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Domenica, 28 Aprile 2024
Commissione territorio

In regione si prelevano 2,2 miliardi di metri cubi di acqua, ma consumo di 1,5: «Obiettivo risparmio idrico»

La vicepresidente dell'Emilia-Romagna Priolo presenta il piano strategico di tutela: «Tutto dovrà essere finalizzato nel mantenimento o nel miglioramento sia della quantità sia della buona qualità delle acque ». Le linee d'azione il dibattito

La Regione Emilia-Romagna ha presentato gli obiettivi e le scelte strategiche generali per l'avvio del Piano di Tutela delle Acque (PTA 2030). L'illustrazione, da parte della vicepresidente e assessore all'Ambiente Irene Priolo, è avvenuta in commissione Territorio, presieduta da Stefano Caliandro.

«Sono quattro gli obiettivi strategici - precisa la nota stampa - dieci linee di azione e 50 interventi da mettere in campo per tutelare l’acqua, l’oro bianco che diventerà sempre più importante in futuro». «Tutto dovrà essere finalizzato, ha scandito l’assessora Priolo «nel mantenimento o nel miglioramento sia della quantità sia della buona qualità delle acque. In Emilia-Romagna il piano riguarda 454 corpi idrici come i fiumi, 7 corpi idrici di transizione, 2 marino costieri, 5 lacustri e 135 sotterranei. Lo stato ecologico è buono. I corpi idrici sotterranei sono all'88%».

Sul buono stato delle acque incidono alterazione morfologica, regime idrologico e inquinamento. «Una delle principali alterazioni morfologiche - afferma Priolo - deriva dalla canalizzazione, sempre maggiore. Il regime idrologico attesta l'acqua che si usa nel territorio. Si pensa che i fiumi debbano essere ricchi di acqua, ma sono importanti anche lo stato di magra e quello di piena. Oggi si parla di deflusso ecologico e non più minimo vitale. Per l'inquinamento, sia di superficie sia sotterraneo, si consideri che in profondità ci sono nitrati provenienti da reflui e fertilizzanti azotati e questi ultimi vanno diversificati».

«In regione – si legge nella nota stampa dell’ente - si prelevano 1,5 miliardi di metri cubi di acque, di cui 870 milioni per uso irriguo, 350 per quello civile e 180 per l'uso industriale. Degli 870, la parte principale proviene da corpi superficiali (fiumi), basti pensare che Po si prelevano 1,1 miliardi di metri cubi. Per l'uso idropotabile si attinge per lo più dalla falda "anche se il prelievo acqua dalla superficie è aumentato: nel 1975 si prendeva dal Po il 35%, oggi il 50%". I due terzi degli usi civili proviene da acque sotterranee. Si preleva più di quanto di consuma: 2,2 miliardi di metri cubi contro un consumo di 1,5. E anche lo stato marino costiero è buono. I corpi lacustri sono 7, tutti laghi artificiali a uso plurimo (quelli di Mignano e Molato, nel piacentino, sono i più contaminati, ma l'acqua serve solo per uso irriguo).

Secondo Emiliano Occhi (Lega) «va superato l'insuccesso del precedente Piano del 2005. Il nuovo integra diversi Piani e il dissesto idrogeologico e dovrà interagire con le infrastrutture che faremo. Vanno dettagliate meglio le azioni per la resilienza. Ok a colture meno idroesigenti, ma attenzione ai rapporti con il mondo agricolo e le produzioni di eccellenza. Si parla di rinaturalizzare alcuni tratti di pianura, ma questi antropizzati anche a causa della difesa idraulica. Sì a più alberi, ma attenzione alla difesa idraulica. Per mantenere la sicurezza idraulica, si torna agli invasi e a quelli grandi come la diga di Vetto. Il Piano acque ha alcune incongruenze: prima si dice di rinaturare i bassi corsi acqua, dall'altra parte si parla delle acque sotterrane per uso agricolo. Le stime del fabbisogno parlano di un invaso di 35-40 milioni di metri cubi di acqua, ma se si tolgono le acque sotterranee ne vano aggiunti altri 24 milioni. E se si vuole che l'invaso trattenga anche le acque delle alluvioni ne serve uno più grande. Infine, vanno finanziati i piccoli acquedotti rurali dei privati per favorire l'interconnessione e l'efficientamento dei sistemi idrici locali».

Michele Facci (Lega) ha affermato che «il Piano, quando parla di 5 invasi, non menziona quello di Pavana perché è in provincia di Pistoia, anche se ha impatto importante sul nostro territorio. Il Piano è ambizioso. Ci sono molte risorse, provenienti anche dal ministero, per il Po e quindi destinate anche al trasporto fluviale che va considerato».

Andrea Costa (Pd) ha rilevato che «in Emilia-Romagna sono stati già fatti passi avanti. Tre i percorsi da completare: capacità di risparmiare acqua con il riuso, maggior qualità, miglioramento dello stoccaggio. Dal 2018 a oggi, degli interventi previsti ne è stato realizzato il 70% con 700 milioni di euro per aumentare la capacità irrigua (più 65 milioni di metri cubi). Abbiamo cominciato anni fa. In agricoltura vanno finanziati progetti che a parità di coltivazione richiedano meno acqua. Ad esempio, in Val d'Enza è stato finanziato un progetto smart, per cui a parità di produzione si è avuto un risparmio di acqua del 15-20%. Sula diga di Vetto, serve uno studio sulla portata per gli usi plurimi e non va politicizzata. Va considerata la minore piovosità. Le grandi dighe nel piacentino non sono piene al 100%. Preoccupano, infine, i finanziamenti, perché ad esempio il Piano di prevenzione del rischio chiedeva per il Po interventi per 1,9 miliardi, ma ne sono stati finanziati solo 19,8 milioni di euro».

Daniele Marchetti (Lega) ha ricordato che «tra gli obiettivi del Piano c'è quello di superare gli insuccessi del passato. Nella struttura tecnica cosa non ha funzionato? Se Piano si dovrà integrare con altri Piani strategici, quale regimazione delle acque in Appennino? Sono previsti interventi?».

Marco Mastacchi (Rete Civica) ha sottolineato come «da una parte si dice che piove poco, dall'altra si calcola, per un invaso, la quantità di acqua che servirebbe solo per la laminazione. Un docente dell’università ha detto che si tratta di una quantità bassa per l'uso plurimo, servirebbe un invaso di 100 milioni di metri cubi di acqua o più grande. C'è uno studio di fattibilità che costa 3,2 milioni di euro e questo fa pensare. Non vorrei che fosse realizzato per dimostrare una tesi precostituita e cioè una diga più piccola».

Priolo ha replicato che «va bene discutere della diga di Vetto, ma ancora non c'è. Lo studio fattibilità è del Ministero delle Infrastrutture. Non si farà un invaso se non si realizzerà la buona qualità delle acque. Una prima valutazione economica di Vetto era di 350 milioni di euro, ma oggi è salita ad almeno 500». Dopo aver ricordato che i finanziamenti a tariffa «ci hanno permesso di avere risultati buoni» sarebbero, però, necessarie «premialità per accedere al Pnrr. Se ci sono degli indicatori, si usino. Se Ispra dice che la nostra regione è la più fragile per alluvioni, non si possono dare finanziamenti basandosi sui dati della popolazione, perché non serve. Le risorse non sono ben distribuite. Questa è tra le regioni più sviluppate d'Italia e c'è un uso antropico forte del territorio. Il progetto di rinaturazione del Po prevede la revisione delle fasce ripariali e lo studio di riapertura di alcune lanche».

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