La fotografa di Lugagnano e il volto ritrovato degli omosessuali al confino «Per non dimenticare»
Luana Rigolli è l’autrice del progetto “L’isola degli arrusi, 1939”, pubblicato sul National Geographic Olanda e in mostra a Cefalù: «Assurdo sia accaduto solo 80 anni fa, importante parlarne ancora oggi»
Mesi di ricerche e settimane trascorse nell’Archivio centrale di stato a rifotografare - una ad una - le schede e i volti, in bianco e nero, dei 45 omosessuali catanesi accusati di “pederastia passiva”, arrestati ed esiliati nell’isola di San Domino, alle Tremiti. «Per non dimenticare».
Luana Rigolli, 38enne nata e cresciuta a Lugagnano Val d’Arda, in provincia di Piacenza, è l’autrice de “L’isola degli arrusi, 1939”, reportage già in mostra a Catania e ora a Cefalù, pubblicato anche dal National Geographic Olanda. Una laurea in ingegneria civile conseguita all’università di Parma e una grande passione per l’obiettivo, prima coltivata da Luana solo part-time - «nel 2013 l’azienda dove lavoravo come ingegnere è entrata in crisi e ho iniziato a fare da assistente ad un fotografo di Reggio-Emilia» - e da alcuni anni divenuta l’unica professione. Nel suo portfolio anche una serie di scatti dedicati alle vicine Terme Berzieri di Salsomaggiore - «abitando a Lugagnano ho sempre frequentato molto anche quelle zone» - da cui sono nate collaborazioni con l'associazione Around Thermae, il museo Mumab e il Festival Spiegamelo. Dopo un passaggio a Milano, la fotografa si è trasferita nella capitale, dove è ripartita da zero con la propria attività - tra incarichi commerciali, festival, concorsi - e trovato le risorse per comporre questo progetto personale, dedicato ad un particolare paragrafo di storia italiana, fino a poco tempo fa a lei sconosciuto.
«Sono affascinata dall’architettura del Ventennio - racconta - e nell’approfondire questo interesse l’ho ampliato anche ad altri temi, imbattendomi nel libro “La città e l’isola: omossessuali al confino nell’Italia fascista” scritto da Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio. Non conoscevo quasi nulla di questo argomento, mi ha colpita e da lì è iniziata la voglia di documentarmi». La sintesi - a parole - di quanto riportato in luce dal desiderio di conoscere fatti, luoghi e protagonisti della vicenda, è trascritta nella presentazione del progetto: «Gli omosessuali di Catania venivano chiamati in città arrusi, o jarrusi. Negli anni Trenta la parola arruso stava ad indicare l'uomo omosessuale che in genere nel rapporto assumeva il ruolo passivo. E solo i passivi vennero arrestati, mentre chi nei rapporti omosessuali assumeva il ruolo attivo non subì alcuna persecuzione in quanto veniva considerato un maschio. Nell'isola di San Domino gli arrusi, catanesi e non, rimasero confinati fino al 7 giugno 1940, quando partirono per far ritorno nelle loro città: con l'inizio della guerra le strutture di San Domino sarebbero dovute servire al regime per il confino di oppositori politici, considerati più pericolosi di questi omosessuali che videro la loro pena commutata in un biennio di ammonizione». Un quadro costruito prima dell’arrivo del Coronavirus, seguendo le tracce contenute nel saggio di Goretti e Giartosio, fino a risalire alle iniziali degli arrestati e ai relativi dossier custoditi nell’Archivio centrale di Roma - spiega Luana - contenenti i documenti, le suppliche inviate ai famigliari per chiedere la grazia e le visite mediche che ne attestassero la colpevolezza e giustificassero l’accusa di reati contro il buon costume e l'integrità della razza. Poi le immagini, a partire dai ritratti dei confinati mutuati dagli scatti del 1939 e le mura oggi ancora presenti: «A Catania ho fotografato i posti frequentati dagli “arrusi”, dove s’incontravano prima del confino, mentre alle Tremiti le strutture che ospitavano i loro alloggi, poi destinate ad altro». A completare l’attuale esposizione - inserita nel percorso artistico “Vite al confino” - anche degli oggetti riconducibili a quanto avvenuto.
«Penso sia un tema ancora attuale, di cui è importante parlare anche ora, in un momento in cui tanto di discute del Ddl Zan» risponde l’autrice alla domanda sul perché di questo lavoro. «Sembra assurdo pensare che cose simili siano accadute in Italia solo 80 anni fa e ricordarle, preservarne la memoria, può essere utile ad evitare che possano ricapitare». Il reportage - per ora inedito in Italia - è apparso nell’edizione di luglio 2021 del National Geographic Olanda e Luana spera che possa trovare spazio anche in altre testate o eventi, così come di poter inaugurare nuovi progetti personali, nonostante la “crisi” indotta dall’emergenza sanitaria anche a questo settore. «Se non avessi qualche risparmio da parte e il sostegno di mio marito, non ce la farei; a marzo 2020 tutte le commissioni raccolte sono state annullate a causa della pandemia, ripartire è stato un po' come trasferirsi un’altra volta, ma vedo però che le cose stanno migliorando. Questo mestiere può ancora offrire delle opportunità e voglio andare avanti – aggiunge la fotografa piacentina – anche perché è bellissimo».