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Parla l'imprenditore di Farini / Farini

L’impresa di Farini con più lavoratori è quella funebre: «Perché in altre montagne le aziende riescono a farcela?»

Dieci gli addetti che fanno capo a Paolo Garilli, la maggior parte giovani del posto: «Quando una sola attività chiude perde tutto il paese, nel 2023 non è possibile metterci più di un’ora per raggiungere Piacenza»

Discrezione, riservatezza. Ma anche calore umano e vicinanza. Queste dovrebbero essere le caratteristiche di chi svolge lo stesso mestiere di Paolo Garilli, impresario funebre a Farini. La sua ditta è l’unica che opera nell’Alta Valnure e occupa dieci persone: nel comune nessun’altra attività coinvolge così tanti lavoratori.

Come ci è arrivato a questo mestiere? «L’ho sempre fatto - spiega Garilli - fin da ragazzino, nella storica ditta “Marzaroli” di Farini. Nel frattempo lavoravo con mio padre in macelleria e gestivo anche un bar. Poi, nel 1998, decisi di rilevare proprio la “Marzaroli” e, sempre nello stesso anno, l’impresa Boeri a Ferriere».

Cosa serve in un lavoro così particolare? «Prima di tutto ci vuole molta umanità con la famiglia, dobbiamo cercare di aiutarle. La vedo come una missione: la famiglia, quando ti chiama, è nel dolore, noi le sosteniamo». Dei dieci addetti della sua impresa, la maggior parte sono giovani e del posto. «Chiaro, non è un mestiere per tutti, bisogna essere portati». Il “peso” umano del lavoro lo si porta anche a casa. «Il rispetto ci vuole per tutti, ma le morti non sono uguali. Quando mi trovo davanti ad un defunto di novant’anni, so “che la sua vita l’ha fatta”. Purtroppo esistono anche le disgrazie: malattie e incidenti stradali che hanno coinvolto molti giovani. Con la famiglia, in quei casi, ci si sente in imbarazzo, dobbiamo mettercela tutta per cercare di stare a loro il più vicino possibile. Soffro quando vedo un genitore perdere un figlio, sono cose brutte, bruttissime».

Il papà di Paolo, Giovanni, ha 88 anni. «Fino a pochi anni fa portava avanti un’azienda agricola a Russi di Cogno San Savino, con uno spaccio aziendale. Si occupava di salumi e carni, ma non siamo riusciti a trovare qualche aiutante per proseguire e così l’attività ha chiuso». Proprio a Farini, dove l’impresa funebre Garilli ha sede, negli ultimi tempi diversi esercenti hanno abbassato la saracinesca. Qualcuno, però, ha anche aperto: un negozio di enogastronomia italo-francese, un fiorista, un antiquariato. «Quando una sola attività chiude - riflette Garilli -, perde tutto il paese. I giovani vanno dove ci sono più possibilità, non li biasimo, non sono obbligati a rimanere se non c’è spazio».

L’imprenditore è un punto di riferimento per l’Alta Valnure. «Farini la conosco bene, vivo nel capoluogo, mentre Ferriere l’ho imparata a scoprire in questi ultimi venticinque anni di lavoro, come mi trovo molto bene anche a Bettola. Dò il massimo nel mio lavoro, spero di non aver mai deluso nessuno e ringrazio della fiducia che la gente mi offre».

Garilli, invece, si arrabbia quando si parla della viabilità locale. «Viviamo in paesi disagiati, dimenticati, basti guardare soltanto le strade come vengono trattate. Non è possibile, nel 2023, metterci più di un’ora di tempo da Farini per raggiungere Piacenza». E cosa si potrebbe fare? «Quando ero un ragazzino si parlava di costruire una strada di fondovalle a ogni elezione, per conquistare qualche voto. Sarebbe stato un investimento importante ma decisivo: percorrere 60 km in mezz’ora avrebbe permesso a molti di rimanere a vivere qui. Invece da Brugneto a Piacenza, nel 2023, ci vuole un’ora a mezza. Oggi direi: lo sappiamo che siamo in montagna e ci abita poca gente, non pretendiamo né un’autostrada, né la fondovalle, ma che si allargasse un po’ la strada e si mantenesse un manto stradale dignitoso. Oggi la Statale è una mulattiera e rimpiango le vecchie figure di cantonieri che conoscevano bene dove l’acqua saltava fuori, prevenendo problemi e frane».

Da imprenditore della zona, cosa suggerirebbe alla politica locale per migliorare la situazione? «Si ripetono alcuni errori. Quand’ero bambino Farini ospitava un’azienda legata alle estrazioni di zolfo. Inquinava, divenne anti-economica e perciò la chiusero. La politica dell’epoca avrebbe dovuto aiutare il proprietario a ricavare lì un’alternativa, non inquinante. Perché si portò qui una ditta in grado di fornire pezzi alle aziende metalmeccaniche più grosse, come succede a Bettola, Pontedellolio e Vigolzone? Così avremmo potuto trattenere più famiglie. A Farini avevamo due caseifici, cessati pure quelli. Quando hanno chiuso, gli agricoltori hanno iniziato a dismettere le stalle».

Perché dice che gli errori si ripetono? «L’unica azienda di Ferriere ha chiuso nel 2015 e la politica neanche per un secondo ha pensato a trovare una soluzione o una alternativa. Non si possono perdere, da un giorno all’altro, 15 posti di lavoro. Perché in altre montagne le ditte riescono a farcela? In Trentino le persone lavorano in un’azienda e poi al pomeriggio si occupano di turismo o della propria azienda agricola».

Un quadro a tinte fosche quello tracciato dall’impresario. «Però qua si vive bene - conclude Garilli - la qualità del tempo libero è migliore, il clima non è inquinato, la nebbia non esiste. Inoltre, inutile dirlo, dove nasci stai sempre meglio di dove vai. Infatti chi può raggiunge Bettola, Farini e Ferriere appena riesce, nel weekend. Abbiamo dei posti meravigliosi. I tre paesi dove lavoro sono bellissimi e, nonostante tutto, qua si vive bene».

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