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Le storie

Mantenere i nipoti, sognarsi badante, sperare nel documento: in strada a Piacenza con le prostitute

Una serata con l'unità di strada della comunità "Papa Giovanni XXIII" e le donne alle quali offrono aiuto: tra foto dei figli, via vai di clienti e «la vergogna di mostrarsi di giorno»

«Ci sono dei bisognosi che non verranno mai a bussare per chiedere aiuto. Dobbiamo andare a cercarli noi. Le prostitute non vengono a bussare, ma le vediamo». Con questo spirito, da dieci anni, l’unità di strada della “Comunità Papa Giovanni XXIII” s'impegna a Piacenza per aiutare le ragazze. Periodicamente un gruppetto di volontari cerca di incontrarle in strada e dialogare con loro. L’obiettivo sarebbe quello di strapparle al marciapiede e inserirle nella società, offrendo un’occasione. Più facile a dirsi che a farsi, perché, nella stragrande maggioranza dei casi, l’approccio merita delicatezza e pazienza, per riuscire a costruire un dialogo. 

Il gruppo organizzato non è mai formato da meno di tre persone e sono presenti una donna e un uomo. Solitamente “esce” ogni quindici giorni. È una fredda serata feriale di novembre quando “IlPiacenza” segue da vicino la loro attività. La squadra è composta da Romina Iurato di Gragnano, componente fissa del team da quando è nato («la presenza delle ragazze ci chiama ad uscire in strada per incontrarle») e dal volontario (da otto anni) Evandro sento il bisogno di fare qualcosa»). C’è anche don Adamo Affri, da molto tempo legato all’esperienza della comunità.

«Quando il nostro fondatore, don Oreste Benzi, intuì all’inizio degli anni ’90 che le ragazze erano della schiave e che dietro a queste attività ci fossero delle “tratte” - spiega Romina -, è diventato automatico per lui, e poi per noi, andare a incontrarle, per “farci prossimi agli ultimi”.

IL FENOMENO A PIACENZA

Le vie interessate dal fenomeno della prostituzione sono note più o meno a tutti. Siamo tra strada Caorsana, via dell'Artigianato, via Stradiotti. Poi c'è anche Le Mose e la via Emilia fino a Pontenure. Quelle che vediamo nella nostra città, quando cala il sole, sono “schiave”? «Non c’è da farsi delle illusioni, la maggior parte lo sono», risponde Romina. Alcune arrivano convinte di fare un lavoro normale e cavarsela, in realtà la dura legge della strada impone le sue regole. Infatti ogni zona della periferia di Piacenza è “coperta” da ragazze della stessa nazionalità: c’è la via delle romene, quella delle albanesi, quella delle nigeriane e via discorrendo, e non si mischiano tra loro».

«Una ragazza con la quale eravamo entrati in sintonia ci disse: “C’è sempre dietro qualcuno ad ognuno di noi, una parte dei guadagni finisce ai protettori”. Infatti le donne vengono fatte “girare”, dopo un po’ di tempo le fanno spostare nelle città vicine. Un modo per evitare che entrino in contatto con altre persone, che prendano confidenza con la realtà». L’obiettivo è quello di renderle sempre spaesate, senza punti di riferimento, impedendo la possibilità di conoscere bene qualcuno e, magari, uscire dalla “tratta”.

Per l’unità di strada la pandemia è stata uno spartiacque. «Molte continuano in appartamento. Dal Covid in poi le presenze all’aperto  sono calate, ad esempio per le nigeriane. E quando le contatti perché hai trovato un numero di telefono, ci sono sempre degli intermediari di mezzo. Incontri la ragazza solo all’ultimo, per non favorire un coinvolgimento diretto».

«QUASI TUTTE HANNO UN FIGLIO DA MANTENERE»

Romina, sopra un quadernetto, segna i nomi di tutte le ragazze conosciute in questi anni, la loro nazionalità, informazioni e se hanno piacere a confidarsi o se preferiscono evitare il dialogo. Una sorta di archivio utile per favorire gli approcci futuri. «Quasi tutte - è la testimonianza di Evandro - raccontano la stessa storia. Hanno bisogno di soldi, hanno un figlio da mantenere, non hanno i documenti in regola. Poi non sappiamo se sia vero o no, ma la maggior parte sostiene di farlo per inviare i soldi alla famiglia, ai genitori, in modo che si occupino dei loro figli».

