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Lo studio

Il fungo "Trichoderma spp" aiuta le piante a resistere a siccità e alte temperature

Un fungo contro il cambiamento climatico (e i suoi effetti in agricoltura): è quanto emerge da una ricerca coordinata dalla facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica

Si chiama Trichoderma spp ed è un’arma potente contro gli effetti del cambiamento climatico sulle produzioni agricole. Emerge da una ricerca coordinata dalla facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, sede di Piacenza e Cremona, e svolta in collaborazione con un centro di ricerca tedesco, e appena pubblicata sulla rivista internazionale Frontiers in Plant Science.

«Questo fungo rientra nella categoria dei biostimolanti, sostanze naturali o microorganismi, diversi dai fertilizzanti, che migliorano la tolleranza agli stress, l’efficienza d’uso dei nutrienti e la qualità, senza danneggiare l’ambiente» spiega Luigi Lucini, professore di Biochimica, nell’introdurre questa classe di prodotti recentemente regolamentata a livello europeo, per cui la facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali è un punto di riferimento nazionale. «Queste sostanze possono essere classificate in base alla loro origine: possono essere, ad esempio, costituenti naturali della sostanza organica del suolo, estratti d’alga, idrolizzati proteici, piuttosto che microrganismi e funghi benefici. A quest’ultima categoria appartiene il Trichoderma spp., un fungo che interagisce positivamente con la pianta e promuoverne la crescita, lo sviluppo delle radici, l’assorbimento dei nutrienti e la resistenza agli stress ambientali».

«In agricoltura, le temperature più elevate e la riduzione delle precipitazioni derivanti dal cambiamento climatico hanno modificato le stagioni di crescita, ridotto la resa, la disponibilità di acqua dolce e la biodiversità. La desertificazione aumenterà dell’8% entro il 2050 causando riduzione della produttività dell’agricoltura e dell’allevamento, modificando la composizione delle specie di piante, riducendo la diversità biologica e causando un accumulo di sale nel suolo. Un’emergenza su cui l’Università Cattolica è impegnata in prima linea con diverse linee di attività di ricerca per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico in agricoltura».

Tra cui, appunto, la ricerca sui biostimolanti e sul Trichoderma spp: «Quando questo fungo viene applicato alle foglie delle colture agrarie, è in grado di stimolare la pianta a produrre determinate molecole che la aiutano a resistere a siccità ed alte temperature» spiega il professor Luigi Lucini, che ha coordinato le ricerche. «La pianta percepisce la presenza del fungo, ritenendosi infettata da un patogeno (anche se in realtà è un microorganismo benefico), e di conseguenza attiva diversi sistemi di difesa che alla fine portano ad una maggior resistenza agli stress, inclusi quelli legati al cambiamento climatico».

Pur con tutte le differenze del caso, è possibile fare un parallelismo con quanto avviene nell’intestino quando assumiamo dei probiotici.

La ricerca, coordinata dalla facoltà di scienze agrarie alimentari e ambientali dell'Università Cattolica e svolta in collaborazione con il centro di ricerca tedesco Leibniz Center for Agricultural Landscape Research-Zalf, Muncheberg, Germany, ha coinvolto anche una giovane ricercatrice piacentina, Biancamaria Senizza, che ha svolto parte delle attività a Berlino, presso l’ente tedesco coinvolto nello studio. I risultati evidenziano come l’utilizzo di biostimolanti potrebbe essere un modo efficace ed ecologico per una produzione di cibo più sostenibile, in linea con le direttive imposte dalla Comunità Europea attraverso il Green Deal.

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