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«Ricordare la Resistenza significa anche offrire un messaggio di speranza per il futuro»

Quest'anno le celebrazioni della Festa della Liberazione non si potranno tenere nelle forme pubbliche degli anni scorsi. Ugualmente va richiamata l'importanza del ricordo dei 75 anni della ricorrenza per ricordarne i valori ed i concetti fondamentali. La riflessione dell'associazione nazionale dei partigiani cristiani

Quest'anno le celebrazioni della Festa della Liberazione non si potranno tenere nelle forme pubbliche degli anni scorsi. Ugualmente va richiamata l'importanza del ricordo dei 75 anni della ricorrenza per ricordarne i valori ed i concetti fondamentali che rimangono immutabili: in particolar modo la necessità dell'assunzione di responsabilità diretta, da parte di ognuno di noi, al fine dare il proprio contributo alla crescita della comunità. «Per significare anche quest'anno la presenza della dell’associazione nazionale dei partigiani cristiani – spiega in una nota il sodalizio piacentino - a ribadire perennemente l'apporto dell'intero popolo italiano nelle sue varie espressioni politiche, religiose e civili, alla Resistenza, abbiamo preparato una riflessione». Domenica 26 aprile, per tutti i protagonisti della Resistenza, religiosi e civili, alle ore 11, il vescovo mons. Gianni Ambrosio durante la celebrazione della messa in Cattedrale a porte chiuse, che sarà trasmessa in streaming sul sito della Diocesi in sintonia con l’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, ricorderà i piacentini che in forza della loro esperienza di fede sono stati uccisi durante l’ultimo conflitto mondiale.

L’INTERVENTO DI MARIO SPEZIA, PRESIDENTE PROVINCIALE DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI CRISTIANI DI PIACENZA

Il prossimo 25 aprile ricorre il 75° anniversario della Liberazione dell’Italia dalle forze nazifasciste e l’avvio del percorso che avrebbe condotto alla Repubblica e alla Costituzione. Oggi più che mai è importante ricordare questo evento che rappresentò la rinascita del Mario Spezia 2-2-2popolo italiano, da lì nacque la speranza che un nuovo avvenire felice avrebbe potuto prendere l’avvio, e oggi, che riviviamo nuovi eventi tragici, perché la tragedia sanitaria in cui ci siamo abbattuti ha ora, come allora fu per il fascismo ed i disastri della guerra, avvilito le coscienze, turbato gli animi e generato paura e dolore, è importante ripartire con nuova speranza e il desiderio di una vita che possa riprendere senza l’enorme angoscia e timore che alberga in tutti noi. Una nuova speranza che ci viene dall’esempio di tante persone che nell’emergenza sanitaria stanno compiendo opere straordinarie, ben al di là dei propri doveri, per assistere, aiutare, sostenere chi più ha bisogno e soffre. Fu così anche allora, nei momenti tragici della guerra di Liberazione, ed è per questo che, innanzitutto, è doveroso fare memoria di tutti quei coraggiosi, uomini e donne, che in vari modi e forme, combatterono e anche morirono per costruire un’Italia  libera e democratica, ai tanti partigiani  che furono privati della vita, per il loro impegno e per la loro scelta a  favore della libertà e della democrazia,  e i cui nomi  sono scritti, a imperitura memoria sui tanti  cippi, marmi e monumenti sparsi nelle nostre campagne e sulle nostre montagne. Un numeroso esercito di volontari della libertà tra i quali permettetemi di ricordare l’esempio che nel nostro territorio portarono i cattolici della Diocesi di Piacenza:

- Francesco Daveri, avvocato, capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, cattolico praticante e convinto, morto di stenti il 13 aprile 1945 all’età di 42 anni in un campo secondario di Mauthausen.

- don Giuseppe Beotti, sacerdote, aveva 32 anni il 20 luglio 1944 quando i nazi-fascisti lo fucilarono al muro di sostegno della strada davanti alla chiesa di Sidolo in Comune di Bardi nella parte della montagna parmense della diocesi piacentina, insieme a due suoi ospiti:

- don Francesco Delnevo, parroco di Porcigatone (in Comune di Borgo Val di taro, provincia di Parma) aveva 57 anni; nella sua parrocchia aveva impedito ai nazi-fascisti di violentare un gruppo di donne, nascondendole in chiesa, e il chierico:

- Italo Subacchi, del Seminario di Parma, aveva 23 anni; stava preparandosi a cantare la prima Messa, poi sarebbe andato missionario.

