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Un po' di storia

Come funzionava l’appalto dei pedaggi del ponte sul Po nel Medioevo

Qualche categoria e chi svolgeva determinate attività erano esentati

Era una prassi del Medioevo: gestire la cosa pubblica creava noie, problemi, difficoltà con il personale e quindi, per non saper né leggere né scrivere, appaltavano.

E così, in un colpo solo, il Referendario ducale, che è un ufficiale nominato direttamente dal Duca di Milano però pagato dal Comune di Piacenza, fa l’appalto di tre fondamentali beni pubblici. Siamo nel 1380 e in questi “pacta et conventiones” possiamo veramente ritrovare anche il vivere di quei giorni, ed abbiamo estratto e tradotto dal latino quelle regole più curiose facendone una scelta infatti il documento è veramente lungo e strabordante di dati storici.

Lo abbiamo dedotto da un volume dell’Archivio Storico Lombardo del 1927 che contiene il testo latino di questa pergamena, dello storico piacentino Emilio Nasalli Rocca. Si “dà in affitto” in blocco: il pedaggio delle Porte della città di Piacenza, quello per il ponte sul Po con il transito via nave ed i diritti per il canale Fodesta (situato dove oggi è il quartire di Sant’Agnese).

Chi affitterà tutto questo, “emptores eiusque socii” (compratore e tutti i soci), potrà con pieno diritto riscuotere per “totum dictum annum” gabelle e pedaggi per “pontis Padi et atque traversi et longe flumine Padi et Fuxuste” ed anche per “omnium portarum civitatis Placentie”.

Si tassa tutto e finanche: “de quolibet homine seu femina forasteriis” (qualsiasi uomo o donna forestieri) che passino sul ponte del Po (a Porta Borghetto fatto di barconi) e leggiamo che paga pure l’uomo estraneo che passa a cavallo “homine forasterio equestre”.

Ma non la passano liscia neanche i “forestierii” che transitano su nave via Po, infatti chi va o viene “per navem Papiam vel Cremonam”, per la sosta di un giorno pagherà otto denari “placentini”.

C’è però un’eccezione importante, “excepti nautis et trahentibus navem ad cordam” cioè i marinai (nautis) e gli uomini che trascinano la barca dalla riva, controcorrente con la corda dall'alzaia, che era sempre mantenuta pulita da arbusti (usanza fino agli anni ’60 con le magane da trasporto via acqua di Po).

E sono esentati da qualsiasi gabella “peregrinis euntibus pedestribus vel per navem”: i pellegrini sia a piedi che su nave, un segno di rispetto per i tantissimi “romei”, un bel segnale da parte delle autorità. Testimonia che Piacenza è “terra Francigena” proprio da secoli, un riguardo concreto per questi viaggiatori diretti verso i luoghi santi (ad limina).

C’è però rispetto anche per chi lavorava e si guadagnava la pagnotta con fatica: non paga dazio di nessun genere sul Po “aliquas personas a boscho portabuntur super spalis” il classico “fassis lignorum... fassis feni seu herbe... ne de fassi spicarum” (chiunque che dal bosco torna con fasci di legna, fieno e erba sulle spalle, oppure con fasci di spighe).

Addirittura sono esenti e citati “spigolatores seu spigolatrices”, anche qui rispetto per la povera gente, che viveva di spigolature dei campi. In fin dei conti un medioevo piacentino con aspetti umani sorprendenti, sui quali bisognerebbe metter più attenzione storica.

Per chi lavora la terra c’è molta considerazione, per questo ad esempio non pagherà dazio il contadino che conduce “ultra Padum” via zatterone o passando sul ponte “aliquas bestias... causa pasculandi... fenum comedendi... causa laborandi aliquas terras...”.

Si specifica che colui che ha già pagato la gabella per il ponte sul Po non pagherà per entrare in Porta Fodesta (non solvatur gabela introytus porte Fuxuste) una delle Porte cittadine.

Notevole la “tassa annuale” di cinque soldi piacentini per portarsi a casa la legna per uso proprio, si paga appunto “pro quolibet focholare” (un focolare corrispondeva ad una famiglia) “pro lignis... pro usu habitancium in eo” e non pagano neppure i “presbiter” (sacerdoti) e  neanche “hospitale Sancte Agnetis”.

Ovviamente ci sono tante belle gabelle da pagarsi per uso Po, per uso canale della Fodesta e per il passaggio in entrata od uscita dalle antiche Porte cittadine, tutte ben trascritte nero su bianco, ma noi continuiamo a leggere tra le “esenzioni” assai curiose.

Per farla breve si fa ovviamente chiarezza che da nessuna parte pagano gabella “per dictum pontes Padi”, le persone importanti: qualsiasi nunzio, ufficiale del Duca di Milano e tutti i suoi “stipendiarii” (militari e mercenari) sia a piedi che a cavallo.

Senza ombra di dubbio passa come e quando vuole, senza balzello, chi viaggia  “habentes literas liberi transitus”, tra essi si citano gli inviati del “domino Imperatore... domino Rege Franchorum... dominis seu Comunitatibus Ytalie... officialibus maioribus Ecclesie...” e quelli mandati dal “sanctissimo domino Papa” ed altri uomini di rango.

La nostra città di Piacenza era uno snodo "viario" importante, da secoli, con passaggi considerevoli anche di personalità di quei tempi, non solo "preregrinis e romei".

Si specifica poi che non è possibile “discaregare seu discaregari vel removeri faceri, ab aliqua navi” nessuna merce se prima non si è pagata “gabella seu pedagium”. E se le merci son state già tolte, e messe in deposito in qualche “domo” ebbene non potranno esser da lì rimosse ugualmente fino al pagamento, e chi lo fa “incurrat arbitrio Iudicis gabelarum”. Dato il grande traffico navale, non tutti erano sotto l’occhio vigile degli ufficiali daziari, ma si rimediava con altre leggi di regolamento.

Chi invece “defraudaverit dictam gabella” con “dollo vel culpa” (relativa a tutti i casi d’appalto previsti) ebbene dovrà pagare “in quadruplum”, cioè quattro volte tanto.

Tra le clausole finali, si fa presente che i gabellatore e gli ufficiali di tutti questi luoghi di riscossione, cioè sul Ponte di Po, per il traverso e navigazione del fiume, per il canale Fodesta e le Porte della città, potranno liberamente “portare arma” ogni giorno e con la quale farsi rispettare, con “licentiam” del Podestà di Piacenza.

Anche nel pieno medioevo, la vita scorreva tra pastoie burocratiche, appalti, leggi e regolamenti locali. Ovviamente tutto questo portava denari nelle casse locali, ed in quelle ducali milanesi e così, come recita il proverbio antico e saggio “la medicina la paga sempre il malato”.

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