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A Bobbio una mostra dedicata al giornalista Gino Macellari che ha raccontato per decenni la Valtrebbia

Uomo sempre con il sorriso sulle labbra, la mazzetta dei giornali sotto il braccio, la macchina fotografica al collo e la biro in mano, pronto a prendere appunti. Per anni ha fatto il corrispondente del quotidiano di Piacenza. Attento, imparziale nel raccontare i fatti dell'intera Valtrebbia

Non eravamo ai tempi in cui " Berta filava", ma negli anni settanta del secolo scorso. Quando in una famiglia capitava un evento importante, tutti vi partecipavano vestiti con gli abiti migliori. Sicuramente quando il 2 febbraio del 1918 il signor Angelo Macellari si presentò al signor Attilio Bertacchi Ufficiale dell’Anagrafe del Comune per registrare la nascita di un figlio, sarà stato “tirato a lucido” e felice del nuovo arrivato, per di più maschio. La nascita di un bambino era certamente una circostanza da vivere vestiti dalla festa, come lo erano altri momenti di vita quali il battesimo, la Prima Comunione, la Cresima, la Leva, il Matrimonio ed anche la triste circostanza della morte di un membro della famiglia.

Sui registri dell’Anagrafe al nuovo arrivato fu imposto il nome di Luigi. A quel tempo andava molto di moda chiamare i maschi come San Luigi Gonzaga. Dal 1948, la mia famiglia ha sempre abitato in via Garibaldi al n° 35, oggi Contrada di Porta Nuova, proprio di fronte al civico 40, un imponente palazzo signorile con un ingresso che permetteva il passaggio delle carrozze che accedevano a un grande giardino interno. Qui era nato Luigi Macellari sempre e solo chiamato e conosciuto come “Gino, Gino Miga”.  Dalle finestre le nostre famiglie spesso incrociavano i loro sguardi.

La famiglia di Gino, oltre al padre Angelo e alla mamma Palmira Calza era composta dal fratello Tino e da due sorelle Maria Luisa e Rosetta. Il "Lenzin", cosi era soprannominato il padre, ogni giorno lo vedevo davanti all'immenso portone del passo carraio del signorile palazzo sempre vestito in modo impeccabile. Pur nella diversità di età la mia esistenza è stata vissuta in parallelo con quella di Gino Macellari, personaggio di spessore per la cultura per il modo di fare, per la sua allegria e spiritosaggine. Maestro elementare, insegnava anche a parlare l'inglese ed a fare capire a filosofia. Andavo a lezione da lui nel suo studio sempre in un’apparente confusione; libri da ogni parte e tante cose sulla scrivania. Era solito chiamarmi "Pierlu". Gino mi è stato prima insegnante, poi amico.

Uomo sempre con il sorriso sulle labbra, la mazzetta dei giornali sotto il braccio, la macchina fotografica al collo e la biro in mano, pronto a prendere appunti; per anni ​ha fatto il ​corrispondente del quotidiano di Piacenza; attento, imparziale nel raccontare i fatti della intera Alta Val Trebbia. Con la sua Renault bianca compariva ovunque, era sempre sulla notizia. Capitava che arrivasse al bar dove eravamo noi giovani e scherzando chiedeva "non c'è mica qualche stupido che va a Piacenza?", perché doveva affidargli un pezzo da portare in redazione in via Benedettine e solo con un estemporaneo aiuto sarebbe arrivato in tempo per entrare nel giornale del giorno dopo. I computer, infatti, non si sapeva ancora cosa fossero; c'erano veri giornalisti che i pezzi prima li meditavano bene e poi li scrivevano a macchina, a volte anche solo su carta.

Il suo regno era in "Co del Ponte"; la aveva un podere, dove passava quanto più tempo poteva. Amava lavorare le viti e far il vino da un vigneto abbarbicato sulla roccia, aveva fatto dei terrazzamenti a mo’ di Cinque Terre. Io l'ho visto abbarbicato su quella riva. Inimmaginabile come potesse starci in piedi e lavorarvi con la macchina da "dare l'acqua” sulla schiena. Tante volte l'ho incontrato sul far della sera mentre tornava a casa con la canottiera grondante sudore, quasi stravolto, “Ciao vado a casa perché sono più morto che  vivo”.

Sono passati un po’ di anni dal 20 marzo 2012 quando a 94 anni se n’è andato; ho avuto il piacere di visitare lo studio di Gino grazie alla moglie Iside; ogni cosa mi ha fatto tornare alla mente il suo ricordo: le pareti, piene di scatoloni tutti etichettati ed anche la sua scrivania, dove il suo disordine era uguale a quello di quando andavo a lezione.

Il gesto della famiglia di Gino, la signora Iside e i figli Giorgio e Tullio di donare al Comune l'archivio fotografico è stato sicuramente un atto d'amore verso Bobbio dove in una sala del chiostro dell'Abbazia di San Colombano, lo scorso agosto si è aperto to un museo fotografico con l'esposizione permanente delle foto più belle dedicate a Bobbio e alla Valtrebbia, sempre scattate da Gino. Macellari. Resta comunque sempre vero che alle persone meritevoli e per bene i riconoscimenti avvengono quasi sempre "post mortem", avendo magari subito in vita anche qualche pesante angheria e ingiustizia.

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