arte»

Un Premio San Fiorenzo alla memoria dell’artista Ugo Borlenghi «per onorare il valore educativo dell’arte» e uno “in vita” al dottor Gianni Finetti «per esaltare il valore educativo della solidarietà con i diversamente abili». Due prestigiosi riconoscimenti, quest’anno, in occasione del patrono di Fiorenzuola che si celebra il 17 ottobre. Il prestigioso premio viene assegnato ogni anno da una commissione composta da rappresentanti del Comune, della parrocchia e presieduta da don Gianni Vincini, a persone che negli anni si sono contraddistinte per il loro operato a favore della comunità del capoluogo della Valdarda. La scelta è ricaduta su Borlenghi, scomparso nel 2020 all’età di 77 anni e fino ad allora autore della statuetta-premio di San Fiorenzo; e su Finetti, classe ’42, da sempre vicino alle famiglie con figli disabili. Il simbolo del riconoscimento sarà consegnato domenica 16 ottobre in Chiesa Collegiata nel corso del Concerto di San Fiorenzo delle ore 21, eseguito dalla Corale Città di Fiorenzuola.

Di seguito riportiamo integralmente le motivazioni che hanno indotto la commissione ad assegnare i due premi.

IL PREMIO A UGO BORLENGHI

Si può dire che Ugo Borlenghi, nato a Cadeo (Piacenza) nel 1943, possieda da sempre la vocazione per l’arte, fin da quando fanciullo sul greto del torrente Arda cercava e raccoglieva pietre e sassi modellati dalla inarrestabile fantasia del tempo e degli elementi, sui quali in età giovanile sarebbe intervenuto o che più tardi avrebbe usato come supporto funzionale e ontologico dei suoi originali bronzi. Coltiva la musica con tromba e fisarmonica, la fotografia, la poesia, disegno e pittura, e soprattutto la scultura

Da adolescente ha coltivato la musica: suonare la tromba e la fisarmonica è stato per lui studio e diletto; ha fatto il fotografo per passione e per professione sotto la guida di un eccellente maestro, il compianto Mario Lambri (a livello personale anche oggi Borlenghi si dedica alla fotografia); in età matura ha scritto poesie con buoni successi di critica; ha studiato disegno e pittura con il professor Mansueto Barbieri presso l’Istituzione d’Arte “Giuseppe Visconti di Modrone”: a tutt’oggi continua a dipingere ed è passato dall’espressione figurativa dei primi lavori alla pittura informale caratterizzata da una sensibilità poetica lirica.

Ugo Borlenghi, uomo riservato e meditativo, è soprattutto uno scultore, che nell’arte plastica riesce ad esprimere la profondità del suo pensiero e la ricchezza della sua fantasia. Ha lavorato nella fonderia dell’Arsenale Militare di Piacenza e a Cremona, è diventato uno dei pochi scultori italiani in grado di fare di ogni sua scultura, un’opera finita (modella i volumi della cera con curata sapienza di gesti, prepara il calco, procede alla fusione e alla finitura del getto fuso, infine esegue la patinatura). La sua abilità di scultore e fonditore gli ha conquistato la fiducia dell’artista cileno Sebastian Matta che gli ha commissionato la fusione e la patinatura di numerose sue sculture.

Nel corso degli anni si è riproposto di superare i confini dell’arte “descrittiva” (che pure gli ha dato un certo successo): l’artista ha attraversato il periodo dei lavori cosiddetti “Forme della terra”, formazioni botrioidali celate nelle pieghe della terra, memorie geologiche, frammenti della storia del mondo, riprodotte nel bronzo e impreziosite dalle patine.

Sono seguite le “Forme idea” nell’ambito di una ricerca che ha portato l’artista verso una produzione scultorea caratterizzata dalle linee pure, svettanti e dalla semplicità per così dire mistica, quasi austera.

L’incontro con l’Iperavanguardia prima e con il Tranvisionismo poi, movimenti artistici-culturali nati a Piacenza che, come voci distinte e significative, si sono fatte strada nella vita artistica alla fine del secolo scorso, ha rappresentato per lo scultore l’humus per una nuova germinazione, l’ambito dello sbocciare e dello svilupparsi di un ulteriore filone, quello di coronare e dare corpo alle sue fantasie di bambino, all’amore per la natura e all’interesse per i sassi.