- don Umberto Bracchi, della Congregazione dei Preti della Missione, e

don Alessandro Sozzi, parroco di Strela (in Comune di Compiano, provincia di Parma), entrambi fucilati dai nazi- fascisti il 19 luglio 1944 davanti al cimitero di Strela, dopo aver appiccato fuoco all’intero paesino e, per prima, proprio alla canonica ed alla Chiesa.

- Giuseppe Berti, classe 1899, insegnante di filosofia, promotore e animatore dell’Azione Cattolica piacentina, partecipò alla fondazione del Partito Popolare e si impegnò strenuamente nella difesa della libertà, subendo anche violenze fisiche dai fascisti fin dal 1923. Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza nel cremonese, seguendo i suoi giovani arruolati nelle formazioni partigiane.  Morto nel 1979, per lui, come per don Beotti, è in corso il processo di beatificazione.

- don Giuseppe Borea, era anche stato seminarista presso il seminario vescovile di Fidenza, poi parroco di Obolo, una piccola frazione nella montagna piacentina in Comune di Gropparello. Cappellano della Divisione Valdarda, il 9 febbraio 1945, all’età di 34 anni, viene fucilato davanti al muro del cimitero di Piacenza. La persecuzione subita anche da personalità del mondo cattolico, a partire dai sacerdoti, è la dimostrazione della partecipazione del popolo intero alla Lotta di Liberazione, da qui deriva che il 25 Aprile è la festa di tutti gli italiani che, pur di diversa provenienza politica, culturale o religiosa, hanno creduto e combattuto per un’Italia nuova, libera e democratica. Celebrare il 25 Aprile è celebrare la Resistenza e celebrare la Resistenza significa onorare la Costituzione: non vi sarebbe stata la Repubblica, non vi sarebbe stata la Costituzione, non vi sarebbe stata la Nuova Italia Democratica, senza la Resistenza e ricordare la Resistenza significa anche offrire un messaggio di speranza per il futuro.  Un messaggio di speranza che, anche ora come allora, ci serve per una nuova ripartenza che dalle difficoltà dell’emergenza sanitaria ci permetta di recuperare valori fortemente condivisi e  aggreganti intorno ai quali riconoscersi; a cominciare da una nuova fase politica che sappia riappropriarsi di una seria dialettica democratica da esercitare, da parte delle forze politiche, all’interno delle Istituzioni democraticamente elette, invece che affidarsi alle frasi urlate tendenti a contrapporre la piazza al Parlamento; un populismo i cui effetti devastanti, i nostri padri, hanno già avuto modo di verificare durante il ventennio fascista.  

Ed è proprio dall’esempio antico e nuovo di tante oneste persone ci viene ricordato che ai valori siamo chiamati a dare testimonianza, tutti noi, ogni giorno, nelle nostre occupazioni quotidiane, nel nostro impegno politico e civile. Per cui oggi in occasione del 75° anniversario della Liberazione, dobbiamo interrogarci su come, ai vari livelli, viviamo e sosteniamo i valori propugnati dalle persone che commemoriamo, su come, ognuno di noi personalmente vive e si comporta, non solo reclamando diritti ma ricordandosi anche dei doveri che ha nei confronti della comunità; come ci hanno insegnato i nostri resistenti attraverso l’esempio dei loro comportamenti. E‘ per questo che voglio concludere queste mie riflessioni con le parole di Felice Fortunato “Nato” Ziliani, comandante partigiano col nome di battaglia “Griso”, storico alfiere dei Partigiani Cristiani del nostro territorio: “La Resistenza che continua deve preservarci dall’abitudine del comodo quotidiano, dell’indifferenza verso i problemi degli altri, come se non fossero anche i nostri. Di questi sentimenti devono essere permeate le nostre azioni, dobbiamo essere ancora una volta con un solo spirito: quello del bene comune. Ciò è vivere, non sognare”.

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