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«Sentenza Grimilde, provata la radicazione della 'ndrangheta nel tessuto economico emiliano»

L'associazione Libera commenta la sentenza del tribunale di Bologna che ha portato, tra gli altri, alla condanna dell'ex presidente del consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso a 20 anni di reclusione

«E’ stata provata la pervasività del sodalizio criminale, le attività di un sistema di potere, che già con la sentenza Aemilia aveva fatto emergere un dato significativo e distintivo “nell'autonoma e localizzata forza di intimidazione derivante dalla percezione, sia all'interno che all'esterno del gruppo stesso, dell'esistenza e dell'operatività dell'associazione nell'intero territorio emiliano come un grande ed unico gruppo ‘ndranghetistico”». Così la sezione piacentina di Liebra, la nota associazione contro le mafie, commenta positivamente la sentenza del tribunale di Bologna del processo per l'inchiesta Grimilde, nella quale è stato anche condannato a 20 anni di reclusione l'ex presidente del Consiglio comunale di Piacenza, ed ex militante di Fratelli d'Italia (espulso dal partito), Giuseppe Caruso. 

«Grimilde - scrive Libera in una nota - ha accertato l’esistenza di un’autonoma cosca di ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Per Libera, che si è costituita parte civile anche in questa operazione (figlia della più grande operazione “Aemilia”) la consorteria, agendo avvalendosi della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, ha compromesso l'equilibrio della vita democratica, ponendosi in radicale contrasto degli interessi pubblici della stessa comunità».

«Libera sente vivamente di ringraziare il pubblico ministero Beatrice Ronchi, sempre attenta, e con grande professionalità e rigore ha portato all’attenzione del Giudice un compendio probatorio articolato e completo. Un magistrato sempre rispettoso di tutte le parti processuali. Tante erano le imputazioni contestate, dal reato di associazione di stampo mafioso ai relativi reati fine quali estorsione, intestazione fittizia di beni, usura, riciclaggio; reati tutti aggravati dall'utilizzo del metodo mafioso ai sensi dell’articolo 416 bis».

«E’ stato quindi dimostrato come le condotte ascritte alla consorteria abbiano aggredito non solo le regole poste a fondamento della convivenza civile, ma abbiano altresì inquinato beni giuridici costituzionalmente garantiti quali, la libertà di iniziativa economica privata, la tutela del mercato del lavoro, la libertà di stampa, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, i beni comuni.
La ‘ndrangheta si è fortemente radicata nel territorio emiliano e si è data una struttura verticistica ed ha creato un vero e proprio sistema per concorrere ad operare nelle attività economiche del territorio, attraverso il consueto meccanismo delle estorsioni a danno degli imprenditori attivi in città e di un rilevantissimo numero di reati in materia di intestazione fittizia di beni, realizzate con il precipuo scopo di eludere le misure di prevenzione patrimoniale, oltre che con reato di truffa ai danni dello Stato.
Altro elemento che emerge in maniera chiara è quella della vera vocazione del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano “è davvero l’emblema di quella ‘ndrangheta dalla vocazione prettamente imprenditoriale”. Libera ha sempre sostenuto che le mafie al nord vogliono occupare “mercato” ed espandersi nel territorio quali imprenditori, per invadere e penetrare l’economica legale. A dominare è dunque la logica dell’affarismo totalizzante da parte del gruppo mafioso, che interessa sempre più settori disparati della vita pubblica ed economica: dalla libera informazione, alla gestione delle attività imprenditoriali, al mercato del lavoro, alla funzione pubblica, alla gestione degli appalti.
La penetrazione nel tessuto imprenditoriale e la conseguente ulteriore acquisizione di potere economico e finanziario hanno dunque permesso alla ‘ndrangheta l’ingresso nella cosiddetta “zona grigia” - rappresentata anche da professionisti ed imprenditori e della politica».

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