Nell’auscultare il linguaggio segreto delle cose più semplici, le pietre, diventate per lui oggetti di meditazione poetica, si propone di trasfonderne la “memoria” nel turgore del bronzo delle sue “Forme silenti”, sculture arcanamente evocative, alle quali la creatività e la forza interiore dello scultore riescono a trasmettere una vitalità unica.

IL PREMIO A GIANNI FINETTI

Gianni nasce a Piacenza nel 1942, sesto di otto figli, in una famiglia di agricoltori. Volonteroso negli studi, chiaramente portato alle scienze umanistiche, consegue, senza difficoltà, la laurea in psicologia e sociologia a Roma. Terminati gli studi ritorna a Piacenza ed esercita le prime esperienze professionali alla Scuola speciale “Maria Bisi” dove venivano scolarizzati i bambini portatori di disabilità, soprattutto psichiche. Rimane segnato da questa esperienza ed è sempre più convinto che i ragazzi “diversamente abili” debbano essere inseriti nei percorsi formativi riservati agli altri bambini perché la loro disabilità non alimenti l’emarginazione a cui sembrano inesorabilmente destinati.

Nel frattempo nascono i Consorzi Socio Sanitari contemplati dalla riforma sanitaria nazionale che sta attuandosi nel Paese ed uno dei primi problemi che viene affrontato è proprio quello che sta a cuore a Gianni: l’apertura delle Scuole normali anche ai disabili, pur in sezioni speciali e con docenti all’uopo preparati. La Scuola Bisi viene soppressa. Gianni viene incaricato dal Consorzio Socio Sanitario di formare gli insegnanti al nuovo ruolo e ad esprimere osservazioni sui bambini oggetto di segnalazioni. In questo ruolo Gianni capisce ancora di più che la sua vocazione è consona a questa professione, anche perché, proprio a Fiorenzuola nell’esercitare la professione di psicologo, all’Asilo Nido conosce l’insegnante Giuliana e un bimbo di un anno, Stefano, con la sindrome di Down. Stefano viene ricoverato in ospedale e, non avendo nessuno che lo accudisce Gianni e Giuliana si alternano ad assisterlo. La sintonia professionale con Giuliana ben presto si trasforma in un sentimento legato da un filo sottile che è l’amore verso Stefano, via via sempre più figlio che allievo, più amato che accudito. Gianni continua con competenza e passione la professione di psicologo nell’ambito dell’AUSL curando soprattutto il disagio scolastico e i disturbi di apprendimento nei ragazzi. Gianni e Giuliana si uniscono in matrimonio e la prima cosa che fanno è quella di chiedere l’affido di Stefano. 

Gianni è un pragmatico, pensa a una cosa e la vede già realizzata, è promotore, con altri dell’iniziativa “Dopo di noi” che si pone il problema dei disabili quando i loro familiari verranno a mancare. Il passo è breve, Gianni, nel frattempo pensionato, nel 2008 entra a pieno titolo nell’Associazione A.FA.DI., primo passo per far che “Dopo di noi” inizi un’attività concreta, consistente nell’offrire qualche ora di ristoro alle famiglie che hanno figli disabili. A.FA.DI. affitta un appartamento in via san Francesco ove ospita una ventina di ragazzi per un intrattenimento impegnato in giochi o altre attività mentre i familiari, coi ragazzi al sicuro, possono svolgere attività di solito impedite. Gianni è soddisfatto ma il suo entusiasmo, la sua fiducia, il suo pragmatismo lo portano a bussare molte porte, a chiedere collaborazione a tante persone, a esplorare fra le leggi regionali al fine di ottenere contributi, perché prima di tutto vuole che A.FA.DI. diventi “Un tetto sul cuore”, in centro della Città, perché sia visibile, perché si capisca che i “diversamente abili” sono persone degne, creature con il diritto alla vita, con un cuore così grande da meritare affetto, stima e un pieno ruolo sociale. A.FA.DI., nel 2018, si trasferisce, grazie a un comodato con la Parrocchia, nell’ex convento San Francesco grazie ai contributi adeguatamente ristrutturato nella parte necessaria, con il risultato di una sede di 40 posti, alcuni dei quali residenziali. 

Stefano se lo porta via il Covid nel 2020, ma lascia un seme ben piantato nel cuore di Gianni e di Giuliana. E la passione per la condivisione e l’accompagnamento delle situazioni di fragilità, delle problematiche che riguardano persone e familiari. E’ un grande amore per la vita, in particolare per quella un po’ diversa che solo apparentemente non è uguale a quella delle altre persone ma, in realtà è fatta di cuore, di sentimenti e di una grande voglia di serena normalità. 

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