L’ATTIVITA’ DELL’UNITA’ DI STRADA: ANDARE INCONTRO ALLE RAGAZZE

«Iniziamo sempre con una preghiera». Siamo ancora nel parcheggio e, appena prima di partire con l’auto, Don Adamo invita a recitare un “Padre Nostro”. Alle ragazze, inoltre, cerca di regalare sempre un rosario: le musulmane rifiutano, tutte le altre lo accettano, come la prima che incontriamo.

Avrà 25 anni, è albanese, soffre il freddo ma, ovviamente, «deve lavorare». Romina offre sempre a tutte il suo caloroso abbraccio. La prima chiacchierata è sbrigativa: ha bisogno di soldi e la nostra presenza spaventa i clienti. «Basta con questo supermercato per gli uomini, i tuoi clienti sono dei poveretti», dice Romina. La giovane, sconsolata, non può fare altro che condividere la tesi: «è vero, sono proprio dei poveretti». Anche la seconda, sua vicina e connazionale, è sbrigativa: “roviniamo la piazza” e deve mettersi in tasca assolutamente qualcosa.

«HO TUTTI SULLE MIE SPALLE, FIGLIO E NIPOTI»

Poco distante si prostituisce anche una nonna. È dell’Est, ha un figlio e due nipoti: «Tutti sulle mie spalle». Faceva la badante, ma ha perso il lavoro. Ha una scarsa fiducia nelle persone - «nella mia vita tutti hanno cercato di usarmi, non ho molti amici» -, però ce l'ha per la sua coinquilina, che fa il suo stesso mestiere, non tanto distante da dove siamo noi adesso. «Ho una sola amica vera, ma abita a Milano».

Di giorno non vuole stare in strada: «mi vergogno troppo». Adesso ha molto freddo, infatti ha già previsto di andarsene alle 22.30. È felice della presenza di Romina, Evandro e don Adamo. Ha voglia di parlare, si prega assieme e poi chiede a tutti noi di pregare per il suo Paese in guerra.

«MIO FIGLIO E’ LONTANO, MI MANCA»

Viene da un altro Paese dell’Est anche un’altra ragazza. «Lavoro ancora un po’, sto aspettando un documento, poi smetto e sto con mio figlio, che mi manca troppo». Il suo sguardo è sicuramente il più perso nel vuoto e malinconico della serata. Il bambino, di pochi anni, è con i nonni nel Paese d’origine. Lo ha visto nei giorni scorsi, sono stati assieme. Con orgoglio mostra la fotografia sul cellulare: è biondissimo, la sua esatta copia. Non ha il permesso di soggiorno e, per questo, paga un affitto con un prezzo da usuraio, che divide con un’amica.

«Dai, basta con la strada, vattene da qua», la scuote Romina. Nel frattempo un’auto accosta vicino all’unità e carica un’altra ragazza: il tutto si svolge in pochi secondi. Evandro ogni volta che un’auto carica qualcuna è deluso. Non può accettare che a Piacenza ci siano così tanti uomini soli. «Già - s’inserisce la nostra amica -, è pieno di uomini soli e tristi». Ma triste sembra anche lei, con il pensiero rivolto oltre l’Adriatico, al figlio rimasto nella casa dove lei è cresciuta.

Don Adamo molla l’auto un po’ dove capita per intercettare le ragazze. Sono una quindicina le persone che si alternano nell’unità di strada. Una volta venne pure il vescovo. «Quando partecipò monsignor Cevolotto - ricorda - si presentò come un semplice sacerdote. Nessuno sapeva chi fosse, ovviamente. All’inizio, non aprì bocca, poi si sciolse e conversò con le ragazze, come capita a tutti i neo-volontari».

