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Nell'abbandonata scuola di Baselicaduce si è avverato un miracolo che solo la cultura può rendere possibile

Una vecchia scuola di una sperduta frazione fiorenzuolana, un gruppo di persone intenzionate a non chiudere la struttura. Basta poco a trasformare un angolo della nostra pianura, caratterizzata da una rada nebbiolina, che attenua ma non nasconde la campagna tutt’intorno, in un palcoscenico

Una vecchia scuola di una sperduta frazione fiorenzuolana, un gruppo di persone intenzionate a non chiudere la struttura. Basta poco a trasformare un angolo della nostra pianura, caratterizzata da una rada nebbiolina, che attenua ma non nasconde la campagna tutt’intorno, in un palcoscenico.

Sto parlando di Baselicaduce, della vecchia scuola e di un teatro. Sconosciuto fino a stasera, appena scoperto, mi ha fatto innamorare, del posto e dell’attività culturale.  L’occasione me l’ha data una serata teatrale: “Terra di Rosa” con la rappresentazione di “U cuntu ca vi cuntu”. Una rappresentazione che è un monologo, un monologo di Tiziana Vaccaro. La storia è semplice e complessa, la vita di Rosa Balistreri.: una vita semplice e complicata. Una popolana di Licata che ha dato voce ad un popolo di esclusi ed oppressi, forse proprio perché anche lei era una donna esclusa ed oppressa. Esclusa perché povera, oppressa perché donna. Classe 1927 quella di Rosa, classe 1984 quella di Tiziana. Quasi 60 anni separano la cantante dall’attrice. Ma non si direbbe, tanta la bravura di Tiziana, che sembra averla veramente conosciuta e frequentata.  Così come molti l’hanno conosciuta, anche solo occasionalmente come me.

Un pugno nello stomaco lo spettacolo che mi ha fatto rivivere parte della ma gioventù. I primi anni settanta. Un momento affascinante e doloroso, come per la maggior parte della gioventù. Un periodo in cui tutto si mischiava, politica, speranze, amori e delusioni. I poeti hanno la capacità di farci rivivere momenti significativi della nostra vita, così come le canzoni. Ed i poeti hanno scritto canzoni, così come tanti cantanti hanno recitato poesie. E poesie cantò con voce straziante, roca, profonda la nostra Rosa Balistreri. Come non ricordare le poesie scritte per lei da Ignazio Buttitta? E le urlò al mondo le sue canzoni, sentimenti di un popolo sottomesso dalla storia ma mai vinto.

Girò il mondo, l’Europa e Lamerica, così tutto unito come lo scrivevano i nostri emigranti; era l’America  la terra promessa di tanta povera gente, e lì andò a fare i suoi recital la Nostra cantante. Come Edith Piaf cantò il dolore lacerante dell’abbandono e dell’amore, in una Parigi malfamata e raffinata, così Rosa Balistreri cantò la miseria della sua infanzia e della sua condizione di donna povera.  Il padre di Rosa non voleva cantasse: “solo le buttane cantano” e giù botte! Il padre di Edith invece la faceva cantare per le strade, traendone guadagno. La condizione femminile era di sudditanza al padre, ma non solo, era sottomissione all’uomo.  E di uomini che hanno approfittato del bisogno di lavoro delle donne, ce ne sono stati: la vita di queste due cantanti è stata caratterizzata da una continua negativa presenza maschile. Presenze che le hanno portate sull’orlo del suicidio. Sì, si va a vedere uno spettacolo teatrale e ci si ritrova immersi in un mondo di dolore e di sofferenza, quello dei poveri e delle donne, condizione quella femminile, che ha sempre storicamente raddoppiato il dolore e la sofferenza della povertà.

Ma il mondo di Rosa non è rassegnazione, emerge comunque una voglia di riscatto, la caparbietà di affermarsi come classe sociale e come donna. Firenze è stata una tappa importante della sua vita, il lavoro, l’inserimento nel mondo artistico e musicale. Grazie a Manfredi, al pittore Manfredi Lombardi, che la fece conoscere ad intellettuali come Ignazio Buttitta,  Dario Fo ed al cantastorie Cicciu Busacca, suo conterraneo che con Dario Fo collaborava. Oltre a case discografiche che le permisero di incidere le sue canzoni e di farla conoscere al grande pubblico.

Manfredi fu un suo grande amore, un amore che la portò comunque al tentato suicidio, per il tradimento, dopo dodici anni, con una sua amica (più giovane, più bella).   Tornata in Sicilia, nei primi anni settanta Rosa canta nelle piazze, così come Buttitta recita le sue poesie, nei festival dell’Unità. E fu in quel periodo che la conobbi, a casa di Eugenio Napoleone Messana, già sindaco, poeta e storico del paese. Il paese era Racalmuto. Estrema periferia, allora come adesso, di uno Stato che si identificava con la capitale e le grandi città. Alla Fondazione Leonardo Sciascia, l’anno scorso, fece un bel discorso Moni Ovadia, rivolto agli studenti: è dalla periferia che sono venuti e vengono le idee nuove, nascono politici e letterati che possono cambiare l’Italia. Non dalla massificazione delle are metropolitane di questo nostro Paese. E, storicamente aveva ragione, così è stato finora e probabilmente così sarà. Tra l’altro, non è stato così ieri sera?

In una sperduta ed abbandonata scuola, di una frazione della nostra provincia, si è avverato un miracolo, un miracolo che solo la cultura può rendere possibile. Uno spettacolo della rassegna di teatro contemporaneo “Base Off” grazie ad una brava e giovane attrice, Tiziana Vaccaro, ha rievocato la vita di una cantante folk. Gli occhi, scuri e profondi, dell’attrice mi hanno fatto rivedere quelli di Rosa, le sue espressioni e gesti mi hanno fatto rivivere un periodo della mia vita, della mia storia, della storia della Sicilia e dell’Italia intera. Sì, perché se nella prima metà del novecento c’era miseria al Sud, al Nord non si nuotava nell’abbondanza, se si emigrava dalla Sicilia, si emigrava anche dal Veneto e dai nostri Appennini. Si dormiva, nelle cascine della nostra pianura nei sottotetti, guardando le stelle, con cappotti umidi e freddi a fare da coperte. E la vita delle donne non era facile, era una vita di sacrificio e di rinunce, spesso di abusi e di soprusi. L’associazione di promozione sociale Matassa, ha dato nuova vita ad una scuola abbandonata, è un esempio di come l’istruzione si riappropria dei luoghi che le sono assegnati (come in natura, la vegetazione).

Aveva ragione Moni Ovadia, oggi la cultura si trova e si vive in periferia, Baselicaduce ne è stata la dimostrazione, in una comune serata invernale, ce ne fosse stato di bisogno!

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