«VA BENE, PORTATEMI VOI A CASA»

L’ultimo incontro è speciale. È africana, ha speso 25mila euro per “il viaggio”. Non lo possiamo sapere, potrebbe esserci di mezzo qualche mafia o organizzazione che specula sulle speranze delle giovani donne, mettendoci di mezzo religione, cultura e riti. «Li ho pagati tutti quei 25mila euro - ci tiene a precisare - ho pagato il riscatto. Farei la badante anche domani, ma mi mancano i documenti. Ho speso troppi soldi dietro ad un avvocato che mi aveva promesso un aiuto. Ora l’ho cambiato, ne ho trovato uno bravo, quello di prima, “no bravo”, anzi, “bastardo”».

«QUESTA’ CITTA NON TI HA PORTATO BENE»

Romina le spiega l’obiettivo dell’associazione: la “Papa Giovanni XXIII” è in grado di inserirla nella sua rete, togliendola dalla strada, trasferendola altrove. Prima verifica che abbia conservato il suo numero di cellulare in rubrica, poi la esorta: «Chiamami dai! Ti facciamo andare via da Piacenza, non ti ha portato bene questa città». Ci proverà, dice lei.

Intanto, a sorpresa, accetta di essere accompagnata a casa da noi. Non ha voglia di rimanere fuori questa notte, c’è freddo e non è dell’umore giusto. È sconfortata dalla sua situazione burocratica. «Davvero, vorrei fare la badante e pagare le tasse come tutti». 

L’accompagniamo a casa. È contenta che qualcuno sia preoccupato per lei. Ride come una adolescente, anche se non lo è più. O forse non lo è mai stata. Dimostra la sua gratitudine cantando una “canzone di chiesa”, in lingua inglese, che si rivolge a Cristo. Curiosamente abita nel cuore della città, in centro, a pochi metri di distanza da uno di quei palazzi delle istituzioni piacentine dove si prendono le decisioni. 

Don Adamo le chiede se sogna di mettere su famiglia. «Sì, vorrei figli maschi e femmine, entrambi, ma ora non penso agli uomini. Non posso pensarci. Prima devo risolvere i miei problemi, i documenti. Poi si vedrà».

«LA COSA PIU’ TRISTE? LAVORANO ANCHE INCINTA E SONO LE PIU’ AMBITE»

L’unità di strada è a metà tra la gioia e la diffidenza. «Ho dei dubbi - riflette Romina a freddo - che chiami, ripone troppa fiducia nell’avvocato per farsi prolungare i permessi. Lo dicono, ma poi non telefonano mai. Però è bello riportarne una a casa, è già qualcosa. È la seconda volta che ci succede». Ultimamente? «No, in dieci anni».

C'è tempo ancora per qualche domanda a don Adamo. In dieci anni quante sono state sottratte a tutto ciò e inserite nella società? «Cinque». La cosa più triste di quello che avete visto? «Trovare sul marciapiede donne in stato d’interessante e sapere che i clienti sono disposti a pagare di più proprio per questo». Avete mai rischiato? «Un magnaccia una volta è venuto a spaventarci, ma fu la ragazza a mandarlo via. È proprio vero, i protettori ci sono sempre, anche quando le ragazze negano».

Sono già passate le 23, la serata è finita, mentre il freddo è sempre più pungente. Don Adamo invita ad un’ultima preghiera nel parcheggio dove ci eravamo dati appuntamento. Quanto è fondamentale la fede in questa esperienza così intensa? «Senza questa luce non si può fare niente. Qualche volta con le ragazze di colore preghiamo assieme, tenendoci per mano». 

Ma di luce ce ne è poca nelle vie frequentate. Prevale la rassegnazione, tutto si riduce al “tirare a campare”. I volontari provano a riportare un po’ di umanità in queste strade della nostra città. Poi, non possono fare altro che attendere, sperando che il telefono di don Adamo e di Romina squilli per davvero e che dall’altra parte una di queste ragazze chieda aiuto. Con la voglia e il coraggio di rompere con il passato e con il presente, per intraprendere un nuovo percorso di vita. 

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